La fede al tempo del coronavirus: ‘’non facciamo ombra a Dio’’

Un appello coraggioso di un parroco di Nardò (Le).

(Prima Pagina News)
Mercoledì 18 Marzo 2020
Roma - 18 mar 2020 (Prima Pagina News)

Un appello coraggioso di un parroco di Nardò (Le).

Premessa

Il testo del sacerdote viene presentato così nella chat di comunicazione del presbiterio dell’intera diocesi, con l’approvazione del vescovo Fernando Filograna: “La testimonianza che condividiamo è frutto del silenzio che in questi giorni ci aiuta a riflettere con più calma sul nostro essere presbiterio. Condivisa dal vescovo Fernando, è un modo per ricordare che, nel battesimo, siamo tutti sacerdoti… esercitare il sacerdozio comune ci sta aiutando a stare più vicini alla comunità proprio nei giorni in cui siamo chiamati a prenderne le salutari e prudenti distanze. Vorrebbe essere un incoraggiamento ad approfondire qual è il nostro compito di pastori buoni: senza esagerazioni e senza divisioni. Un po’ come la storia di Icaro: chiamati a volare non troppo in alto e non troppo in basso”.

SINE POPULO

Sine populo è un’espressione con cui le rubriche autorizzano (e in questa circostanza impongono) la celebrazione della Messa senza la partecipazione dei fedeli. Il sacerdote da solo. A porte chiuse. E’ l’esperienza che stiamo vivendo in questi giorni per le motivazioni che ben conosciamo. Non mi era mai capitato e sto sperimentando quanto sia difficile realizzare il celebrare da solo in chiesa senza la presenza dei fedeli. Occorreranno giorni per poter discernere con una certa oggettività l’insegnamento di questa esperienza, ma alcune cose mi sembrano già evidenti.

La prima è che sono chiamato, come prete, a ridimensionare notevolmente il mio ruolo: non sono il sostituto di Dio, che ha scelto di abitare nel cuore di ogni essere vivente, oltre che nel Sacramento della Eucarestia. Poi sto capendo che il digiuno dal Popolo serve a sentirmi ancora più vicino a Dio dal quale sono stato chiamato, consacrato e inviato per essere pastore, mai mercenario.

Ma anche che la parola “vicinanza” non ha a che fare con l’unità di misura, ma con lo slancio del cuore, che notoriamente supera lo spazio e il tempo e tutti porta dentro ed è dentro tutti. Sto imparando che, grazie a Dio, la chiesa cammina sulle gambe dei battezzati e che nessuno, nemmeno noi preti, siamo indispensabili se non perché indegnamente scelti per celebrare quei sacramenti sono via privilegiata, ma non esclusiva, per portare gioia e conforto al popolo affidato alle nostre cure.

Ma per il resto Dio non è vincolato a mediazioni esclusive o escludenti per riversare il suo amore verso i suoi figli ovunque essi si trovino. Sto imparando che non è affatto vero che il popolo non può fare a meno di noi preti.

Spesso pecchiamo di narcisismo clericale, amiamo metterci in mostra, fare a gara a chi si inventa la trasmissione in streaming più sensazionale, le Messe registrate in (finta) solitudine, passeggiate plateali in piazza e selfie con il SS. Sacramento, statue di Santi dai variegati superpoteri messi in mostra come i manichini nelle vetrine dei negozi mancando di rispetto per primi proprio ai Santi stessi, come se davvero non fosse Dio a salvarci, ma le nostre invenzioni che, a volte, rasentano quello stesso devozionismo pericolosamente vicino al fanatismo che spesso rimproveriamo ai nostri parrocchiani.

Urlare le nostre preghiere tramite gli amplificatori esterni delle chiese certamente farà piacere a qualche nostro devoto fedele, ma se in qualcuna di quelle case abitasse un non credente o un musulmano, che diritto abbiamo di imporre anche a loro le nostre devozioni? Siamo sicuri che magari in buona fede non stiamo mancando di rispetto al senso ecumenico del sentire comune?

Sto imparando che l’assenza del popolo, delle liturgie, del contatto con i fedeli, sta scoprendo il lato debole di noi preti: la corsa a chi “fa” di più e meglio dell’altro, dimenticando che non siamo attori o conduttori televisivi che fanno a gara per inventarsi il palinsesto più accattivante e strappalacrime… Quello che mi deve far riflettere non è l’assenza, ma la perdita. “Si, l’assenza si può sopportare, la perdita invece…è la perdita che fa male, non ha senso la perdita.

L’assenza è un’emozione senza corpo… io non la conosco, mentre la perdita la conosco molto bene. E’ come avere qualche cosa in mano di bello e poi ad un certo punto… sparisce così, all’improvviso… è come a Steve Wonder e Ray Charles… Ray Charles è diventato cieco, mentre Steve Wonder è cieco dalla nascita.

Steve Wonder ha provato l’assenza, mentre Ray Charles la perdita… E la perdita è molto peggio!” (Rocco Schiavone, Marco Giallini) Non mi fa paura la solitudine, mi fa orrore il protagonismo a tutti i costi, perche potrebbe essere segno che non abbiamo capito la differenza fra solitudine e isolamento.

Non sappiamo stare soli perché abbiamo perso la confidenza con Dio, lo stare a tu per tu con lui… Non temo l’assenza, mi preoccupa la perdita di credibilità… Morale? Se faccio silenzio dentro di me e chiedo a Dio come mi vuole in questi giorni così assurdi, sento che mi dice, tra il severo e il paterno, “zitto, nasconditi e prega il Padre tuo nel segreto, che andrà tutto bene”. Prego, allora, per la nostra Italia, popolo di Santi, poeti, navigatori, e (ultimamente) di esperti di teologia pastorale pur non avendo mai avuto un buon rapporto né con la chiesa, né con la religione in genere.

Dall’esperienza di questi giorni impariamo almeno a non fare ombra a Dio.

Don Angelo Corvo

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