Pino Nano, il processo a Natuzza Evolo, nel 1940 viene rinchiusa nel manicomio di Reggio Calabria - 3^ PUNTATA

L’Archivio Storico dell’Università Cattolica di Milano dal 1939 custodisce un carteggio riservato sul “Caso-Natuzza” ricco di documenti autografi del Vescovo dell’epoca, mons. Paolo Albera, e del fondatore dell’Università Cattolica di Milano Padre Agostino Gemelli

di Pino Nano
Venerdì 03 Aprile 2020
Roma - 03 apr 2020 (Prima Pagina News)

L’Archivio Storico dell’Università Cattolica di Milano dal 1939 custodisce un carteggio riservato sul “Caso-Natuzza” ricco di documenti autografi del Vescovo dell’epoca, mons. Paolo Albera, e del fondatore dell’Università Cattolica di Milano Padre Agostino Gemelli

Arriva dunque la Settimana Santa, e a Natuzza ricompaiono le stigmate. Non solo alle mani, ma anche ai piedi e alle ginocchia. Addirittura, sulle ginocchia il sangue delle ferite che Natuzza presenta in questo particolare periodo dell’anno disegnano sul suo corpo strane figure umane. Ma c’è dell’altro. Natuzza riprende a sudare sangue, e il sangue che le sgorga dalla fronte, causato da una croce di spine che Natuzza in realtà non ha mai avuto o portato, lascia impresse sui fazzoletti usati per detergere le ferite ancora aperte immagini di vario genere, persino lettere e frasi in lingue straniere, alcune in ebraico, o disegni di calici e di croci, di angeli e di uccelli, insomma un mistero per nulla facile da interpretare e da spiegare.

Ma intanto, le voci si spargono incontrollate e incessanti.

Nel giro di poche settimane l’immagine e la storia di questa giovane donna, che “suda sangue” e che ha le ferite alle mani e ai piedi ancora aperte, diventa il cuore della discussione di interi paesi e di migliaia di persone. Il 29 giugno del 1940 accade un altro fatto straordinario.

E la festa dei Santissimi Pietro e Paolo, e Natuzza riceve in Chiesa a Paravati dal Vescovo monsignor Paolo Albera il sacramento della Cresima. “Corpus Cristi” …, proprio mentre il celebrante porge a Natuzza l’ostia consacrata la ragazza incomincia a stare male, ha forti tremori, lo sguardo stralunato, la mente confusa, immediatamente racconta di avvertire un brivido profondo lungo tutto il corpo, e sente qualcosa di gelido che le scorre sul davanti, poi improvvisamente sulla sua camicia bianca compare in maniera del tutto inspiegabile una grande croce di sangue.

Lo sconcerto è generale, la gente presente quel giorno in Chiesa grida al miracolo, e la notizia di quella croce di sangue formatasi da sola sulla camicetta bianca della ragazza, che aveva appena assunto il “corpo di Cristo”, fa il giro dell’intera Calabria. È evidente che a questo punto il Vescovo della Diocesi non sa più come gestire il fenomeno, soprattutto mons. Paolo Albera non sa più cosa dire, ai tanti che lo vanno a cercare, come poter “leggere” o interpretare il mistero di Paravati.

Come uscirne? Mons. Paolo Albera riprede allora carta e penna, e, questa volta a mano, scrive una nuova lettera personale e strettamente privata a Padre Agostino Gemelli, commettendo anche un errore veniale: perché anziché scrivere “Fortunata Evolo” mons. Albera chiama Natuzza, per ben tre volte consecutive nella sua lettera, “Fortunata Evoli”. È esattamente l’8 luglio 1940, e questo che segue è il testo integrale della missiva del vescovo al Rettore dell’Università Cattolica Sacro Cuore. “Eccellenza Reverendissima, mi torno a ricordarle sul caso “Evoli Fortunata” di cui Ella si è interessato e sul quale ha espresso il suo autorevole giudizio con nota del 27 febbraio scorso.

Ho messo in pratica quanto mi è stato consigliato e riferendo ancora interventi fenomeni rumori glieli espongo chiedendo il suo parere. La Evoli dal 29 giugno scorso, dopo ricevuta la sua ragione, va soggetta a eruzioni cutanee sanguigne localizzate alla spalla sinistra in forma di croce e al petto, parte sinistra, in forma di croce.

Le eruzioni sanguigne sono sempre precedute e seguite da forti dolori al cuore e alla spalla sinistra. Si trova in uno stato di prostrazione. Il medico incaricato di visitarla ha dichiarato che la Evoli si trova in ogni parte del corpo perfettamente sana, e non sa spiegare il fenomeno. Potrei mandare i pannolini intrisi di sangue a richiesta.

La prego del suo autorevole parere con alta stima ed anticipati ringraziamenti, Paolo Albera, Vescovo di Mileto”. Padre Gemelli non perde tempo neanche in questa occasione, e risponde a mons. Paolo Albera il 13 luglio successivo, non appena ricevuta la lettera dalla Calabria.

“Eccellenza Reverendissima - scrive padre Agostino Gemelli- l’esaminare il sangue non ha alcuna importanza nel caso prospettatomi da Vostra Eccellenza: La sola cosa che si può fare è l’esame del soggetto, esame che non può essere fatto che in una Casa di cura adatta, ove il soggetto sia sorvegliato da personale appositamente istruito. Dico questo perché simili fatti sono per lo più manifestazioni di isteriche; questa è la prima cosa da doversi escludere, se si vuol procedere oltre a determinare la natura dei fenomeni, che Vostra Eccellenza mi segnala.

Bisogna andare cauti e soprattutto non dare importanza ai fenomeni, perché di solito con questi ammalati il togliere importanza a quanto essi presentano finisce per far svanire tutti i fatti. Mi è grata l’occasione per porgere a Vostra Eminenza l’omaggio devoto dei miei ossequi”.

Venti giorni più tardi, esattamente il 1° agosto 1940, mons. Paolo Albera riprende carta e penna e questa volta, forse per timore di non essere assolutamente chiaro o leggibile, scrive a Padre Agostino Gemelli una lettera dattiloscritta, su carta intestata del “Vescovado di Mileto”. Fa riferimento alla risposta di Padre Gemelli del 13 luglio mons. Paolo Albera, e ripete ancora in questa occasione l’errore inziale, chiamando la sua “paziente” “Fortunata Evoli”.

In realtà, sul testo originale della lettera dattiloscritta era stato battuto il cognome corretto, “Evolo”, ma poi forse, rileggendo il testo, mons Albera, a penna, ha ricorretto in “Evoli”. A differenza però delle lettere precedenti, che risultano abbastanza chiare e comprensibili, il dato fondamentale che si coglie invece in questa nuova missiva diretta al Rettore della Cattolica è una certa confusione nel racconto che mons. Paolo Albera fa del problema-Evolo, e nella descrizione dettagliata che affronta sui temi secondari legati al cuore della vicenda.

Proviamo a rileggerlo insieme questo documento, partiamo dalla premessa: “Nella pregiatissima vostra del 13 luglio scorso mi consigliava, riguardo al caso della giovane Evoli Fortunata, che, per maggiore conferma di quanto voi asserivate, cioè che essa era affetta da isterismo, sarebbe stato conveniente che fosse inviata in una casa di cura speciale con personale adatto”.

E fin qui, tutto scontato. Mons Paolo Albera conferma infatti di dare credito alla diagnosi originaria di “isterismo” già formulata nei mesi precedenti da Padre Agostino Gemelli, ma qui il vescovo di Mileto introduce per la prima volta un elemento assolutamente nuovo, di cui non aveva mai parlato prima in realtà al Rettore del Sacro Cuore, il rischio cioè che Natuzza potesse passare nell’immaginario collettivo come una “Santa”.

“Ora -scrive mons. Albera a Padre Gemelli- quantunque i medici che l’hanno visitata, siano persuasi di isterismo, ed essa abbia perduto la fama di santa, che le avevano procurata l’esaltazione della famiglia in cui abitava…”

Cosa era successo in realtà nelle settimane precedenti a questa lettera? Semplice, Natuzza aveva preannunciato ai suoi datori di lavoro, nella casa dove lei era stata assunta come domestica, che “presto sarebbe passata ad altra vita” ed aveva indicato anche la data della sua morte.

La voce che Natuzza sarebbe passata ad altra vita si era intanto sparsa come un fulmine, passata di bocca in bocca, attraversato paese per paese, comunità per comunità, finendo oltre i confini regionali, il che era tutto dire dati i tempi e le difficoltà di comunicazione, facendo di una notizia locale un fatto di interesse nazionale.

E già la circostanza che Natuzza avesse predetto, venti giorni prima, il giorno della sua morte, già questo agli occhi dell’immaginario collettivo di quel tempo l’aveva resa in quelle settimane di attesa quasi una “Santa”. Nella sua lettera a Padre Gemelli mons. Paolo Albera lo fa intuire con assoluta chiarezza, “meno male che Natuzza non è morta”, come lei stessa aveva preannunciato, perché già solo questo riduce di molto la sua fama di “Santa”.

“Essa -scrive compiaciuto il vescovo di Mileto a Padre Gemelli- ha perduto la fama di santa, che le avevano procurata l’esaltazione della famiglia in cui abitava, poiché non si avverò quanto essa prediceva, cioè che sarebbe morta il 26 luglio ultimo scorso, alle ore due pomeridiane”.

Ma il vero problema di fondo per mons. Paolo Albera rimane ancora tutto in piedi, e nella sua lettera a Padre Gemelli insiste ancora una volta con il rimarcare dei “fenomeni di essudazione sanguigna, e non solo”, ma anche delle “figure che da quella essudazione ne sono derivate”, dettagli ai quali mons. Paolo Albera non sa dare nessuna spiegazione plausibile e soprattutto convincente. Sembrano tutti d’accordo, comunque, nella scelta originaria, che era quella di mandare Natuzza “in una casa di cura.

“Così come Vostra Paternità ha indicato” -sottolinea il vescovo di Mileto nella sua nuova missiva a padre Gemelli, “anche se veramente- aggiunge immediatamente dopo- qualche medico dice che non varrebbe la pena, dato che l’origine di questi fenomeni sarebbe tutta spiegata con l’isterismo, e basterebbe sottrarla dall’ambiente per provvedere alle cure”.

Ma dove mandarla? Dove rinchiuderla? E soprattutto, a chi affidarla? Interrogativi che mons. Paolo Albera si pone più volte, e qualche volta anche in maniera schizofrenica, ma lo è per via del clima generale che si è creato attorno alla vita e alla figura di Natuzza.

Non esita mons. Paolo Albera a riconoscere infatti che “non sarà facile allontanare Natuzza dalla casa dove oggi vive e lavora”, e scrive a padre Gemelli quello che forse neanche il rettore del Sacro Cuore si aspettava da un vescovo così illuminato e severo come lui: “Perché vostra Paternità abbia un’idea dell’ambiente voglio raccontarle che nel mese di luglio ultimo scorso, intorno a questa giovane, si è fatto molto rumore di santità, tanto che numerose donne del volgo dei paesi vicini ed anche dei lontani sono venute in Mileto, per domandare grazie e guarigioni della santa”. (3 puntata- Segue)


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