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“Trasparenza o privacy, questo è il problema: se sia più nobile sopportare l’accesso civico, la pubblicità e il diritto alla conoscibilità o prender l’armi contro privacy, anonimizzazione, diritto all’oblio e combattendo disperderli”.
“Trasparenza o privacy, questo è il problema: se sia più nobile sopportare l’accesso civico, la pubblicità e il diritto alla conoscibilità o prender l’armi contro privacy, anonimizzazione, diritto all’oblio e combattendo disperderli”.
Si potrebbe riprendere la prima frase dell’Amleto “Essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile d'animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna, o prender l'armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli.” (grazie William Shakespeare), per spiegare questo tema controverso “Trasparenza o privacy, questo è il problema: se sia più nobile sopportare l’accesso civico, la pubblicità e il diritto alla conoscibilità o prender l’armi contro privacy, anonimizzazione, diritto all’oblio e combattendo disperderli”. (grazie legislatore europeo). Il GDPR (General Data Protection Regulation) ha nuovamente scosso i fragili equilibri tra privacy e trasparenza riaprendo vecchie ferite e ponendo “nuovi” quesiti. La normativa europea, sebbene direttamente applicabile, ha comportato l’adeguamento del codice dei dati personali di altre prescrizioni interne mediante il d.lgs. n.101/2018. Al di là delle considerazioni ormai acclarate dell’oscuramento facoltativo (art.52, comma 1, del d.lgs.n. 196/2003) o dell’anonimizzazione d’ufficio (art.52, comma 5, citato d.lgs.) ovvero anche in assenza di una istanza dell’interessato, sarebbe interessante approfondire se vi è o meno l’obbligo di garantire un generico e aprioristico diritto all’anonimizzazione e al cosiddetto diritto all’oblio - anche in fattispecie non riconducibili al paradigma dell’art. 52, commi 1 e 5 -, attraverso l’oscuramento dei dati indentificativi delle persone fisiche, trascorso un adeguato lasso di tempo dalla pubblicazione dei provvedimenti giurisdizionali. L’interesse a voler dirimere tutti questi dubbi è frutto dell’esigenza di ridurre la potenziale responsabilità risarcitoria connessa all’eventuale indebita diffusione di dati sensibili o, comunque, alla violazione del diritto alla privacy delle parti e dei terzi. Dopo le richieste dei sostenitori della privacy non si possono però sottacere le rivendicazioni degli ultrà della trasparenza che trovano soddisfazione nell’art. 56, co. 2, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), secondo il quale “le sentenze e le altre decisioni del giudice ….., rese pubbliche ……., sono contestualmente inserite nel sistema informativo interno e sul sito istituzionale, osservando le cautele previste dalla normativa in materia di tutela dei dati personali”. Gli interrogativi sono focalizzati su quali siano le cautele previste dalla normativa in materia; vana la speranza di una lettura univoca, subito sconfitta da interpretazioni di segno opposto. Si pongono quindi specifici quesiti sul tema della riservatezza dei dati, quando si pubblicano dei provvedimenti giudiziari, a causa dell’intervento normativo di cui al Regolamento UE 2016/679, del principio di anonimizzazione generalizzata e dei limiti di durata della pubblicazione integrale in relazione al diritto all’oblio. La nuova disciplina europea è infatti orientata a rafforzare gli strumenti di tutela della riservatezza delle persone fisiche, anche mediante l’applicazione dei principi di precauzione, pertinenza e proporzionalità presumendo così un futuro più favorevole alla privacy che alla necessità di trasparenza. In Europa sembra primeggiare l’idea che debba prevalere, di regola, la tutela dei dati personali e che la loro circolazione generalizzata debba essere una eccezione, peraltro posta su presupposti formali e sostanziali molto rigorosi. Mentre la totale anonimizzazione sembra primeggiare e soggiogare i principi di trasparenza e pubblicità della sentenza, nei confronti del diritto all’oblio sembra prevalere il diritto di informazione (Corte europea diritti dell'uomo, sez. V, 28/06/2018, n. 60798) soprattutto in ambito penale. La libertà di stampa prevale, almeno al momento, sul diritto all'oblio del singolo con riguardo alla diffusione di informazioni su procedimenti penali di interesse per la collettività, anche a distanza di anni. Tuttavia, non si può precludere la possibilità di garantire il diritto dell’interessato a vedere oscurare i dati identificativi presenti nelle sentenze raccolte in banche date, trascorso un congruo lasso di tempo. (Cassazione civile , sez. I , 20/03/2018 , n. 6919). La battaglia infinita tra il diritto civico alla conoscenza e al controllo di una funzione pubblica essenziale, pubblicità del processo, contrapposto al diritto di vedere preservata la riservatezza dei soggetti interessati è solo al primo round ed è destinata a continuare: l’incontro sarà lungo e senza esclusione di colpi in una cornice sociale che cambia sempre più rapidamente valori e orientamenti educativi. Difficile prevedere oggi chi sarà il vincitore ma la parola chiave sembra sempre la stessa… bilanciamento!