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Emergenza Covid-19.
Emergenza Covid-19.
“Non possiamo pretendere che le cose cambino se facciamo sempre le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato”.
Chissà se quando Albert Einstein scrisse queste cose la società civile in cui viveva, e il suo tempo, erano attraversati e “piegati” da una pandemia come quella che noi ogni giorno stiamo vivendo ormai sulla nostra pelle.
Di certo la sua analisi sulla crisi non è per nulla banale, e se possiamo concedercelo -trattandosi di un genio come Albert Einstein- l’approviamo fino in fondo.
La nostra esistenza nel giro di due settimane è stata letteralmente stravolta da nuove abitudini e nuovi modi di vivere.
Per la prima volta se si incontra per strada un vecchio amico, lo si saluta a distanza, osservando scrupolosamente le indicazioni che ci vengono in queste ore dai virologi. Niente strette di mano, peggio ancora se parliamo di abbracci veri e propri.
Per salutarsi basta appena un cenno del capo, o delle mani, o l’accenno ad un sorriso. Per la prima volta, per le strade, troviamo pochissima gente disposta a fermarsi e a scambiare qualche parola insieme a noi. Anzi, a volte accade di peggio.
Soprattutto quando si entra in un supermercato o da un droghiere, vedi che la gente che hai accanto, o che ti passa vicino, fa di tutto per evitarti, evita di incrociare il tuo sguardo, a volte appare disgustata del fatto che tu riesca ancora a sorridere, e se poi non porti la mascherina ti danno immediatamente le spalle, per evitare qualsiasi contatto fisico, e per rispettare il metro e oltre consigliato dai virologi come distanza media di salvezza.
Per la prima volta vedi la gente usare finalmente, e tutti davvero questa volta, i guanti per prendere dai banconi la verdura esposta in bella vista.
Se non altro il coronavirus almeno ci ha insegnato che l’igiene nei supermercati pubblici va rispettata davvero e in tutte le maniere possibili. Ma il coronavirus ci ha insegnato anche a stare in fila, finalmente! Non ricordavo file così ordinate dagli anni della mensa universitaria, almeno allora eravamo tutti uguali e ognuno di noi sapeva di dover rispettare gli altri. Guai allora a scavalcare una fila. Così è oggi finalmente. La gente va a fare la spesa e si sistema in fila ordinatamente dietro tutti gli altri, e questa volta senza mai lamentarsi di nulla.
Per la prima volta abbiamo riscoperto, o meglio, abbiamo scoperto lo smart working, il lavoro a casa, il lavoro in rete, il lavoro on line, e mai come questa volta forse ogni dipendente lavora almeno il doppio di quanto non si facesse in ufficio.
Tutto questo accade forse perché si sta a casa propria, forse perché si ha il timore che la rete e il sistema informatico registri la nostra attività e il tempo realmente trascorso davanti al PC, o forse molto più semplicemente perché stando a casa, e non in ufficio, non hai più le distrazioni proverbiali e tradizionali di certi ministeri o uffici pubblici, dove regna la pessima abitudine ad osservare troppe pause- caffè, o ancora peggio troppe pause per discutere di cose inutili e senza senso.
E per la prima volta riscopriamo il piacere del tempo, riscopriamo il silenzio delle nostre città, il piacere di ritrovarci insieme con gli amici sul tablet e su Whats App per quello che gli psichiatri del momento chiamano “la colazione virtuale”.
Il dato positivo è che per stare in compagnia dei tuoi amici più cari questa volta non devi attraversare di corsa la città, non devi sottrarre tempo prezioso alla tua vita, non devi impazzire per cercare un posto a tavola e che, se non hai prenotato in tempo, è spesso è occupato, e devi aspettare oltre, e soprattutto non devi spendere neanche una lira per scambiare un saluto che oggi via telefonino è altrettanto pieno di calore e di amore.
Ci viene il dubbio che Einstein abbia ragione fino in fondo. Salvo poi, che al rientro dall’allarme rosso e dal rischio coronavirus, ognuno di noi non ritrovi i vecchi vizi e le vecchie pessime abitudini del passato.
Potrebbe accadere, certo, ma potrebbe anche non accadere, e allora avremo la certezza assoluta che il coronavirus, se non altro, avrà cambiato per sempre le nostre vecchie e stupidi pratiche di vita quotidiana.
Voglio spiegarmi meglio.
Fino a qualche settimana non avrei mai sopportato che mi imponessero di lasciare le scarpe appena sull’uscio di casa, per evitare possibili rischi contagio.
Oggi invece tutto questo mi appare anche normale, e mi pento di non aver rispettato per lunghi anni questa tradizione, tutta americana, nelle case dei miei amici che vivono oltre oceano e che da mezzo secolo, per abitudine e per cultura, prima di entrare lasciano le proprie scarpe sull’uscio di casa.
Sono certo che ne vedremo ancora di belle nei prossimi giorni, ma perché non dirlo con chiarezza?
Benvenuta anche questa parentesi, perché se non altro per qualche settimana ci fermeremo tutti davvero, e non solo con il corpo, ma soprattutto con la mente, magari costretti dai vari decreti della presidenza del consiglio e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, giustissimo, ma almeno impareremo forse ad apprezzare sempre di più lo scorrere del tempo.