Ponti (Federvini): “Dazi e cambio valutario mettono a rischio l’export vinicolo italiano”

"Un dazio al 10% rappresenterebbe già una zavorra pesante per le nostre esportazioni, ma un’aliquota al 20% rischia di essere devastante, soprattutto per le piccole e medie imprese della filiera vinicola".

(Prima Pagina News)
Lunedì 07 Luglio 2025
Roma - 07 lug 2025 (Prima Pagina News)

"Un dazio al 10% rappresenterebbe già una zavorra pesante per le nostre esportazioni, ma un’aliquota al 20% rischia di essere devastante, soprattutto per le piccole e medie imprese della filiera vinicola".

L’introduzione di nuovi dazi sulle importazioni di vino europeo da parte degli Stati Uniti e il rafforzamento dell’euro nei confronti del dollaro rischiano di compromettere in modo significativo la tenuta dell’export vinicolo italiano.

A lanciare l’allarme è Giacomo Ponti, presidente di Federvini, che richiama l’attenzione sulle conseguenze congiunte delle barriere tariffarie e dell’andamento valutario.

“Un dazio al 10% rappresenterebbe già una zavorra pesante per le nostre esportazioni, ma un’aliquota al 20% rischia di essere devastante, soprattutto per le piccole e medie imprese della filiera vinicola - dichiara Ponti -. Ci sono cantine italiane che dipendono dal mercato statunitense per oltre il 50% del proprio fatturato: per loro, un simile aumento delle barriere tariffarie equivarrebbe a una chiusura forzata verso il principale sbocco extraeuropeo.

Introdurre nuove barriere tariffarie in un contesto già segnato da una stagnazione dei consumi a livello globale significa spingere fuori dagli scaffali americani molti dei nostri vini simbolo — dal Prosecco al Chianti, dal Pinot grigio al Moscato d’Asti — e compromettere una presenza costruita in decenni di relazioni commerciali e culturali.

È una minaccia concreta a uno degli asset strategici del Made in Italy, tanto più in una fase di fragilità internazionale. Non si tratta solo di una questione economica, ma anche di equilibrio territoriale, occupazionale e culturale. Il rischio è quello di vanificare anni di lavoro e relazioni, senza benefici reali per nessuno. È il momento della responsabilità e del buon senso, non del protezionismo punitivo.

A tutto questo si aggiunge un ulteriore fattore di rischio spesso sottovalutato: l’andamento del tasso di cambio euro/dollaro. Se oggi siamo tornati attorno a quota 1,18, solo sei mesi fa eravamo prossimi alla parità, e alcune previsioni parlano di un possibile rafforzamento dell’euro fino a 1,25 nel breve termine. Per un settore che esporta beni con margini già compressi, una variazione simile può avere effetti persino più penalizzanti di un dazio. Sottovalutarla sarebbe un grave errore di prospettiva”, conclude Ponti.


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