Cagliari, quel magico scudetto 49 anni dopo rivive nel segno di Gigi Riva

Sono passati quarantanove anni da quel fantastico pomeriggio del 12 aprile 1970 all’Amsicora. Il tempo sembra essersi fermato.

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Venerdì 12 Aprile 2019
Cagliari - 12 apr 2019 (Prima Pagina News)

Sono passati quarantanove anni da quel fantastico pomeriggio del 12 aprile 1970 all’Amsicora. Il tempo sembra essersi fermato.

di Maurizio Bistrusso

 

Si riapre l’album dei ricordi di chi era all’epoca un bambino tifosissimo del Cagliari e dei suoi campioni. Ogni giorno era una sfida per tentare di copiare quei gesti tecnici, il modo di festeggiare i gol, di ridere , di parlare. Venivano i brividi, la pelle d’oca quando arrivava il momento di vedere 90° minuto, alle 18.00, di tutte quelle domeniche speciali, per ammirare quei miti.

Si giocava in strada a rincorrere un pallone, a volte nei cortili e nei campetti improvvisati, tra un albero di fichi e una borsa di scuola che facevano da pali, per un’ipotetica porta, di una partita infinita sempre giocata con la voglia di imitare le prodezze di Riva, Albertosi, Domenghini, Gori, Greatti, Cera, Tomasini e tutti gli altri che ci regalavano emozioni, entusiasmo e una voglia di giocare al calcio vero, pulito e senza limiti di tempo.

Quell’impresa è rimasta scolpita nella memoria. E il protagonista assoluto di quello straordinario successo ha un nome e un cognome. La gente non ha mai dimenticato. Un atto d’amore per una persona speciale che ha scelto la Sardegna come terra adottiva a cui è legato nel cuore e nell’anima. Lui si definisce un sardo nato in Lombardia.

Per l’isola, invece, Gigi Riva ha rappresentato la voglia di riscatto e di rivalsa. La Sardegna negli anni ‘70 era considerata terra di pastori e di banditi. In posti come Lombardia e Piemonte gli emigrati sardi non erano trattati benissimo. Attraverso le imprese di Riva e del Cagliari hanno potuto rivendicare le loro origini con orgoglio e con uno spirito di rivincita molto forte. Un sinistro devastante, il record in Nazionale ancora imbattuto, con 35 gol realizzati, un campionato Europeo vinto nel ’68 a Roma, con un gol dei suoi in finale, uno storico scudetto conquistato contro tutto e tutti col Cagliari, il 12 aprile 1970. Questo è Gigi Riva.

I suoi gol e le sue abilità tecniche, il coraggio, la potenza nel tiro, l’andare a colpire in cielo di testa o in acrobazia il pallone attraverso una forza esplosiva e uno straordinario coraggio ne hanno fatto un campione unico e inimitabile. Una favola infinita.

E la Sardegna non ha dimenticato le imprese di quello che è stato ed è l’uomo simbolo, protagonista di mille battaglie in campo e fuori, che ha dato voce e coraggio ad un popolo intero. Uno scudetto vinto a dispetto dei potentati calcistici dell’epoca, uno stadio da 60 mila posti, un’immagine diversa e finalmente vincente per una Sardegna considerata da sempre terra di confine. Una rivalsa sociale che ha dato prestigio e onore ad un’isola vista come terra di pastori e di sequestri.

Gigi Riva resterà un esempio per i valori dello sport e per il suo attaccamento ad una città e a una terra che lo hanno accolto e adottato molto presto. Dopo un periodo di reciproca diffidenza è nato un amore infinito per un atleta e un uomo simbolo che ha portato il Cagliari nell’olimpo del calcio. Quella che ai più sembrava solo un’utopia presto si è trasformata in realtà.

Riva è stato uno dei giocatori più forti al mondo, il numero 11 ideale quando ancora lo sport significava confronto e rispetto per la gente e per gli avversari. Valori che ormai l’industria calcio sembra aver rimosso a causa degli interessi che gravitano intorno ai giocatori e alle società che in un gioco di situazione sono addirittura quotate in borsa. Senza sceneggiate ma con l’orgoglio di chi sa che deve e può vincere per sé e per gli altri con lealtà. E i ricordi di quelle imprese che sembravano impossibili restano scolpiti nella memoria e a distanza di tempo suscitano ancora emozioni. Quel ragazzino spaurito, quasi spaventato, catapultato in una terra selvaggia ma ricca di valori a soli 17 anni ha trovato la sua dimensione e le condizioni per far valere le sue doti e per metterle in mostra in totale libertà. Al servizio del Cagliari e della Nazionale.

Un uomo vero dotato di una potenza straordinaria, un’esplosione di energia e di forza incontenibili all’interno di quel tappeto verde che lo ha trasformato da uomo fragile, silenzioso e dal carattere difficile, in un guerriero potente e quasi invincibile.

A fare da contraltare all’atleta che esultava ad ogni suo gol stringendo i pugni e spingendo le braccia verso il basso, per sfogare un’incontenibile gioia da condividere con i compagni e la sua gente, quel velo di tristezza che spesso dipingeva il suo volto, duro ma sempre fiero, dal mento pronunciato e ben definito che delineava un carattere difficile, un orgoglio e una fierezza degni di un sardo. Un uomo dotato di una proverbiale audacia che ha sacrificato la sua vita e la sua carriera per sposare la causa di una Sardegna ancora povera ma ricca di grandi valori e per regalare un’occasione di riscatto ad una popolazione intera.

Una vera rivoluzione per il calcio dell’epoca dove a dettare legge erano i grandi club delle città metropolitane come Juventus, Milan, Inter e Roma. “Giggi Riva”, rombo di tuono, come l’aveva definito Gianni Brera, un mito, un esempio per tutti. Una gamba spezzata due volte, l'addio al calcio a soli 31 anni. Il simbolo di una regione che lo ha adottato e che oggi lo protegge, lo coccola e ne tutela il desiderio di restarsene da solo. Una riconoscenza infinita e senza tempo per un campione che ha regalato gioie e soddisfazioni ed è sempre stato un simbolo per tutti.

E ora le giovani generazioni hanno imparato a conoscerlo attraverso i filmati che girano su internet e nei social. Non mancano le occasioni per rivedere la splendida rovesciata effettuata a Vicenza, i gol su punizione, i colpi di testa in tuffo e una potenza e una forza nel tiro che non conoscevano ostacoli. Le sue parole ancora oggi non sono mai banali, mai fuori posto. Momenti epici che hanno fatto la storia. Uno sguardo attento verso i giovani. Sono passati ormai quasi quarantanove anni da quel fantastico pomeriggio del 12 aprile all’Amsicora. Il tempo sembra essersi fermato.

E sfogliando l’album dei ricordi si ritorna indietro nel tempo per rivivere scene e situazioni che sono ancora scolpite nella memoria e regalano emozioni. Ogni partita era una festa in quel piccolo stadio bomboniera dove le famiglie arrivavano alle 11.00 da tutta la Sardegna per occupare i pochi posti liberi, consumare un pranzo all’aria aperta e condividere un bicchiere di vino.

Si avvertiva il desiderio di emulare quei campioni nelle partitelle tra amici con mezzi di fortuna e palloni costruiti artigianalmente con materiali che oggi farebbero sorridere le nuove generazioni. In quegli anni giocare in un campo in erba era un’impresa impossibile, un sogno per pochi privilegiati. E allora ogni angolo di strada, i cortili dei palazzi e in qualche campetto polveroso improvvisato, tra un albero di fichi e una borsa di scuola, che diventavano i pali di un’ipotetica porta, dove nessuno voleva stare, si svolgevano partite infinite che si chiudevano solo quando arrivava il buio.

Era un modo sano per rincorrere un pallone, sbuciarsi le ginocchia e imitare le prodezze di Riva, Albertosi, Domenghini, Gori, Greatti, Cera, Tomasini e tutti gli altri che regalavano emozioni con un entusiasmo e una passione infinita. Quello scudetto vinto con tanta sofferenza apparteneva a tutti ed era patrimonio di tutta la città, dei suoi tifosi, della Sardegna, degli emigrati e della gente che tifava Cagliari per simpatia e per il suo modo di affrontare gli avversari. A guidare quel gruppo un allenatore filosofo come Manlio Scopigno, sempre disincantato, ironico e dotato di un’intelligenza non comune che faceva la differenza.

Un abile istrione che era entrato in sintonia col gruppo e ne era diventato amico. Cagliari ha dedicato un Viale alla squadra che ha vinto il tricolore e sarà sempre riconoscente a chi non ha mai tradito i principi e quella maglia con i quattro mori stampati sul petto che resterà tatuata a vita nella pelle.

Valori che non hanno prezzo come l'onestà e la coerenza. Riva è stato un esempio e la sua voglia di non arrendersi di fronte alle ingiustizie, di caricarsi nelle difficoltà, di ribellarsi, lo ha spinto a rimanere a Cagliari e a vincere per quella gente che nel frattempo era diventata la sua famiglia allargata.

E molti dei suoi compagni di quella straordinaria avventura hanno seguito le sue tracce e hanno messo radici in città. Riva è diventato l’uomo simbolo di una città. Il rifiuto alle offerte di Inter e Juve, disposte a tutto pur di averlo e a scucire fino a un miliardo, cifra pazzesca per l'epoca, ne hanno fatto un eroe. Un campione di cui la gente si fida e si sente rappresentata. Un punto di riferimento per il popolo sardo che tuttora lo adora. Lui ha scelto di diventare “pecoraio” a vita e da quel momento tutti si sono riconosciuti nell’uomo diventato anche un simbolo per il calcio italiano. Nei paesi, accanto all'immagine della Madonna e dei parenti c'è la foto di "GiggiRivva". Rombo di tuono sarà sempre uno di noi e non sarà necessario che qualcuno ne certifichi le origini. Cagliari e la Sardegna sono diventati la sua famiglia. La maglia numero 11 sarà sua per sempre.


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