Libri d’estate, “La Calabria spiegata agli italiani”, è l’ultimo saggio dello scrittore Domenico Nunnari

Estate è tempo di libri, ma soprattutto è tempo di riflessioni e di approfondimenti. 

“Perché ho scritto un libro, con il titolo “La Calabria spiegata agli italiani”, apparentemente un po’ presuntuoso? Perché sentivo il bisogno di rifiutare l’idea falsa della maggioranza dell’opinione pubblica italiana che la Calabria sia solamente terra del male; che i calabresi, in generale, siano criminali e mafiosi magari per fatto antropologico o genetico”.

di Maurizio Pizzuto
Giovedì 19 Luglio 2018
Roma - 19 lug 2018 (Prima Pagina News)

Estate è tempo di libri, ma soprattutto è tempo di riflessioni e di approfondimenti. 

“Perché ho scritto un libro, con il titolo “La Calabria spiegata agli italiani”, apparentemente un po’ presuntuoso? Perché sentivo il bisogno di rifiutare l’idea falsa della maggioranza dell’opinione pubblica italiana che la Calabria sia solamente terra del male; che i calabresi, in generale, siano criminali e mafiosi magari per fatto antropologico o genetico”.

Estate è tempo di libri, ma soprattutto è tempo di riflessioni e di approfondimenti. 

“Perché ho scritto un libro, con il titolo “La Calabria spiegata agli italiani”, apparentemente un po’ presuntuoso? Perché sentivo il bisogno di rifiutare l’idea falsa della maggioranza dell’opinione pubblica italiana che la Calabria sia solamente terra del male; che i calabresi, in generale, siano criminali e mafiosi magari per fatto antropologico o genetico”.

C’è un libro meraviglioso che vi vogliano suggerire di leggere, che noi abbiamo letto tutto d’un fiato e che racconta una Calabria finalmente diversa da come i grandi giornali italiani e stranieri ce la descrivono da anni. Non più la Calabria dalle tinte scure e alimentate dalla mafia o dalla ‘ndrangheta, ma la Calabria della luce, del futuro, delle prospettive, delle energie positive, delle analisi, della speranza. “La Calabria spiegata agli italiani”, sottotitolo “Il male, la bellezza e l’orgoglio della nostra Grecia”, (Rubettino Editore, 200 pagine), lo ha scritto un giornalista di lungo corso, Domenico Nunnari, per lunghi anni autorevolissimo Vice Direttore della Testata Giornalistica Regionale della Rai, e prima ancora per lunghi anni Capo della Redazione Giornalistica della Sede Rai della Calabria, dove era arrivato ancora giovanissimo e appena ragazzo. Intellettuale e cronista  elitario, scrittore e saggista di forte connotazione, figlio di un paesino della Calabria che si affaccia sullo Stretto di Messina, Bagnara, e dove Domenico Nunnari aveva già dato alla luce alcuni dei suoi lavori più importanti.

“Ho scritto questo libro- ci spiega Domenico Nunnari,  con questo suo proverbiale sorriso buono che non ha mai perso nel tempo - non per difendere la Calabria che non è difendibile per alcuni mali endemici che la aggrediscono, primo fra tutti il cancro mafioso-ndranghetistico, ma per riflettere, interrogarmi, se di fronte al male mefistofelico diffuso, al degrado civile che offende il nostro passato e umilia il nostro presente, ci sono ragioni, cause, che hanno portato le cose fino a tal punto da far diventare la nostra amata Calabria una terra senza libertà, senza diritti, senza democrazia, senza tutto”.

In una lunga recensione pubblicata sulla prestigiosa “Rivista Economica del Mezzogiorno” della Svimez, editrice Il Mulino, a firma di Sergio Zoppi, storico  meridionalista ex presidente del Formez, Zoppi sottolinea come  “Le pagine dello stimato giornalista e saggista, si leggono con piacere risucchiati dalla giostra di citazioni e di descrizioni ambientali, scorrono veloci mettendo insieme storia e attualità. Si inizia da Erodoto, seguito da Pitagora e da Zaleuco, padri nobili della Calabria greca, per giungere a Gioacchino da Fiore, Bernardino Telesio, Tommaso Campanella, Lorenzo Pilato, Barlaam Calabro, Mattia Preti, per proseguire sino a Corrado Alvaro, nomi senza i quali l’Occidente – non solo la Calabria e l’Italia tutta – non sarebbe quello che oggi è. Paradiso terrestre e patria del brigantaggio, il sole e le tenebre della notte che si stendono su territori circondati dai mari Tirreno e Jonio, con l’ossatura centrale formata dal Pollino, dalla Sila e dall’Aspromonte. Paesaggi e scorci senza eguali, luoghi cantati nei secoli, contrassegnati da memorie artistiche di struggente bellezza, il cui emblema è rappresentato dai guerrieri di Riace, custoditi oggi, nel loro virile, altero vigore bronzeo, nel Museo nazionale archeologico di Reggio Calabria”.

Incontriamo Domenico Nunnari nella sua vecchia casa di famiglia, a Bagnara, di fronte ad un mare senza eguali, tra Palmi e Scilla, lo Stretto di Messina a due tiri di schioppo e lontane, in alto mare, lo scheletro e la possanza delle feluche, le tradizionali barche usate da queste parti per la caccia al pesce spada, uno spettacolo della natura davvero incomparabile e impossibile da descrivere e che ha fatto da cornice all’infanzia e alla crescita professionale di questo straordinario autore e saggista meridionale.

-Nunnari, proviamo a partire da questo: calabresi solo criminali?

“Così partiamo male davvero. Vede, questa convinzione, questa idea un po’ ipocrita che si ha della Calabria e della sua gente, la considero una menzogna storica “calcolata”, voluta, cercata fino a farla diventare un comodo alibi per lasciare questo sud del sud fuori dai processi di sviluppo economico e sociale del Paese”.

-E con quale obiettivo?

“Con un unico scopo - mai dichiarato - ma abbastanza evidente: quello di far crescere un’altra parte di Paese, il Nord, a danno di chi resta fuori: escluso, trascurato, sacrificato, lasciato ai margini della vita culturale e civile dell’Italia”.

-Abbastanza impietosa come analisi, non crede ?

“Nella storia , parafrasando una celebre espressione di Bertolt Brecht, la Calabria si è seduta dalla parte del torto, dato che tutti gli altri posti erano già occupati. E in questa posizione punitiva, di torto per destino, è rimasta fin dall’inizio della vita nazionale, collocata tra le “zone da sacrificare”, in nome del progresso di altre parti d’Italia”.

-Può essere più preciso?

“Vede, è’ come se al primo giorno di scuola ti mettessero senza una ragione in castigo dietro la lavagna, per poi chiederti perché non stai seduto tra i banchi diligentemente, insieme agli altri compagni di classe, a studiare. In questo modo, sei spinto a crescere con uno strano senso di colpa, senza conoscere qual è veramente questa colpa. E’ questo il grande imbroglio storico di un’Italia fragile, dall’unità malcerta, in larga misura corrotta nei gangli vitali della sua amministrazione pubblica. Con una parte non trascurabile della sua classe imprenditoriale che ruota attorno alla politica con l’unico scopo di saccheggiare, rubare. Togliere spazi, opportunità, all’imprenditoria seria che fa girare il motore dell’Italia”.

-Come è nata l’idea di questo suo nuovo libro?

“E’ nata da una semplice domanda che da anni faccio a me stesso. Mi sono chiesto: perché la Calabria è così? E’ davvero così, come la descrivono i giornali, gli intellettuali, i politici per fatto atavico o antropologico? Aveva forse ragione lo scienziato criminologo Cesare Lombroso, per il quale il tipo calabrese è un delinquente naturale? E quanti sono ancora oggi, in Italia, a pensarla in questa maniera? Quanti sono i nipotini di Lombroso nel mondo politico, intellettuale, culturale italiano? La verità è che nessuno ha tentato di comprendere sul serio, con coscienza, questa strana “anomalia calabrese” nel panorama nazionale europeo ed occidentale. Mai, a nessuno, è convenuto guardare dentro la vita difficile degli uomini e delle donne in questo lembo di terra estrema dove l’Occidente e l’Oriente si mescolano, da secoli, con culture e tradizioni che si somigliano e spesso si amalgamano. Nessuno, si è mai chiesto qual è il motivo per cui le cose sono arrivate a tal punto, in questo pezzo d’Italia dove fisicamente finisce l’Europa. Nessuno, si è mai chiesto se ci sono cause storiche, o altro, che hanno impedito a quasi due milioni di cittadini italiani di valicare il muro che li separa dal resto d’Italia. Senza contare i due milioni e oltre che se ne sono dovuti andare, sparsi e spersi per il mondo, lasciando figli, mogli, affetti, mura domestiche, paesaggi, ambienti dove sono cresciuti. Queste, sono ferite che non si rimarginano mai, che restano incise, fortemente, dentro la nostra umanità”.

-Mi pare che lei nel suo libro si prenda carico di una analisi spietata nei confronti della politica.

“Come si pretende che cresca, maturi, si evolva la gente che vive da almeno due secoli in condizioni di disuguaglianza, con una classe dirigente mediocre, suddita del potere dei partiti a cui serve solamente come granaio di voti. In questo modo di vivere, succede che gli spazi lasciati vuoti tendono a riempirli le consorterie mafiose e occulte. La mafia, in un certo strato sociale sottosviluppato e incapace di reagire, rappresenta l’accesso facile alla ricchezza, offre opportunità ammorbanti che distruggono per primi coloro stessi che tendono a cogliere convenienze che convenienze non sono affatto, nell’illusione di prendere scorciatoie. Anche in questo, lo Stato, non ha capito come agire, lasciando esclusivamente all’impegno, al coraggio e qualche volta all’eroismo di magistrati, carabinieri, forze dell’ordine tutte, il compito di combattere il fenomeno e di difendere tutti noi. E’ fin dall’Unità, che quanto più sono andate avanti le altre terre italiane, tanto più l’umanità calabrese è rimasta indietro paurosamente e si sono create condizioni di imbarbarimento che non rispecchiano affatto l’indole di un popolo paziente e generoso costretto a convivere con realtà contraddittorie e a più facce”.

-E’ per  questo che ha scritto un nuovo saggio sulla Calabria?

“Assolutamente si. Vede, di questa strana “frattura” italiana, di cui le ho appena parlato, questa regione è l’espressione più emblematica: la più complicata, snobbata ed estrema di un dualismo che non si supera senza mettere in campo un vasto progetto di riconciliazione del Paese, che può venire solo da una presa di coscienza nazionale collettiva a tutti i livelli, politico, culturale, economico, religioso. Ho scritto anche per lanciare un avvertimento e un appello. L’appello a fare a superare l’anomalia “costitutiva” che dura ormai da quasi duecento anni. Se non si fa presto si corre il rischio che il territorio più a sud del continente europeo assuma le sembianze di uno Stato mafia di tipo balcanico e si inabissi. Ma se la Calabria affonda, il Paese tutto, con la sua malcerta unità, corre il rischio di non salvarsi a sua volta, di affondare. Bisogna fare presto il lavoro incompiuto di ricostruzione del Paese dopo la guerra e il nazifascismo, di riconciliare l’Italia, se non altro perché conviene a tutti”. 

Lasciamo Bagnara che è già sera, e lontano sul mare ritroviamo e scorgiamo ancora le sagome delle infondibili feluche: anche per loro il tempo da queste parti sembra essersi fermato per sempre, ma anche per loro domani sarà un altro giorno. 

 


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