All’asta sono andate 82 lettere dello scrittore, 23 scritte a mano, 59 dattiloscritte e firmate, per complessive circa 120 pagine, 8 telegrammi, 3 fotografie, 8 cartoline, 3 testi/racconti dattiloscritti (due inediti), articoli e ritagli vari di giornali.
Oltre alla corrispondenza, il lotto è arricchito da diversi telegrammi, cartoline, tre belle fotografie con dedica, articoli e ritagli vari di giornale ma soprattutto tre dattiloscritti, due quali inediti. A tutto questo si aggiungono ben 12 volumi di Malaparte, quasi sempre prime edizioni, 7 dei quali recanti sentite dediche.
Un insieme che emoziona, non solo per chi ha passione per lo scrittore Malaparte ma per la capacità che ha di illuminare - con una forza espressiva unica – alcuni degli anni chiave della nostra Italia passata.
Il tutto ha fruttato 16.379.00 euro. Peccato, si poteva salvare tutto questo materiale, avrebbe potuto comprarlo una Fondazione, lo stesso Ordine dei Giornalisti, forse qualche Università che insegna agli studenti a diventare giornalisti. Ma a volte le regole del mercato sono ferree.
È difficile, quasi impossibile, sintetizzare le 82 lettere manoscritte e dattiloscritte che compongono questo epistolario storico, un totale di circa 120 pagine che si snodano tra gli inizi del 1943 sino all’aprile del 1957: quindici anni vissuti davvero intensamente, sia per Curzio che per Loula, e direi per l’Italia intera, che qui affiora nitida e vivida.
C’è una lettera strappata, dattiloscritta su carta blu, di cui resta appena una pagina e mezzo, ma dove si legge: “Un giorno si saprà quel che abbiamo fatto, e vorrò vedere il muso di quei vigliacchi di Capri! La prego, anzi, le impongo, di bruciar subito questa lettera. La guerra è virtualmente finita, ma non è finita. Mi obbedisca cara Loula. Ho fatto forse male a scriverle ciò. Mi obbedisca, almeno, se vuol darmi una prova di affetto. Sappia, insomma, che gli americani sono andati su tutte le furie, quando hanno saputo che mi avevano arrestato [seguono parti cancellate]. Ciò non significa che io in avvenire non avrò noie: tenteranno di darmi noia ancora. Ma mi potrò difendere, e poi, fra un anno al massimo tutto questo sistema di arresti, di processi, etc. finirà e allora…”.
Di sei pagine ne restano appena tre scarse, Loula non obbedì (per nostra fortuna) all’ordine di bruciarla e così ci rimane traccia di questo delicato momento nella vita di Malaparte. Siamo senz’altro nel 1943 a ridosso dell’arresto romano, e sono anni davvero difficili.
In un’altra lettera del 23 giugno (presumibilmente del 1946), consegna a Loula per il tramite di una comune amica “un pacchetto con dentro una volpe argentata e una volpe platinata. (….) Non so come andranno a finire le mie cose. Debbo aspettarmi tutte le violenze e tutte le ingiustizie possibili, specie dopo gli ultimi cambiamenti. E penso sia meglio provvedere, prendere le necessarie precauzioni. Se mi capitasse una disgrazia, dovrei pensare all’avvocato per la mia difesa. E ci vuole un grande avvocato. Ma un grande avvocato, oggi, non accetta se non ha un grosso anticipo. Cento o centocinquanta mila lire. Puoi tentare di vendere le mie volpi? Il prezzo è alto ma di tutte e due mi accontenterei di 150.000 lire. (…)". Ma poi la guerra finisce, e il segno della ritrovata “normalità” è la voglia di ballare.
Lunedì 9 agosto 1948: “Cara Loula e caro Willy…Edda balla tutte le sere, in mezzo a una piccola corte di principi romani collaboratori, che ballano in camicia di seta nera, cinturone d’oro, e calzoni bianchi, come ai tempi passati. Il fascismo diventato snobismo. Chi lo avrebbe mai immaginato!”.
L’Edda menzionata è ovviamente Edda Ciano, di casa a Capri. La Capri che descrive è uno scrigno di contraddizioni, tra ex fascisti, collaborazionisti, irriducibili, viveur italiani e stranieri etc.
E la normalità ritrovata è anche un vecchio Camus così descritto: (23 febbraio 1950), “Camus è sempre più vecchietto, ripete le cose ogni cinque minuti, ripete le stesse domande cento volte, e annoia tutti, perché non sa star zitto, e allora parla a vanvera, con quel cretino spirito mondano che a me dà sui nervi maledettamente. È una specie di Ivancich in calzoni. Non se ne vuole andare, e me lo terrò fino a Natale! Ma in fondo è un brav’uomo, e mi vuol bene. Ho capito che cos’è: è un pique-assiette. Sta qui perché così risparmia. E in fondo non ha che la pensione, per vivere. (…)”.
Camus definito un simpatico e onesto “scroccone” è davvero il massimo! Ma tutto questo era solo una piccola parte del tutto. Peccato davvero che sia andato tutto all’asta.
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