Albino Luciani, il Papa del sorriso finalmente “Beato”. Maurizio Crovato: “Quel giorno a Venezia”

Lo storico inviato speciale del TG2 e de La Vita in Diretta ricorda qui il giorno in cui a Venezia incontro Papa Luciano, non ancora Pontefice, ma pronto a lasciare la laguna per la Basilica di San Pietro, un racconto inedito ed esclusivo che dà l'idea e i contorni di un Pontefice che comunque passerà alla storia.

di Maurizio Crovato
Sabato 16 Ottobre 2021
Venezia - 16 ott 2021 (Prima Pagina News)

Lo storico inviato speciale del TG2 e de La Vita in Diretta ricorda qui il giorno in cui a Venezia incontro Papa Luciano, non ancora Pontefice, ma pronto a lasciare la laguna per la Basilica di San Pietro, un racconto inedito ed esclusivo che dà l'idea e i contorni di un Pontefice che comunque passerà alla storia.

Albino Luciani, il Papa del sorriso finalmente “Beato”. Maurizio Crovato: “Quel giorno a Venezia”
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Sorrideva sempre. Non rideva mai. Questo il grande mistero di Albino Luciani, Giovanni Paolo I, papa per soli 33 giorni, da poco beato.

Uno dei più brevi pontificati nella storia della Chiesa. Verrà ricordato dai posteri come il papa del sorriso.

Siccome la vita è l’arte degli incontri, lo conobbi da vicino con mio fratello gemello Giorgio, e gli parlammo confidenzialmente in una delle sue ultime visite pubbliche. Era il luglio del 1978. Un mese dopo avrebbe sostituito Paolo VI al soglio di Pietro, due mesi dopo sarebbe morto per attacco cardiaco. Almeno così appare nella biografia ufficiale.

Nel 1978, noi giovani amanti della laguna, avevamo organizzato con l’Associazione remiera Settemari, una mostra storica sulle piccole isole abbandonate della laguna e prodotto un libro di foto e testimonianze sullo stato decrepito di queste antiche reliquie della Venezia che fu.

L’ultimo visitatore, nell’ultimo giorno della mostra a orario di chiusura, fu Albino Luciani. Una enorme sorpresa. Scusate, ci dissero dalla vicina Curia patriarcale di Piazza San Marco, potete posticipare la chiusura prevista per le ore 20? Certo che sì. Era accompagnato dal suo fedele segretario e autista, don Ettore Fornezza, allora giovane prete, oggi dinamico 84enne.

Il patriarca, già successore a Venezia nel Novecento di due santi: Pio X e Giovanni XXIII, manifestò un vivo interesse per San Giorgio in Alga, isoletta in disfacimento nella laguna sud, poco distante dalla terraferma, verso Lizza Fusina, strada che porta a Padova e poi alla capitale, attraverso l’antica Romea.

In quel piccolissimo appezzamento lagunare era stata fondata una abbazia benedettina, poi nel XIV secolo una congregazione religiosa dove avevano vissuto, un santo, San Lorenzo Giustiniani e tre futuri pontefici. Albino Luciani, si chiedeva la ragione, di questo stato d’abbandono. Con molta deferenza, precisammo al patriarca, che fino a pochi anni prima era proprietà della stessa Curia patriarcale e che Giuseppe Roncalli, futuro papa, avrebbe voluto restaurarla per farne una specie di seminario per gli esercizi spirituali. Ma i costi erano troppo alti. Roncalli si fermò ai primi due preventivi: la corrente elettrica e l’acqua potabile. Sorrise Albino Luciani e quel semplice sorriso paralizzante ci restò bene stampato in mente.

A distanza di tanti anni, chiamo al telefono don Ettore Fornezza, autore del libro di ricordi “Nostalgia di un sorriso”. Appena avuta la notizia della beatificazione di papa Giovanni Paolo I, il vecchio sacerdote, non appare per nulla sorpreso. “Ho sempre avuto la sensazione di avere frequentato un santo. L’avevo conosciuto nel 1969 a Vittorio Veneto, provincia di Treviso, quando da vescovo era stato appena nominato patriarca da Papa Montini. Io ero seminarista trentenne, ovvero ero una vocazione adulta. Ero assieme a giovanissimi diaconi tutti in abito talare. Io ero l’unico in giacca. Mi disse: lei è l’autista? Il destino ha poi voluto che fossi per dieci anni la persona che lo ha frequentato di più. Mi faceva un sacco di confidenze. Pensi che quando lo accompagnavo con la Fiat 128 blu a San Vito di Cadore, sulle Dolomiti, dove la Curia aveva una residenza estiva, passavamo, ma facendo una lunga lunga deviazione per Canale d’Agordo, il suo paesino natale. Mettevamo la cassetta con tutte le canzoni di montagna, tipo: “Dove sei stato mio bel alpino”, oppure “La Montanara”, o “Signora delle cime”. Cantava tutto il tempo, ma senza gridare. Mi parlava della sua infanzia poverissima, di suo papà Giovanni, socialista, che non voleva che facesse il seminario, di sua mamma Bortola, che aveva lavorato come lavapiatti in una casa di riposo a Venezia.

Anche suo papà aveva lavorato per tanti anni in una vetreria a Murano. Un giorno in visita pastorale proprio in quella casa di riposo della mamma, baciò il secchiaio in cucina. Nessuno sapeva perché, io sì. Ebbe anche momenti duri con una parte del clero veneziano. La visita di Paolo VI a Venezia nel 1972 fu anche per questo motivo segreto. E papa Montini cosa fece? In Piazza San Marco tolse la stola e gliela pose sulle spalle. Lui arrossì parecchio, ma sempre con il sorriso stampato. Disse poi, timido timido, in italiano stentato: sono diventato tutto rosso!

Una volta eravamo al Lido in un convento di suore di clausura. L’appuntamento era per le 18 ma lui arrivò un’ora prima. Le povere suore stavano ancora pulendo il pavimento. Una di loro, confidenzialmente gli disse: don Albino, le preparo il caffè? Come faceva ad essere così diretta verso sua eccellenza? La suora si chiamava Bristot, figlia di una famiglia milionaria di importatori di caffè dal Brasile. Era stato don Albino, allora professore a Feltre, ad accogliere il desiderio della giovane di farsi suora di clausura e lui stesso l’aveva accompagnata al Lido, dove sarebbe rimasta per sempre. Un altro segreto? A fine pasto aveva la mania di sbucciare, alla perfezione, una mela. E poi te la offriva curata. Altra debolezza? Si permetteva anche un bicchierino di Stock84, poi lo dividevamo per due. Come 263esimo vescovo di Roma, fu il primo a rinunciare al noi, al plurale maiestatico e alla tiara tempestata di gioielli. Si mise una semplice mitria dei vescovi. Non voleva salire sulla sedia gestatoria. Era troppo solenne. Ma i potenti della Curia pontificia lo obbligarono. Cosa che poi non fece papa Wojtyla…due mesi dopo. Aveva un modo semplicissimo di spiegare anche la teologia più complessa. Dio è padre, ma anche madre…sembra un concetto semplice, ma non lo è affatto.

Il 26 agosto 1978 appena eletto, disse ai fedeli parlando in prima persona: “se avessi saputo che sarei diventato Papa, avrei studiato di più….”. Più Beato di così.

 

 

 

 


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