Lavoro: “Smart working e smart workers”.

Il futuro è dei lavoratori invisibili. Il lavoro agile soppianta il telelavoro, derubricato ormai a mera formalità contrattuale, e si pone come modello lavorativo del futuro tra scetticismo e perplessità.

(Prima Pagina News)
Domenica 29 Settembre 2019
Roma - 29 set 2019 (Prima Pagina News)

Il futuro è dei lavoratori invisibili. Il lavoro agile soppianta il telelavoro, derubricato ormai a mera formalità contrattuale, e si pone come modello lavorativo del futuro tra scetticismo e perplessità.

La legge 81 del 2017 disegna il nuovo mondo del lavoro, il futuro è dei lavoratori invisibili. Il lavoro agile soppianta il telelavoro, derubricato ormai a mera formalità contrattuale, e si pone come modello lavorativo del futuro tra scetticismo e perplessità. Eppure alcuni studi lo indicano come un valido e innovativo modo di lavorare, efficace strumento che riduce il fenomeno dell’assenteismo, migliora la produttività, diminuisce i costi e fa bene all’ambiente: meno traffico, meno emissione di C02 e migliore utilizzo dei trasporti pubblici. Lo “smart working” però per poter essere attuato presso una azienda o una pubblica amministrazione ha la necessità di rispettare quattro requisiti imprescindibili: una mirata revisione organizzativa, una congrua flessibilità sull’orario di lavoro, un’ampia concezione di luogo di lavoro e una buona dotazione tecnologica. Tuttavia, soprattutto nel pubblico impiego, questo istituto potrebbe avere poca compatibilità con le attività presenti negli enti pubblici, spesso condotte con procedure burocratiche complesse e digitalizzate solo in parte o non digitalizzate. Nel 2017, grazie alla direttiva n. 3 del Presidente del Consiglio dei Ministri, il lavoro agile inizia ad essere una realtà perché vengono definiti gli indirizzi e le linee guida per la realizzazione di questo nuovo modo di lavorare. Non si ragiona più solo per ore lavorate ma per obiettivi, il lavoro nel pubblico impiego cambia volto. E i lavoratori? Le statistiche dicono che sono entusiasti, elettrizzati dalla voglia di lavorare “da remoto”. E’ fondamentale premettere che presupposto irrinunciabile per la realizzazione dello “smart working” è il comune accordo tra la società/ente pubblico ed il dipendente ovvero la volontarietà delle parti. Altro elemento fondamentale, come già accennato in precedenza, è che il rapporto di lavoro subordinato “classico” si trasforma in un rapporto di lavoro svincolato da orario e spazio ed è statuito attraverso uno specifico accordo tra il dipendente ed il datore di lavoro. Non è più centrale sapere quando entra o esce o dove si trova il lavoratore ma piuttosto che ruolo ricopre e cosa fa. Il lavoro on line spodesta di fatto la postazione fisica, ovvero la classica postazione di lavoro, per sostituirla con un dispositivo: p.c., smartphone o tablet. Alcuni vantaggi sono facilmente intuibili, dall’eliminazione dello stress da viaggio per raggiungere la sede di lavoro ad una maggiore conciliazione tra vita privata e vita professionale, altri invece meriterebbero di essere verificati, uno su tutti il tanto decantato aumento della produttività. Dove ci sono dei pro, solitamente ci sono anche dei contro e questo tema non fa eccezione: la prima criticità riscontrata è il rischio di isolamento ovvero la perdita di quell’inclusione sociale di cui il lavoro è promotore; la seconda potrebbe essere la difficoltà nella pianificazione delle attività, a danno della produttività; la terza potrebbe essere la distrazione da fonti esterne. Come in altri casi, uno strumento teoricamente valido e istituito per nobili fini potrebbe trasformarsi, se alterato, in un metodo vincente e formalmente impeccabile per eludere il lavoro. Noi italiani, sia come aziende che come lavoratori, abbiamo maturato la cultura e le necessarie competenze tecniche per poter diventare degli “smart workers”? Possediamo una cultura aziendale basata sulla fiducia, sulla predisposizione all’autonomia e alla responsabilità? Per cambiare così radicalmente il mondo del lavoro credo sia prima necessario cambiare il modo di lavorare che può avvenire solo attraverso un processo di trasformazione delle parti, datore di lavoro e lavoratore, in un’ottica di valorizzazione della persona che passa attraverso l’affidabilità ed il senso di responsabilità. Credo che il fenomeno del lavoro agile sia destinato a svilupparsi e a diffondersi, anche se attualmente le statistiche sono ancora modeste e si è registrata qualche “marcia indietro” a dimostrazione che non c’è unanime convinzione in questa prassi innovativa, ma potrà affermarsi solo se crescerà il rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore oggi ancora governato da troppa diffidenza reciproca. Ci sono elementi di ambiguità che andrebbero risolti, bisognerà continuare nell’analisi del fenomeno per comprendere meglio quali sono i fattori che possono ostacolare o rendere più efficace lo “smart working” ma credo che ancora una volta, come per altri delicati temi, sarà l’etica del datore di lavoro e del lavoratore il vero arbitro di questa partita e detterà la vittoria o la sconfitta di questo nuovo modo di vivere il lavoro.


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