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“Sono stato contattato da tantissima gente che ha letto il mio precedente editoriale dedicato a Vittorio Feltri, il quale considera i meridionali alla stregua di soggetti “inferiori”; ho creduto opportuno di ritornare sull'argomento”.
“Sono stato contattato da tantissima gente che ha letto il mio precedente editoriale dedicato a Vittorio Feltri, il quale considera i meridionali alla stregua di soggetti “inferiori”; ho creduto opportuno di ritornare sull'argomento”.
La triste “recita” che Feltri ha rappresentato nella trasmissione condotta da Mario Giordano è speculare a quella del ricco Mazzarò - figura letteraria e personaggio siciliano vero, descritto da Giovanni Verga in un’antica novella ottocentesca - il quale, a sua volta, è speculare al ricco Don Rodrigo, figura letteraria e vero personaggio vissuto due secoli prima “sulle rive del lago di Como”, che Alessandro Manzoni ha magistralmente raffigurato nei “Promessi sposi”.
Dall’alto della propria ricchezza, i due soggetti della grande letteratura storica di Verga e Manzoni, rievocati a sud come al nord, rifiutavano la morte, esorcizzandola in maniera diversa: Mazzarò contro anitre e tacchini; Don Rodrigo contro uomini e donne. Feltri, che odia i meridionali anzi, peggio, li considera “inferiori”, appare simile a Don Rodrigo. Incapace di usare un linguaggio aulico, raffinato, elegante, ma più simile a Dario Fò, Feltri non usa parole ma calci verbali, scagliandoli simbolicamente contro il mondo che non sarebbe riuscito a dargli quello che dalla vita avrebbe desiderato, oltre la ricchezza. Questo è il punto! Nel corso della vita, ad un uomo in carriera puoi parlare di tutto, di etica, filosofia, morale, religione, sociologia, ma “in molti casi”, se non c’è denaro da guadagnare, poco importa.
Per tanti uomini e uomini a metà, il denaro rappresenta il miraggio della propria esistenza; dall’alto del potere personale - ma anche dal basso della propria incapacità - non si pensa altro che in funzione della ricchezza da accumulare, case, conti in banca, oro, buoni fruttiferi e libretti postali, truffe, varie cose da rubare e così via.
Quando poi tutto è compiuto iniziano i rimorsi, ci si accorge che la ricchezza non ha riempito il proprio spirito e non ha soddisfatto la bramosia; ci si accorge di rimanere soli, smascherati dalla propria comunità, qualcuno va a passeggio col proprio cane ma non basta e, a volte, il ricorso al suicidio rimane fra le più utili delle alternative possibili. Bene, Vittorio Feltri è un uomo fortunato.
Alla fine del suo potere giornalistico si salva dalla solitudine perché viene invitato come ospite in televisione e ritiene di conservare la sua baronia; ma per continuare così, sino alla fine dei propri giorni, è necessario riciclarsi al mezzo televisivo con idee nuove, altrimenti chi lo inviterebbe oltre la prima “ospitata”? Egli riconosce che il suo spirito è piuttosto vuoto e non può farvi alcun ricorso; sceglie allora di pescare nel suo becero materialismo da carta stampata scagliandosi contro i meridionali. L’occasione è propizia e l’idea giusta scaturisce facilmente per colpa del coronavirus.
Nella mente quasi distorta di Vittorio Feltri si forma la teoria secondo la quale i meridionali avrebbero avuto piacere che al nord il coronavirus si fosse diffuso così pericolosamente: quale migliore occasione per vendicarsi e lanciare i suoi strali contro i meridionali e trovare così un’occasione in più per reggere alla tv che sempre più applica la regola “dell’usa e getta”? Da uno come Feltri, ritenuto malevolo per indole e incapace di elaborare concetti forbiti, non ci si poteva attendere altro che una elaborazione speculativa terra-terra, ma per lui utile, come questa.
Sono sicuro che all’epoca della sua attività giornalistica Feltri non fosse così convinto del suo odio verso i meridionali perché si era servito di vicedirettori e giornalisti meridionali, non escluso lo scoop di una mia intervista all’Europeo sui partigiani fuggiti dal nostro Paese dopo aver commesso gravi reati in patria; partigiani che all’epoca, e ancora oggi, sono indicati come i liberatori dell’Italia e tutto ciò è autenticamente falso.
Insomma, all’epoca, dopo aver incontrato Feltri un paio di volte nel suo ufficio dell’Europeo, mi ero convinto - sono tutt’ora certo - che i veri razzisti nei confronti dei meridionali fossero proprio i suoi collaboratori provenienti dal sud. Scommettiamo? Ebbene, nella smania di doversi riciclare per la tv, Feltri deve inventare qualcosa, ma ha necessità di “salvare” coloro con cui nella vita ha lungamente collaborato. Affermando “i meridionali in molti casi sono inferiori”, Feltri esclude “i pochi casi” riferiti ai suoi collaboratori meridionali, forse amici (probabilmente anch’essi odiatori del sud) da stralciare dagli “inferiori” e, aggiungo, “cafoni”.
Ecco iniziare con l’accetta che, a parere di Feltri e di chi lo invita in tv, sembra il cavallo di battaglia per sopravvivere lungo tempo agli indici di ascolto. Feltri sceglie ora di ripulire la “razza” a cui appartiene; lo fa quasi a nome di tutti, anche a nome dei conduttori che lo invitano a parlare nelle loro trasmissioni in cui, nonostante le manfrine, ogni scena appare concordata anche nei particolari.
Da un po' di tempo, infatti, anche ai più sprovveduti, Feltri appare usato come un cavallo di troia nella sua qualità di anziano, privo di freni inibitori, verso cui - a parere degli stolti - nessuno reagirebbe, se non per sorridere e fare “audience”: particolare confermato esattamente da Vittorio Feltri.
Non a caso, rivedendo la scena in cui Feltri si scaglia contro i meridionali, appare un Mario Giordano sornione che provoca e ride in un “Giuoco delle parti”, esattamente come nella commedia di Luigi Pirandello, siciliano e Premio Nobel. Guarda caso, sembra che i due abbiano scelto il peggiore degli argomenti: a ogni loro azione corrisponde un riferimento colto (Verga, Manzoni, Pirandello…) di cui i due “complici” hanno poca dimestichezza; sembra una legge del contrappasso per la quale bisognerebbe cospargere sulla propria testa un po' di cenere.
Ma non è così. Feltri, come azionato da un telecomando, di cui ovviamente non si accorge, con altre sciocchezze continua a “descrivere” il suo canto del cigno davanti alla tv, nei modi e forme in cui la cultura del suo mondo lo ha plasmato nel corso della sua vita, così come egli stesso si è rivelato tradendo la sua intera carriera giornalistica, allo scopo di “apparire” sino alla fine dei suoi cent’anni. Mazzarò era certamente arrabbiato perché non avrebbe voluto lasciare tutti i suoi beni, ma la descrizione letteraria è sublime e rimane fra le pagine più belle del verismo italiano; anche la descrizione su Don Abbondio che incontra i bravi di Don Rodrigo è qualcosa di stupefacente.
Se Feltri avesse descritto la sua rabbia contro i meridionali nello stile aulico e raffinato, che la letteratura insegna, non avrebbe attratto su di sé frasi indicibili, espressioni rabbiose e offese sulla persona e sul carattere; nessuno, oltre ai suoi amici che lo invitano in tv, si sarebbe accorto della carenza di freni inibitori dovuti all’età e sarebbe potuto nascere anche un dibattito forbito fra sud e nord.
Ma visto oggi, Feltri non appare capace; oltre a non conoscere Manzoni, egli non conosce ancor più Verga o Pirandello perché li considera “meridionali inferiori” e non avrebbe mai e poi mai potuto replicarli col medesimo stile, se non con quello di Dario Fo, che in quanto a letteratura oscena e grossolana sono quasi pari. Ma per come in due occasioni ho personalmente conosciuto Feltri e la sua redazione, sospetterei di più sui meridionali traditori delle proprie origini. A volte sono essi stessi, sradicati e apolidi, che per la voglia di integrarsi danno falsi input, ipocrite interpretazioni del sud e umilianti opinioni sul loro passato.