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L'emergenza Covid-19.
L'emergenza Covid-19.
Mentre la Casa brucia, mentre gli italiani vivono l’esperienza più traumatica della loro vita, che l’umanità non conosceva da secoli ( peste del ‘300, del ‘600, la spagnola del ‘900), e non aveva mai sperimentato in questa dimensione planetaria da mondo globalizzato, forse non è utile, né elegante ‘’sparare sul pianista’’. Cioè sul governo e chi lo guida, con tutta la buona volontà possibile e la lucidità ed efficacia di cui è capace.
Gli italiani a loro volta – eccetto i soliti imbecilli e irresponsabili che non mancano mai in nessuna circostanza, neanche in quelle drammatiche - stanno dando prova di maturità, calma e senso di responsabilità. Sono un esempio per la classe politica non solo di maggioranza ma anche di opposizione: l’una e l’altra infatti dovrebbero saltare sulla stessa plancia di comando e di condivisione per far uscire il Paese al più presto da questo flagello. Da questo incubo, che sta già cominciando, con la reclusione forzata di massa e senza precedenti, a provocare malesseri, frustrazioni, ma soprattutto colpi mortali alla spina dorsale dell’economia e della vita sociale del Paese. Oltre a mietere vittime, che colpiscono soprattutto gli anziani, i vecchi, vero patrimonio dell’umanità (altro che Unesco).
Gli italiani stanno, per forza di cose, rinunciando all’esercizio di diritti fondamentali, inalienabili, costituzionali ( diritto di circolazione, di iniziativa individuale e collettiva nei campi della cultura e del turismo, libertà d’impresa), in cambio di una uscita dal guado esistenziale e sanitario che sembra non finire mai.
Ma, ma….
Ecco qui che si snocciola, come i grani di un rosario, la litania dei ma. Che non sono pochi.
Ma.. il governo dà al Paese l’impressione chiara, netta, rassicurante, di saper governare la situazione? Lecito dubitare. C’è stato, c’è un andare a tentoni, un navigare a vista che allarma: prima un provvedimento, poi un altro che lo corregge e lo migliora ( o peggiora, secondo i punti di vista); si assiste a uno sfornare di decreti che rimandano alle affastellate e contraddittorie gride manzoniane ai tempi della peste del 1630 a Milano.
Ci sono stati errori fatali all’inizio.
Si vorrebbe conoscere, per proporlo per il premio internazionale dell’autolesionismo, il nome di chi ebbe la brillante idea di decidere il blocco degli aerei provenienti dalla Cina. Pensavano, questi soloni di periferia, di bloccare l’arrivo dei cinesi o dei viaggiatori provenienti da quel Paese, e del coronavirus. Un boomerang! Perché chi veniva dalla Cina ha semplicemente aggirato l’ostacolo ed è sbarcato invece che a Fiumicino in altri scali europei, e poi è venuto in Italia con il suo coronavirus.
Un altro esempio? La scelta di un supercommissario per l’emergenza coronavirus. Non si vuole mitizzare questa figura e farne per definizione un salvatore della patria. Ma comunque si trattava di affidare, e subito, l’incaricoa una personalità carismatica, capace, meglio se nota al grande pubblico, per gli effetti aggiuntivi di fiducia legati a un nome di questo tipo.
Invece la scelta è venuta tardi, perché nella segrete stanze del potere romano non si aveva la forza di affidare a un uomo solo i poteri pieni che sgravassero il governo di tale incombenza, poteri di intervento, coordinamento, sovranamente decisionali. Un personaggio che stesse in contatto con i presidenti delle Regioni, con i sindaci dei Comuni più esposti e con una delegazione dei sindaci d’Italia, anche del Mezzogiorno, che sono, insieme con i medici, gli infermieri, e gli altri operatori, veri eroi di questo tempo. Perché sono a contatto quotidiano con i cittadini, intervengono, monitorano, fanno ordinanze, presidiano il territorio.
Un supercommissario di questo tipo, un dictator nel senso latino classico del termine, era non necessario, di più: indispensabile e urgente. Ma forse nel sancta sanctorum del potere governativo è scattata la gelosia, la paura di perdere quote di potere, di prestigio, di riconoscibilità, e di riconoscenza e di meriti. Alla fine la scelta è stata fatta. Ed è caduta su un bravo manager, niente da dire. Un bravo manager. Ma buono per i tempi ordinari.
Ed ecco un punto debole di questo governo: in una situazione straordinaria come questa, occorre una gestione straordinaria, all’altezza, sia nella forza e tempestività di decisione sia, e non è la cosa meno importante, nell’approccio psicologico verso la popolazione, nell’attitudine comunicativa di trasmettere le decisioni prese via via. In una situazione, peraltro senza precedenti nella storia se non ai tempi della dittatura fascista, che vede il Parlamento ‘’chiuso o quasi’’ per coronavirus. Un parlamento che invece dovrebbe essere la fiaccola votiva istituzionale, sempre accesa. Ora pare che sia stata colta l’enormità di una situazione del genere e i presidenti delle Camere stanno trovando qualche soluzione.
Tutto questo non è rassicurante per gli italiani, desiderosi di sapere non il giorno esatto, si capisce, di uscita dal tunnel, ma almeno se la strada porterà all’uscita.
La confusione operativa, la torre di babele dei linguaggi, dei decreti, dei provvedimenti che si susseguono e si producono non aiuta di certo.
C’è un altro angolo visuale per capire un po’ le cose. Ed è il punto di vista degli autori di satira. Saranno anche loro a dare ai posteri il senso di questo spirito dei tempi. Facciamo due soli esempi.
In un immaginario ( sia detto senza malizia) incontro galante tra Conte e Angela Merkel, a una certo punto la Cancelliera dice: ‘’Conte, ho capito, mi vuoi portare a casa tua per mostrami la collezione di farfalle o di stampe cinesi’’ ( senza virus, aggiungiamo noi, NdR). E Conte risponde: ‘’No, Angela, niente del genere, voglio mostrarti la mia collezione di decreti contro il coronavirus’’.
Altro esempio, il modello di autocertificazione, questo inaspettato e inedito lasciapassare per gli spostamenti:prima un testo, poi si è fatta un’aggiunta, poi un’altra aggiunta. Insomma, questo modulo ha avuto più varianti di una poesia di D’Annunzio.
E sui social, che con tutta la loro spesso limacciosa carica di confusione offrono anche delle spie illuminanti, circola un ( ovviamente apocrifo) volume della Enciclopedia Treccani. Titolo: Enciclopedia italiana dell’Autocertificazione. Volume primo, anno 2020.
Per non parlare delle vignette che raffigurano un premier Conte invecchiato che dice agli italiani: Ancora un poco e ce la faremo ( anno 2050).
Sberleffi, sfottò, sfoghi polemici, d’accordo. Ma sono segni di un costume, di una sensibilità pubblica che mettono in luce un punto debole che un governo responsabile non può trascurare: ed è il dubbio che dovrebbe attraversare la mente, che forse il messaggio che alla fine arriva agli italiani non è né chiaro, né univoco, né efficace, né tranquillizzante sia pur nella situazione data.
Non basta recitare, come fa Conte, il ritornello ‘’ce la faremo’’, che in mancanza di una politica chiara e incisiva e soprattutto coordinata, sortisce l’effetto contrario. Non rassicura né aiuta il fatto che Conte saltabecchi tra una trasmissione e l’altra, ripetendo come un disco le stesse parole d’ordine. O all’opposto, rischiando un effetto drammatizzante da scoppio della guerra, annunciando a mezzanotte una dichiarazione. E dove la va a fare poi queste esternazione?
Sulla sua pagina Facebook, cioè su un luogo privato. Senza domande dei giornalisti, senza contradittorio. Le tv , le agenzie hanno poi dovuto riprendere questa notizia, naturalmente. E’ vero che ormai la casalinga di Voghera, il bracciante di Cerignola o il pescatore di Mazara del Vallo ( per fare tre esempi di cittadini- utenti basici nella comunicazione di massa) avranno probabilmente un profilo Facebook. Ma vi pare possibile che un premier, per fare una dichiarazione solenne e nuova agli italiani, decida di farla su questo social?. Un premier che vuole essere autorevole, credibile si affida alla tv di Stato, e se vuole dare il senso della gravità dell’ora, anche a reti unificate. E poi un premier che voglia dare valore ai suoi appelli centellina gli interventi, per non creare un effetto di assuefazione da ‘’ al lupo al lupo’’.
Non si trasmette su Fb ostentando un atteggiamento da forza tranquilla, da mediocre remake di ‘’Io ti salverò’’. Conte forse studia da Churchill, sia pure da Churchill di provincia. Ma il premier britannico, per far capire agli inglesi in che situazione si trovavano, promise lacrime e sangue, sia pur agitando le due dita a forma di V ( vittoria).
Dunque ci vuole altro, signor Presidente del Consiglio.
Non crediamo di eccedere in malizia se sospettiamo che a Conte, l’insuccesso ( finora registrato) gli stia dando alla testa, come direbbe Flaiano. Da quando Eugenio Scalfari, venerando giornalista che per una vocazione filosofica tardiva dà del tu alle ombre di Montaigne, Voltaire e Diderot, lo ha paragonato nientemeno ad Aldo Moro, Conte forse coltiva nel suo animo disegni ambiziosi, voli vertiginosi verso il Colle più alto di Roma. Ma il possesso di una capacità di smussare i contrasti, una sobrietà nell’eloquio e nel vestire, una pochette inappuntabilmente presente nel taschino, che gli italiani – stremati da mesi di chiacchiere e litigi tra alleati al tempo del governo Lega-5 Stelle- hanno mostrato di apprezzare nei sondaggi, non bastano di certo a fare un leader di carismatico, meno che mai uno statista.
Un collega che stimo molto, a cui avevo anticipato che avrei scritto questo pezzo su Conte e la situazione attuale, ha cercato di dissuadermi: lascia stare, non portare acqua al mulino di Salvini.
Non credo che mettere in evidenza alcune gravi carenze del modus operandi di questo governo e di chi lo guida debba necessariamente giovare a Salvini. Per varie ragioni, ma soprattutto per questa: nell’attuale catastrofe sanitaria e sociale che sta vivendo il nostro Paese, ogni forza politica, anche di opposizione, ha il dovere di contribuire, con proposte, segnalando anche errori, a far uscire il Paese dal rischio di collasso sistemico. Ho cominciato questo pezzo dicendo che non è utile né elegante attaccare il manovratore mentre la casa brucia. Ma elencando le criticità sopravvenute, forse una critica costruttiva non solo è possibile ma doverosa.
Un esempio finale, a proposito delle contraddizioni che gli italiani stanno vivendo sulla loro pelle: si prescrive un metro di stanza per evitare il contagio. Ma c’è chi ha detto: un metro? È poco, almeno quattro metri e mezzo. Le mascherine: a parte che sono spuntate a spizzichi e bocconi, quando, a costo di importarle in quantità di massa, dovevano essere distribuite da subito; c’è chi dice che si possono lavare, c’è chi dice che non si debbono lavare. I guanti: ho fatto proprio stamattina una esperienza personale. All’ingresso di un ospedale, mi è stato imposto di toglierli, ‘’perché non solo non sono utili ma anche dannosi; perché chi porta i guanti poi non si lava le mani’’. Per finire: si dice che il virus muore con il caldo; ma è spuntata un’altra tesi: non è certo.
Tutto questo avviene, nella vita quotidiana degli Italiani, mentre da parte del governo e delle autorità sanitarie non c’è un pronunciamento, un vademecum, che chiarisca tali questioni e altre ancora. Domando: era così complicato farsi venire l’idea, caro ministro della Salute, che pure stai dando il massimo dell’impegno, caro presidente del Consiglio, di costituire un gabinetto scientifico di crisi, una specie di consiglio sanitario di guerra per chiarire tutti i dubbi che poi hanno un riflesso sulle azioni dei cittadini, ed emanare una verità univoca, senza alimentare la pioggia di pareri?.
Si diceva, prima della sospensione delle partite di calcio, che siamo un popolo di 60 milioni di allenatori. Ora siamo un popolo di virologi e di esperti di coronavirus. E intanto la gente muore, e il ‘’ce la faremo’’ di Conte, stavolta senza sua colpa, ha la vibrazione di un suono quasi beffardo.