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De Vito: «Continuerò a difendere la mia innocenza»
De Vito: «Continuerò a difendere la mia innocenza»
La Cassazione in 31 pagine ha spiegato le motivazioni della sentenza che lo scorso 12 luglio ha annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma nei confronti di Marcello De Vito, arrestato nel marzo scorso e ai domiciliari da luglio nell'ambito di un filone dell'inchiesta sul nuovo stadio della Roma, e degli altri soggetti coinvolti, tra cui l'avvocato Camillo Mezzacapo.
La Suprema Corte ha fatto sapere che non ci sono "dati indiziari" sufficientemente motivati dal gip e dal Riesame per dimostrare la presenza all'interno del "gruppo criminale" da parte del presidente pentastellato dell'assemblea capitolina.
Al momento ci sarebbero dunque "congetture ed enunciati contraddittori" tratti dalle dichiarazioni rese ai magistrati dall'imprenditore Luca Parnasi all'indomani del suo arresto. I giudici hanno spiegato che le affermazioni di Parnasi si risolvono nelle seguenti proposizioni: "Il convincimento maturato dal dichiarante circa l'interesse di De Vito al conferimento di incarichi a Mezzacapo, peraltro frutto non di mere impressioni personalistiche, bensì dal dato oggettivo della presenza dello stesso Mezzacapo, non altrimenti giustificata, all'incontro di presentazione con De Vito; il riconosciuto intento di Parnasi, a seguito della pronta adesione ai desiderata del suo interlocutore mediante l'affidamento al legale dell'incarico di seguire una transazione tra Acea e la Ecogena, di accreditarsi presso il Movimento 5 Stelle, di cui De Vito era al tempo autorevole rappresentante, in linea con il 'modus operandi' dell'imprenditore".
La Cassazione chiarische che ne consegue che "il valore confessorio dell'esistenza di un patto corruttivo, che a tali dichiarazioni è stato attribuito dai giudici capitolini, non rispecchia l'obiettivo tenore delle stesse, potendo pertanto riconnettersi solo ad una operazione interpretativa, che assegni loro una portata, per così dire, 'addomesticata' che non è stata tuttavia esplicitata, nè può desumersi dagli ulteriori dati indiziari citati sopra".
La Suprema Corte spiega infine perche' va annullato senza rinvio il capo di imputazione relativo alla vicenda della riqualificazione della vecchia stazione ferroviaria di Trastevere, circostanza che ha determinato l'immediata scarcerazione (si trovavano agli arresti domiciliari) dell'imprenditore Gianluca Bardelli (difeso dagli avvocati Franco Merlino e Marco Franco), e dell'architetto Fortunato Pititto, accusati di traffico di influenze illecite.
"Il gip, la cui impostazione e' stata avallata dal Riesame, ha ritenuto di ravvisare nei fatti gli estremi del reato di corruzione propria, ma la difesa di Bardelli e' senza dubbio nel giusto - si legge nelle motivazioni - la' dove pone l'accento sulla profonda immutazione dei termini del fatto compiuta dal gip rispetto alla richiesta della procura: De Vito, al pari di Bardelli indicato come uno dei due mediatori, incaricati di farsi latori delle richieste del gruppo Statuto, rappresentato da Pititto, nei confronti dei pubblici ufficiali (uno dei quali neppure identificato) chiamati all'adozione dell'atto previsto dalla procedura avviata, dei quali non viene nemmeno investigata la natura, diviene il soggetto centrale della vicenda quale pubblico ufficiale corrotto, poiche' asseritamente iscritto a libro paga del gruppo".
Per cui, spiega la Cassazione, "il denaro promesso diviene non piu' la retribuzione dell'influenza da esercitarsi bensi' il corrispettivo del mercimonio della funzione, peraltro ricondotto in seno alla previsione di cui all'articolo 319 del codice penale, in ragione della supposta contrarieta' ai doveri d'ufficio del non meglio identificato atto da compiersi da parte di De Vito.
Per l'effetto muta il ruolo dei concorrenti: Pititto viene a rivestire il rango di corruttore, Bardelli, la cui condotta precedentemente si affiancava a quella di De Vito, come portatore di una parallela influenza su un imprecisato ed ulteriore pubblico ufficiale, diviene concorrente nella condotta corruttiva del coindagato senza peraltro "che siano chiariti i termini di fatto alla base della siffatta affermazione, atteso che la ritenuta consapevolezza del preteso patto corruttivo fra De Vito e Pititto e' dato che ben potrebbe essere irrilevante, se intervenuta in un secondo tempo successivamente al perfezionamento del patto anzidetto fra i due interlocutori necessari.