Giovanni ed Elisabetta: la loro esperienza in terra di Thailandia è parecchio illuminante circa i reali e pragmatici contorni del “Paese dei Sorrisi”
Italia, Svezia, Thailandia e tra poco Stati Uniti: una coppia in perenne spostamento, per motivi di lavoro e che dal proprio particolare osservatorio, può mettere a confronto usi, costumi e differenze culturali.
di Francesco Tortora
Giovedì 15 Giugno 2023
Dal nostro corrispondente a Bangkok - 15 giu 2023 (Prima Pagina News)
Italia, Svezia, Thailandia e tra poco Stati Uniti: una coppia in perenne spostamento, per motivi di lavoro e che dal proprio particolare osservatorio, può mettere a confronto usi, costumi e differenze culturali.

Giovanni arriva col casco da motociclista in mano, sua moglie Elisabetta lo accoglie con il suo sorriso raggiante che si illumina ancor più alla sua vista. Siamo da Gigi Café, un locale con una doppia valenza di bar e ristorante di stampo francese, lungo Soi Sukhumvit 11, a Bangkok, nel pieno centro del cuore pulsante della Capitale thailandese. In cucina, però, ed alla consolle del dee jay c’è un italiano, lo si sente e lo si vede, si tratta di Edoardo Bonavolta, il quale prepara le pietanze con gusto ed estetica italiana, mentre la musica, sebbene su ritmi disco, è per la gran parte una rivisitazione delle più note canzoni italiane Anni ’60 e ’70. 

Giovanni Fontanelli ed Elisabetta Zuccaro, sono coniugi e genitori di quattro figli, due maschi e due femmine, nati da matrimoni precedenti di ognuno dei due. Con loro vive la figlia avuta dalla loro unione, Giorgia. 

Giovanni ed Elisabetta, sono l’incarnazione stessa dell’appeal e della gioia di vivere, entrambi innamorati dei viaggi e guidati dalla comune passione per la ricerca di nuovi angoli del Pianeta da scoprire. 

Si sono conosciuti lavorando nella stessa azienda, la Electrolux, una nota multinazionale svedese che opera prevalentemente nella produzione di elettrodomestici pe la casa e per un uso professionale. 

 

Elisabetta: “La mia formazione professionale è quella di insegnante elementare ma la mia attività professionale si è svolta nel ruolo di assistente manager, plan manager. E’ così che ho conosciuto Giovanni, anch’egli impegnato professionalmente nella sede di Pordenone della Electrolux. Una volta diventata madre di due figli, questa è stata la dimensione che ha occupato grandemente la mia esistenza ed alla quale mi sono dedicata totalmente. Giovanni, invece, ha volta per volta ricevuto differenti indicazioni circa le sedi della operatività professionale, così, dalla sede di Pordenone ha lavorato nella sede della casa madre, io l’ho seguito, ovviamente, in Svezia. Poi nel 2019 siamo giunti qui in Thailandia e, tra poco, ci trasferiremo nella nostra prossima destinazione, ovvero Charlotte, negli Stati Uniti.  

 

Com’è stata la vostra esperienza thailandese? 

 

Appena giunti in Thailandia, dalla Svezia, il contrasto tra i due mondi culturali è apparso molto evidente, eravamo però attratti dalla esoticità della nostra nuova sede e come sempre, eravamo spinti dalla curiosità, dalla voglia di conoscere. Ad oggi, volendo proprio fare un bilancio della nostra permanenza, ci si trova ad uno scenario in chiaro-scuro, diciamo. La gente, i thailandesi, sono animati da un carattere gentile, da un approccio sempre accogliente e improntato alla sollecitudine nei tuoi confronti. Nel medio-lungo periodo, però, alcuni aspetti della vita in Thailandia, soprattutto nella Capitale, Bangkok, mostrano anche le complessità del vivere in una megalopoli, come il traffico quasi perennemente congestionato, l’inquinamento, il sovraffollamento di alcune aree urbane. 

Un vero spartiacque è stato il Covid: noi abbiamo avuto la possibilità di sganciarci dal lockdown di Bangkok, siamo stati a Hua Hin e mentre i nostri figli svolgevano i loro compiti scolastici in teleconnessione, mentre Giovanni poteva adempiere al suo lavoro in teleconferenza, abbiamo potuto godere di uno scenario meraviglioso, con restrizioni minime rispetto a quelle che sono state imposte nelle grandi città, soprattutto Bangkok. Siamo tornati nella capitale solo quando le attività scolastiche son tornate “in presenza” e quindi dovevamo fisicamente accompagnare i nostri figli a scuola. Quando -durante il lockdown di Bangkok- siamo stati a Pattaya, quella città ci è sembrata tranquilla, dignitosamente vivibile, con un panorama marittimo incantevole. Ben altra scena si è presentata quando, in epoca “normale” siamo passati attraverso la stessa Pattaya e ci si è presentato uno scenario tipico di sovraffollamento turistizzato, da suburra metropolitana, insomma, una scena ormai tipica nella quale non riesco a trovarmici bene. 

 

E nel mondo del lavoro, le differenze culturali hanno pesato? 

 

Giovanni: C’è molta oleografia circa il modo di esser e comportarsi dei thailandesi nel mondo del lavoro. Bisogna, però, tenere conto di alcuni aspetti, compreso il fatto che noi guardiamo a tutto questo con occhi e parametri di valutazione che sono occidentali. Per quanto riguarda la mia personale esperienza, nella azienda per la quale lavoro qui in Thailandia, ho riscontrato, invece, una particolare cura al dettaglio, al senso della disciplina e del rispetto delle regole. I colleghi sono stati molto attivi nell’accoglienza e molto gentili nell’aiutarci a risolvere le cose pratiche riguardanti il vivere e la permanenza in Thailandia.  

I thailandesi lavorano bene in team, notoriamente le normative locali del mondo del lavoro spingono fortemente le aziende investitrici ad assumere personale locale ma, una volta chiarite le mansioni e tutte le fasi del lavoro che vanno assolte quotidianamente, ognuno nel proprio ruolo si impegna e segue le direttive. Circa la affidabilità della collaborazione nel tempo, a differenza di altre collocazioni professionali, qui ci si sposta verso altre occupazioni con meno frequenza rispetto a quanto accade per altre figure lavorative e per altri tipi di lavoro. Il fatto che si debba avere dei titoli di studio e delle qualifiche professionali specifiche per il ramo commerciale della Electrolux, tende a individuare figure lavorative adatte per questa azienda e per questi lavori che essa prevede. Lavorare in team, nel rispetto dei ruoli e delle posizioni, poi, rende tutto questo un organismo che si muove verso un unico obbiettivo comune. Vi è quindi una certa continuità nel tempo e si struttura, allo stesso tempo, un senso di familiarità, un senso di appartenenza. La sede produttiva di Rayong, ad esempio, è del tutto autosufficiente e gestita seguendo le direttive che sono state emanate dalla Casa madre e che sono state adattate ed applicate qui nel contesto thailandese. Si tratta di un processo che si svolge qui in Thailandia, come in Svezia, in Germania o altrove. Non vi è alcuna differenza. Credo, quindi, che il punto sia un altro: la definizione di una specifica consapevolezza. Nel momento in cui metti a disposizione dei colleghi e dipendenti locali tutta la strumentazione concettuale sufficiente per poter operare e lavorare adeguatamente, tutto procede in modo standard senza particolari scostamenti. 

 


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