Pino Nano, Natuzza Evolo come Padre Pio: per Padre Agostino Gemelli “E’ solo una donna isterica” - 4^ PUNTATA

Nell’Archivio Storico dell’Università Cattolica di Milano il carteggio riservato sul “caso-Natuzza-Evoli” ricostruisce i dettagli del processo che il rettore dell’Università le fece nel 1940

(Prima Pagina News)
Sabato 04 Aprile 2020
Roma - 04 apr 2020 (Prima Pagina News)

Nell’Archivio Storico dell’Università Cattolica di Milano il carteggio riservato sul “caso-Natuzza-Evoli” ricostruisce i dettagli del processo che il rettore dell’Università le fece nel 1940

Per giorni e giorni, davanti alla casa dove Natuzza (in una foto del 1948) vive e lavora si erano registrati nei mesi precedenti numerosi assembramenti di gente arrivata a Paravati dai paesi più lontani della regione, gente in cerca di Natuzza, a volte veri e propri raduni, donne e uomini che arrivavano a Paravati soltanto per poterla vedere, per lasciarle un messaggio, nella maggior parte dei casi per poterle chiedere una grazia.

Mons. Paolo Albera scrive tutto questo al Rettore del Sacro Cuore e lo fa questa volta con una certa preoccupazione: “…Ha dovuto intervenire la Pubblica Sicurezza con aumentata forza per l’ordine pubblico, con il Capitano dei Regi Carabinieri, e un commissario di pubblica sicurezza. Oggi c’è deserto intorno alla casa, perché il miracolo della morte predetta e non avveratasi ha tolto i motivi della credibilità di questa buona gente del volgo.

Indicatemi la casa di salute dove mandare la Evoli. Vorrete essermi largo ancora una volta dei Vostri consigli e perdonarmi della mia importunità per la quale invoco venia e della quale mi sdebiterò presso il Signore, pregando grazie su di voi e sull’Opera dell’Università del Sacro Cuore”.

Con stima e Ossequi Paolo Albera”. Non si fa attendere la risposta di Padre Agostino Gemelli. Il 9 agosto 1940, con il numero di protocollo 6395 ben visibile in testa alla sua lettera di risposta, il Rettore della Cattolica scrive al Vescovo di Mileto e riconosce che “Le cose, come quello che Vostra Eccellenza mi prospetta sono sempre causa di dolori per un Vescovo.

Tale è l’esperienza di numerosi di questi infelici casi”. Padre Gemelli questa volta non si lascia andare a nessun preambolo di sorta, anzi va dritto al cuore del problema, e sul Caso-Evolo traccia in maniera netta, e questa volta definitiva, la sua diagnosi: “In linea di massima la soluzione-scrive Padre Gemelli a mons. Paolo Albera- è sempre quella: l’isolamento, in modo che si faccia il silenzio attorno alla persona”.

Dunque, Natuzza Evolo va isolata dal resto del mondo, e immediatamente. Padre Agostino Gemelli su questo tema non manifesterà mai nessun dubbio. Anzi, mai come in questo caso il rettore dell’Università Cattolica di Milano è più che certo che non esiste altra alternativa possibile di fronte al dilagare della “fama” che incomincia a circondare questa giovane donna calabrese. Ma Padre Gemelli, questa volta, va anche molto oltre il semplice concetto di “isolamento” della paziente, e consiglia al Vescovo di Mileto di imporre il “Divieto ai sacerdoti e alle persone iscritte all’Azione Cattolica di comunque interessarsi della cosa, sotto minaccia di pene”.

Sembra quasi di essere tornati ai tempi dell’Inquisizione, ma il tono e il carattere che traspare nelle righe di questa nuova missiva di Padre Gemelli a mons. Paolo Albera è un misto di “rabbia” e di “intolleranza” per quello che gli viene raccontato dalla lontana terra di Calabria. Padre Gemelli consiglia allora al Vescovo di Mileto che Natuzza venga immediatamente allontanata dalla casa dove vive: “Possibilmente allontanamento della persona, e collocamento di essa in un ambiente refrattario, onde essa non possa esercitare la sua azione suggestiva”.

E per evitare ulteriori incomprensioni da parte dello stesso mons. Albera, il Rettore della Cattolica va giù ancora più duro: “Mi pare inutile ricoverare la Evoli in una casa di salute, dato che i medici di costì hanno già constatato in modo sicuro che si tratta di isterismo”. Si intuisce a chiare lettere che Padre Gemelli non intende occuparsi più oltre del Caso-Evolo, o “Evoli”, come lui insiste con il chiamare Natuzza.

In altre occasioni, e in presenza di altri casi particolari e delicati come questo di Natuzza, Padre Gemelli non avrebbe mai indugiato così tanto, sarebbe invece partito da Milano di corsa per visitare il soggetto da mettere sotto osservazione, cosa che invece questa volta l’illustre sacerdote ritiene addirittura inutile fare, e forse anche superfluo, e adduce qui una giustificazione di comodo, che per la verità risulta immediatamente molto poco credibile: “Non dico questo per sottrarmi a una fatica - sottolinea padre Gemelli a mons. Albera-, che ben volentieri sopporterò, se necessario, per far piacere a Vostra Eccellenza; ma perché è un risparmio di spese, le quali, pur ridotte al minimo, importano sempre qualche cosa”.

Poi tenta una mediazione, anche questa però del tutto risibile: “Io avrei bisogno di avere la donna qui a Milano - aggiunge- e metterla in una casa di Religiose, ove poco le farebbero pagare, ma tuttavia, questa, è sempre una spesa da fare”. Morale della favola? È meglio che Natuzza ve la teniate in Calabria e che il “Caso-Evoli” si chiuda una volta per tutte.

“Poiché non conosco la situazione locale -insiste padre Gemelli- non so se Vostra Eccellenza possa riuscire ad ottenere l’isolamento della Evoli; è molto facile che persone che circondano l’interessata abbiamo poi ad accusarvi di “sequestro di persona”, di violazione, ecc, come in qualche caso è capitato. Ecco dunque vari elementi di giudizio che spero saranno sufficienti a Vostra eccellenza. In ogni caso mi scriva e sarà mia premura rispondere ai quesiti che mi verranno posti.

Chinato al bacio del Sacro Anello, porgo a Vostra Eccellenza l’espressione devota dei miei ossequi”. Per l’illustre fondatore dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano dunque la vicenda “Fortunata Evoli” va chiusa immediatamente! “Nulla di misterioso!”, insomma. “Nulla di trascendente!”, “Siamo solo in presenza di un volgarissimo caso di isterismo.

Niente di più”. Padre Agostino Gemelli denuncia senza mezzi termini l’incompetenza dei medici calabresi, che avevano fino ad allora seguito la ragazza, e usa tutto il suo carisma di scienziato per suggerisce a mons. Paolo Albera di far calare su questa vicenda il silenzio più assoluto. “Basta con gli interrogatori”, “Basta con gli esorcismi, a cui sottoponete la ragazza”.

Tutto questo non fa altro che rafforzare tutta la sua “condizione isteroide”. Da questo momento, il vescovo di Mileto farà di tutto per far rispettare fino in fondo le indicazioni ricevute da Milano. Riletta oggi, la relazione di Padre Gemelli appare non solo immotivata superficiale e quasi irrituale, ma sul piano scientifico molto lontana dalle certezze a cui la scienza ci ha educato.

Lo scrive senza mezzi termini, e con grande efficacia mediatica, nel suo primo libro dedicato a Natuzza Valerio Marinelli, che per mestiere e per tutta la vita ha fatto il docente universitario, ingegnere nucleare di grande carisma accademico, ancora giovanissimo lascia il suo lavoro al CNEN di Roma per andare a insegnare all’Università della Calabria appena nata, tradizionalmente “lontano da ogni forma di possibile suggestione religiosa”, e soprattutto primo vero biografo storico della donna di Paravati. Valerio Marinelli, a proposito delle analisi di Padre Gemelli su Natuzza non conosce mezzi termini, e da scienziato quale egli è sottolinea: “Non ho mai sentito parlare di isterici, analfabeti o colti, esibenti il fenomeno della scrittura spontanea e automatica del sangue. Affermare che l’emografia sia frutto di isterismo è assurdo, completamente antiscientifico”.

Valerio Marinelli va ancora oltre, e aggiunge: “Non ci vuole una grande intelligenza a confutare il giudizio del Fondatore della Cattolica, anche nel far discendere le visioni dei defunti della mistica paravatese dall’isterismo.

Perché, se in linea di principio non potevano avere carattere di allucinazioni, Natuzza aveva dato prove concrete della consistenza delle sue apparizioni, fornendo dettagli delle varie entità nonché i loro responsi, così precisi da convincere anche i più scettici”. Come dire? Padre Gemelli ha toppato su tutti i fronti. Naturalmente di fronte alle indicazioni avute dal Rettore del Sacro Cuore, al vescovo di Mileto, mons. Paolo Albera, non resta che agire e seguire le direttive ricevute dall’illustre scienziato. E così, subito dopo l’estate del 1940, la mattina del 2 settembre, per Natuzza Evolo è l’inizio di una nuova fase della sua vita.

Dopo un consulto abbastanza complesso e anche “abbastanza tormentato” il vescovo di Mileto decide di mandare e far rinchiudere la ragazza nel manicomio di Reggio Calabria. Ma era stata proprio questa, alla fine, la soluzione migliore che il vescovo di Mileto era riuscito a trovare per assecondare le indicazioni ricevute da padre Agostino Gemelli. Identica trafila, ce lo ricordano gli studiosi di questi temi, venti anni prima era capitata a Padre Pio.

Anche allora, nel caso del frate di Pietrelcina, padre Gemelli aveva avvertito i medici che allora lo seguivano a San Giovanni Rotondo: “State attenti, le ferite che il frate presenta alle mani e ai piedi sono ferite che si procura da solo”. E poi ancora: “Controllatelo, e se potete isolatelo”. La storia si ripete. Ma le sorprese non mancano. Per la giovane Natuzza, una volta rinchiusa in manicomio a Reggio Calabria, incomincia una nuova vita, inizialmente difficile e per certi versi anche “violenta”, ma solo perché l’ingresso in manicomio per una giovane donna come lei non poteva non risultare una “violenza inaudita” e una scelta ingiustificabile sotto tutti i profili.

Ce lo ha ricordato più volte lei stessa, quando era ancora in vita, e quelle rarissime volte che aveva accettato di parlarne con noi, aveva trovato anche la forza per sorridere. In realtà, le difficoltà per Natuzza, una volta entrata in manicomio, durarono forse meno di una settimana, non di più, il tempo appena sufficiente perché la ragazza si adattasse alla sua nuova condizione di reclusa, o di sorvegliata e ammalata speciale.

Anche qui, in manicomio, infatti, non si fermano i fenomeni straordinari che caratterizzeranno poi il resto della sua vita fino al giorno della sua morte, e questo a partire per esempio dalle essudazioni ematiche.

All’interno del manicomio Natuzza vive infatti, e ripetutamente, il mistero del sangue, che le compare dalla fronte, dal petto, sulla spalla, sulle ginocchia, e anche qui in manicomio i suoi biografi raccontano delle sue visioni straordinarie, dei suoi dialoghi con la Vergine Maria, dei suoi continui “incontri ravvicinati” con i morti, della padronanza con cui la ragazza descrive le anime del purgatorio, o gli angeli del paradiso, della certezza che trasuda nel modo come Natuzza stessa raccontava di essere stata negli angoli più lontani e più sperduti del mondo, pur non essendosi mai spostata lei in realtà dalla sua terra natale, effetto probabilmente di un fenomeno che gli antropologi chiamano “bilocazione”.

Tutto questo, evidentemente, trasforma il rapporto personale di Natuzza Evolo con le suore a cui è stata affidata, accade la stessa cosa persino con i medici e con le infermiere del manicomio reggino, che non la considerano più una “malata psichica”, o peggio ancora una “sorvegliata speciale”, ma che la guardano invece con senso di ammirazione, di rispetto, quasi di sudditanza psicologica, proprio per via di tutti questi fenomeni straordinari che Natuzza si porta dietro. Persino le suore del manicomio si rivolgono a lei per chiedere la “grazia della Madonna”, e persino i dipendenti del manicomio vanno continuamente a trovarla per chiederle “notizie particolari” dei propri cari defunti.

Insomma, Natuzza diventa un “fenomeno straordinario” anche qui in manicomio, e la sua presenza condiziona e stravolge mei fatti la vita stessa dell’intera struttura. Il primo a capirlo e a rendersi conto dell’effetto “Natuzza-Evolo” è il direttore del Manicomio, il prof. Annibale Puca, il quale ad un certo punto si convince che è meglio che Natuzza torni definitivamente, e presto, a casa sua. Sembra quasi incredibile, ma quando il medico la chiama per comunicarle che “poteva finalmente tornare da dove era venuta” perché non c’èra più motivo che lei restasse a Reggio Calabria, Natuzza manifesta al professor Puca il desiderio intimo, e forte anche, di poter diventare suora e rimanere così in ospedale con le “sorelle che tanto l’avevamo amata”: “Professore mi aiuti lei a prendere i voti”, “Vorrei dedicare la mia vita ai più deboli”, “Non la deluderò mai”.

Ma il vecchio psichiatra non si lascia commuovere. Ritiene invece che la soluzione ideale per la ragazza non sia il noviziato ma una vita normale, e il giorno che a Reggio Calabria arrivano i parenti più stretti di Natuzza per riprendere la ragazza e riportarsela a Paravati consiglia di loro di aiutare Natuzza a convolare a nozze. “Natuzza deve sposarsi”, “Trovatele un marito”, “Deve soprattutto diventare donna e madre”, “Con la cura dei figli riuscirà a guarire una volta per sempre”, e solo così forse “La sua vita potrà tornare finalmente normale”.

Dopo aver trascorso due mesi pieni a Reggio Calabria, Natuzza lascia quindi, una volta per sempre, l’Ospedale Psichiatrico e torna in paese, dove qualche mese più tardi si unisce in matrimonio con l’uomo che le resterà accanto per il resto della sua vita, Pasquale Nicolace, un falegname del luogo.

Cerimonia quasi riservata, la loro, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, a Paravati, pochissimi invitati, pochissimi amici presenti, al rientro dal servizio militare, quindi matrimonio combinato, ma in quegli anni e soprattutto in Calabria era una pratica ricorrente, quasi normale, molte donne si sposavano addirittura per procura, e da questo momento Natuzza diventerà madre di cinque figli, Salvatore, Antonio, Anna Maria, Angelo e Francesco Nicolace.

Ma diversamente da quanto gli psichiatri avevano immaginato e preannunciato per lei, le manifestazioni straordinarie e inspiegabili che avevano portato Natuzza Evolo in manicomio continueranno a verificarsi come prima,e per tutti gli anni che le rimarranno da vivere. Un mistero, questo di Natuzza Evolo, che va avanti da quasi un secolo, e che nessuno mai è ancora riuscito a decodificare. (4 puntata-Segue)


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