Cinema: "Egonìa" di Gualtiero Serafini al FuoriNorma 2022, il Festival di Adriano Aprà
Il film, già sui circuiti inglesi e statunitensi di Amazon Prime Video, è stato selezionato alla quinta edizione della kermesse dedicata al cinema sperimentale, conclusa da poco allo Spazio Scena di Roma.
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Giovedì 10 Marzo 2022
Roma - 10 mar 2022 (Prima Pagina News)
Il film, già sui circuiti inglesi e statunitensi di Amazon Prime Video, è stato selezionato alla quinta edizione della kermesse dedicata al cinema sperimentale, conclusa da poco allo Spazio Scena di Roma.

Scritto e diretto da Gualtiero Serafini, anche il thriller Egonìa – già su Amazon Prime Video, circuiti USA e UK - è stato selezionato alla V edizione del FuoriNorma, kermesse dedicata al cinema sperimentale, conclusa da poco allo Spazio Scena. Nato Filmstudio nel ’67, è difficile riassumere mezzo secolo di storia di un luogo che ha visto passare cineasti, retrospettive e uomini di teatro del calibro di Godard, Rossellini, Antonioni, Storaro, Schifano, Julian Beck.

Tra i fondatori del Filmstudio, anche il critico e docente Adriano Aprà, anima e mente del festival. Ottanta primavere e non sentirle, vivo è il suo entusiasmo per i nuovi linguaggi. Ne elogia le soluzioni estetiche più radicali, spesso figlie delle nuove tecnologie, che offrono il privilegio di una libertà espressiva rinnovata e democratica. Oggi in tanti si avvicinano a una forma d’arte notoriamente costosa come il cinema, avvalendosi dell’autoproduzione che i nuovi mezzi consentono. E se cineasti come Lelouch e Soderbergh hanno fatto esperienza di shooting con l’IPhone, e il Neorealismo con i suoi costi ridotti è ancora oggetto di studio in tutto il mondo, l’attuale fenomeno è certamente degno di nota.

Le sale chiudono, i magnati delle piattaforme fanno lobby, seducendo anche i più puristi del mezzo, e alle nuove generazioni non resta che inventarsi strade visionarie inedite, per non rinunciare al diritto d’espressione.

A ciò si aggiunge il colpo di grazia inferto dalla pandemia, che ha frantumato respiri artistici già affannosi per ragioni pregresse e faticano, oggi, a ritrovare l’antico vigore.

Ma, fortunatamente, qualche accenno di ripresa si registra e il lavoro di Serafini ne è un valido esempio. Risultato: una visione claustrofobica non meno soffocante dell’agonia inferta alla protagonista Valeria, per un preciso processo di empatia deciso a monte dallo stesso regista.

Bianco e nero, una strizzata d’occhio alle didascalie del muto e la presa diretta, scelta per non dissacrare il valore introspettivo del personaggio interpretato da Margherita Lamesta Krebel, conferiscono originalità al film e fanno dell’interprete l’indiscussa protagonista.

Un confronto pericoloso con la storia del cinema, se si pensa ad Anna Magnani in Cocteau La Voix Humaine versione Rossellini, o al più recente remake di Sophia Loren. Eppure, di formazione teatrale d’alto profilo – qualche nome: Strehler, la coach di Coppola Greta Seacat, Edda dell’Orso di Morricone, Myers e Brook, Cathy Marchand del Living, fra i suoi maestri – Lamesta Krebel si è abbandonata al mezzo, a lei sconosciuto fino a quel momento, regalandoci perle di contatto e fusione persona/personaggio sovente toccanti, che hanno allontanato il temuto rimpianto di mostri sacri d’altri tempi, sempre dietro l’angolo. Piani-sequenza su primi piani lunghissimi, accenni canori a cappella per un lavoro interiore sul ruolo che scava a fondo e respira talento; Edoardo Siravo, la star del cast, memorabili le sue sfumature vocali di pregio; Anwar Kalander, attore sensibile diretto anche da Ridley Scott. Il tris ha convinto un pubblico vario, per età ed estrazione, stimolandolo al dibattito post-proiezione. Ma il poker d’assi non sarebbe stato possibile senza la carta Serafini.

Inquadrature insolite e uno script giocato fra psicanalisi e matematica testimoniano la profondità di pensiero del regista. Girato in tempi pre-Covid, Egonìa è un film pionieristico. Come tutte le (pre)visioni non è immune da un processo di perfezionamento in itinere e si offre, perciò, a spunti di studio. Ma soprattutto è la conferma che Serafini ha saputo elevarsi su un sistema livellato troppo spesso al ribasso, malato da logiche spurie, che impediscono di riconoscere il talento e valorizzarlo. Eppure la cura urge, per il bene del cinema e dell’arte tutta.


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