Salvatore De Riso, Costiera Amalfitana, per la gente di Minori un vero “Re” della pasticceria napoletana
“Un uomo che fa saltare anche i proverbi. Nessuno è profeta in casa sua, si dice. Sal De Riso lo è”.
(Prima Pagina News)
Venerdì 27 Agosto 2021
Salerno - 27 ago 2021 (Prima Pagina News)
“Un uomo che fa saltare anche i proverbi. Nessuno è profeta in casa sua, si dice. Sal De Riso lo è”.
In genere nei piccoli paesi serpeggia una sorta di invidia nei confronti di chi è riuscito ad avere successo. A Minori questo sembra non accadere. Stamattina siamo andati in un negozio di souvenir a chiedere come stanno andando le vendite nel quasi post Covid. “Grazie a Sal la gente viene a Minori”. Ieri aspettavamo un traghetto ad Amalfi e sentivamo turisti chiedere alla biglietteria: “Dobbiamo andare a Minori, a mangiare i dolci di Sal de Riso, da dove dobbiamo partire?”. Ed anche gli albergatori lo amano. Qua tutti sembrano riconoscere che Sal De Riso, volto ormai noto in tv da decenni, porta nella sua Minori turismo e benessere.

Ormai Minori e Sal de Riso sono una cosa sola, la gente viene qua per lei, ha mosso una grande ondata di turismo gastronomico e non solo. Qual è il segreto di questo successo?

Il segreto è che ho sempre fatto il lavoro del pasticcere ma ancor prima quello di cuoco, negli alberghi, e credo che l’ospitalità e l’accoglienza siano fondamentali, insieme alla qualità del prodotto e ad una grande materia prima. Sono stato tra i primi pasticceri a pensarla cosi utilizzando al meglio la ricchezza della costiera amalfitana e di tutta la Campania. Chi mi conosce sa bene che in ogni dolce ho sempre inserito un prodotto della mia terra, dai fichi bianchi del Cilento alle mele annurche, dai limoni di Amalfi alle nocciole di Giffoni alla ricotta di Tramonti, alle albicocche del Vesuvio…

Perché?

Per dare un messaggio preciso a chi arriva sulla costiera: chi viene qui deve mangiare il territorio, deve bere il territorio ed è giusto che sia così in tutte le parti d’Italia. Ho puntato molto su questo e ci sono riuscito, è un successo che ho costruito man mano anche grazie alla televisione ed alla stampa. Ho articoli dal 1988, tutti conservati, e poi entrare nelle case degli italiani tramite la Rai è stato sicuramente un grande trampolino per farmi conoscere.

Prossimamente anche i diabetici potranno gustare i suoi dolci…

Si, insieme ad un professore universitario, stiamo studiando come rendere questi prodotti adatti anche ai diabetici usando enzimi naturali. Esiste la possibilità di farlo e ci stiamo provando.

Cosa non deve mai mancare in un dolce?

Ogni dolce deve avere la propria personalità, la propria struttura. In un dolce bisogna ricercare la fragranza, la morbidezza e il gusto. Quando mangiamo un dolce al cioccolato deve sapere di cioccolato ma deve essere anche delicato, una nuvola. Abbiamo bisogno di appagarci con dolci che nelle porzioni possono sembrare anche abbondanti ma leggeri nella struttura e nel peso.

Come fa a difendersi da chi cerca di copiarla?

Io ho registrato la delizia al limone, la ricotta e pera ed ho altri marchi registrati, ma ho deciso di non prendermela con chi mi vuole imitare. Se lo fanno vuol dire che il mio dolce funziona e va bene cosi, l’importante è che non pubblicizzino il prodotto come se lo avessero fatto loro.

Durante la pandemia è stato molto vicino agli ospedali.

Si nel febbraio – marzo, quando iniziò la pandemia, avevamo iniziato la produzione delle colombe. Abbiamo quindi deciso di continuare per venderle ad un prezzo scontato per il pubblico dando agli ospedali campani cinque euro per ogni colomba venduta, per comprare i respiratori. Ho donato cosi 50mila euro alla Regione Campania da devolvere agli ospedali.

Come ha iniziato?

A 14 anni, con la scuola alberghiera a Salerno, poi d’estate andavo a lavorare negli alberghi. Mi sono cosi tanto appassionato alla pasticceria che, dopo sette anni di cucina, ho deciso di mettermi in proprio, senza aver mai lavorato in una pasticceria. Ho iniziato così a produrre dolci in un piccolo negozio vicino alla chiesa, con due Mulinex di mia madre, quelli con il bicchiere sotto che girava. Il fornaio del paese mi prestava il forno per cuocere i miei dolci. Il primo anno andò cosi, poi iniziai a fare ricerca sui prodotti e corsi di aggiornamento in giro per l’Italia, mi sono iscritto all’Accademia maestri pasticceri italiani nel ’94, di cui oggi sono presidente, e poi ho lanciato tante novità. Il mio primo dolce al limone è stato il profiterol che all’epoca si conosceva solo al cioccolato. Poi la delizia, poi il tiramisu al limone. Nel mio primo libro “Dolci del sole” in tutte le pagine c’è la ricetta, la foto e l’anno in cu l’ho inventata. Oggi ho 54 anni, 40 anni di attività di cui 33 in proprio e 7 come dipendente, ho quasi 110 dipendenti tra autisti, ufficio, commerciale, un responsabile qualità, 45 addetti alla produzione e 44 addetti alla pasticceria divisi su due turni.

Cosa serve per fare un buon servizio?

Personale motivato e qui ho una grandissima squadra di uomini e donne che lavorano con le mani e con il cuore. Dico sempre a loro che la cosa principale è l’accoglienza del cliente infatti mia moglie, come vedete, è alla porta ad accogliere le persone, a riservare i posti man mano che la gente finisce di mangiare.

Ha fatto dunque un’accademia nell’accademia.

Sì, e l’Accademia dei maestri del lievito madre del panettone italiano – il nome l’ho creato io insieme ad altri cinque ragazzi - per divulgare sempre di più il lievito madre. E poi ci siamo aperti perché il lievito madre non è solo dolci: abbiamo invitato i fornai, i pizzaioli, ma devono avere almeno dieci anni di esperienza. Andiamo all’improvviso nei laboratori a verificare: molti fanno i furbi, usano i mix per fare il panettone e dicono che lo fanno con il lievito madre. Ma se vai nel loro laboratorio e non trovi il lievito madre significa che non lo usano. Il mio laboratorio non chiude mai, tutti i giorni impastiamo il lievito madre per mantenerlo. E quando mi muovo per lavoro un mio collaboratore è addetto ad impastarlo, non lo abbandoniamo mai. Prima di impastare il panettone devo sapere la temperatura del lievito, il ph, il controllo dell’acidità e dell’acido lattico perché se un panettone deve durare il lievito deve essere perfetto con un ph 4,01 quando lo andiamo a impastare. Lo misuriamo ogni giorno con il phmetro.

Facendo una linea del tempo…

Nel ‘94 ho iniziato la delizia al limone, nel ‘97 la ricotta e pera semplicemente perché un contadino di Agerola mi regalò una cassetta di pere, frutto che in pasticceria non era usato. Quel giorno stavo facendo una pastiera napoletana e mi era rimasta della ricotta. E cosi ho messo insieme tre ingredienti, le nocciole di Giffoni, la ricotta di Tramonti e le pere di Agerola per fare un dolce che assomigliasse alla ricotta del pastore. Non l’ho mai modificato ed è un dolce che fa impazzire la gente. Poi sono nati i dolci del mio cuore, dedicati a mia moglie e ai miei figli, utilizzando altri ingredienti italiani ma sempre rappresentando il mio territorio.

L’idea del panettone ad agosto è sua?

Si, ma non per far mangiare alle persone panettone tutto l’anno: l’obiettivo è far capire alla gente cosa è un panettone artigianale perché molti non lo conoscono ancora. Vogliamo andare all’estero a far conoscere il vero prodotto senza monogliceridi, senza conservanti, senza additivi che può essere consumato in due tre mesi. Il nostro intento è educare il gusto, divulgare, dare valore a questo prodotto. Chiaramente con il panettone faccio anche dei dolci, come il tiramisu di panettone.

Come ha imparato a fare il panettone?

E’ una mia antica passione. Andai a Milano da un maestro, Achille Zoia, nel 1988 per imparare la tecnica di come portare avanti il lievito. Poi quando tornai qui iniziai a fare delle trasformazioni per rendere il panettone più moderno perché in origine era un prodotto abbastanza pesante, era una pasta di pane arricchita con pochissimo burro, poco zucchero e miele e uvetta con i frutti canditi. Poi negli anni ha avuto questa trasformazione che vedete: la pasta è leggera, è giallina, ci sono le uova di gallina allevate a terra che hanno una nutrizione particolare per rendere cosi giallo il tuorlo, ci sono tante bacche di vaniglia, il miele di acacia italiano lo ammorbidisce e lo cristallizza. Dal 1989 ho iniziato a declinare questa pasta di panettone con i prodotti della mia terra, anche lì ho inserito i frutti di bosco con la crema al rormarino, i limoni di Amalfi ecc.

Come si fa un ottimo panettone?

Prima di tutto viene la ricerca della materia prima. Il lievito madre è un corpo vivo, da rinfrescare ogni mattina con acqua (di bottiglia minerale non gassata e non con acqua di rubinetto che potrebbe avere cloro) e con una farina che ha riposato almeno 60 giorni. Si fa cosi un impasto che poi viene legato in un canovaccio molto stretto con una corda, lui si gonfia e resta cosi tutto il giorno. Quando si va in produzione per il panettone, facciamo questo passaggio tre volte al giorno, ogni quattro ore. Dopo 12 ore di rinfreschi otteniamo la massa di lievito che ci serve per l’impasto. Il primo impasto è di pomeriggio, intorno alle 17, con lo zucchero, il miele, i tuorli d’uovo, il burro. Poi la mattina seguente, dopo circa 13 ore di lievitazione a 28 gradi, si fa il secondo impasto aggiungendo altra farina, altri tuorli d’uovo, una miscela di zucchero e vaniglia con il miele. E poi si fa l’impasto finale e quando è pronto si aggiunge la frutta. Per il panettone milanese serve l’uvetta australiana che è la migliore al mondo. Io la metto in infusione con una miscela di uno sciroppo di zucchero leggero con il moscato, poi aggiungo l’arancia candita che faccio io in laboratorio e il cedro candido calabrese. Poi ci sono tutte le varianti che conoscete.

Il lievito madre come deve essere?

Il lievito deve essere perfetto con un ph 4,01. Tutti i giorni andiamo a verificarlo. E la farina? Uso una farina intera ricca di germe di grano e fibre solubili: non uso la doppia zero ma la zero che è nutriente e molto più buona. Per Natale l’ho già acquistata, me la sono fatta produrre a fine luglio, riposerà fino a novembre nel mio magazzino a 18 gradi. A metà novembre partiamo con la produzione.

Dopo il Covid e questa depressione un poco generale, le risulta aumentata la richiesta di dolci?

Da quel che mi risulta, la domanda è cresciuta almeno del 20 per cento in più rispetto al 2019, in particolar modo quando la gente era chiusa a casa. In Italia si producono circa 240 milioni di euro in panettoni di cui la metà è artigianale con una copertura del 18 per cento del mercato. L’industria copre l’82 per cento del mercato e fa un fatturato di 120 milioni questo significa che noi facciamo lo stesso fatturato coprendo solo il 18 per cento: è aumentata la domanda non solo di dolci ma in particolare di panettone. E’incredibile la richiesta che abbiamo avuto quest’anno, non solo io ma anche altri colleghi d’Italia.

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