Caro Gabriele Muccino, “Ma che Calabria hai conosciuto? Il tuo corto è fuori dal mondo, 6 minuti di banalità”

Impietosa e durissima l’analisi che il sociologo e scrittore Rocco Turi, che da anni ormai vive all’estero, fa del cortometraggio di Gabriele Muccino sulla Calabria, presentato alla Festa del Cinema di Roma con tanto di enfasi, ma “maschilista e quasi banale”. Una pagina “amara” per la storia dell’intera regione.

di Rocco Turi
Venerdì 23 Ottobre 2020
Roma - 23 ott 2020 (Prima Pagina News)

Impietosa e durissima l’analisi che il sociologo e scrittore Rocco Turi, che da anni ormai vive all’estero, fa del cortometraggio di Gabriele Muccino sulla Calabria, presentato alla Festa del Cinema di Roma con tanto di enfasi, ma “maschilista e quasi banale”. Una pagina “amara” per la storia dell’intera regione.

Ho appena visto CALABRIA TERRA MIA, documentario di Gabriele Muccino per pubblicizzare la Regione nei circuiti turistici internazionali.

E’ senza dubbio un cortometraggio maschilista e, già per questo, all’estero verrà escluso o emarginato in orari assurdi. Non si può iniziare una produzione di tal genere con una mano sulla gamba di una donna seduta accanto in automobile, scena che richiama una regione ferma ad almeno cinquant’anni fa.

A cosa serve pubblicizzarla? Forse è questo il clima che Muccino desiderava rievocare invitando turisti e viaggiatori stranieri a visitare una regione rimasta a dormire sotto il sole sin dall’epoca in cui l’uomo comandava e la donna obbediva. Insomma, il documentario è implementato in una sceneggiatura per nulla originale e in una colonna sonora che riportano al passato felliniano di amarcord, da non confondere con la Calabria.

Inoltre, pubblicizzare la Calabria attraverso il soggetto dei frutti è piuttosto banale. Desiderare un viaggio in Calabria per mangiare clementine e fichi appare folle per chi crede in questa possibilità.

Far recitare Raoul Bova che esordisce col congiuntivo sbagliato non appare licenza poetica; salutare la vecchia vicina di casa come se fosse in uno dei film del realismo italiano alla De Sica, vuol dire non trovarsi in un contesto calabrese. Non ha senso rappresentare la Calabria priva di un sostrato originale che la faccia realmente desiderare a chi non la conosce.

Per realizzare questo genere di documentari è necessario immedesimarsi in uno studio preventivo, esaminare gli elementi pregnanti che caratterizzano la Regione e saperli esporre correttamente. Eppure la Regione ha mille aspetti ed elementi che la rendono diversa dalle altre.

Escludendo la cura sulla loro qualità realizzativa, le immagini non sono belle né hanno alcunché di originale, per cui il documentario CALABRIA TERRA MIA passerà del tutto inosservato e archiviato al modico costo di unmiliardosettecento milioni di euro.

A volte l’utilizzo dei grandi nomi calati dall’alto serve a realizzare un pessimo progetto come questo che, a mio parere, potrebbe essere ben pagato al massimo con poche decine di migliaia di euro. Non si può altresì realizzare un documentario di 8’ 33’’ con lo squilibrio di dedicare circa il 30% della sua durata ai titoli di coda, che neppure in un colossal si riesce a fare. Assurdo!


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