“Nessuna scusa: non era amore. Anatomia della violenza. Riflessioni sulla perdita di sé"

Alcune manifestazioni non lasciano segni visibili, e scavano dentro, distruggendo l’identità.

di Sara Bruni
Lunedì 24 Novembre 2025
Roma - 24 nov 2025 ()

Alcune manifestazioni non lasciano segni visibili, e scavano dentro, distruggendo l’identità.

Il termine “Violenza” deriva dal latino “Vis” quindi forza, possanza, prepotenza.

 

Nel greco antico la parola violenza veniva indicata con “bia”, che richiama, non solo per assonanza, la radice derivativa “bios”, dunque è una forza che vive, è forza vitale.

 

Corollario che ne discende è che la violenza sia insita nella natura dell’uomo in quanto strettamente collegata al predominio di un uomo su di un altro.

 

Riguarda tutti coloro che si trovano per natura o che si pongono per volontà in una condizione non paritaria rispetto all’altro.

 

Essendo una proprietà immateriale, le varie declinazioni che assume sono correlate allo strumento che si decide di utilizzare per esercitarla. E’ fisica, è sessuale, è economica, è psicologica.

 

Alcune manifestazioni non lasciano segni visibili, e scavano dentro, distruggendo l’identità.

 

A volte è talmente subdola da diventare “normale”, tanto da far ritenere alla vittima di meritarsela, quasi che l’esercizio della supremazia sia lecito perché conseguente alla propria incapacità di reagire e di arginarlo.

 

Ma la subalternità non può essere una colpa, dovrebbe fare spazio alla capacità dell’uno di stare in ascolto e prendersi cura dell’altra e non di abusarne per acquisire maggiore potere, nutrendo il proprio ego.

 

La distruzione dell’identità oggi avviene lentamente, ben più grave è che spesso, ahimè, non ci sia alcunché da distruggere.

 

Qualunque tipo di relazione affettiva, sia essa amorosa o amicale, si basa su di una condizione paritaria.

 

Per esempio, la prima cosa che i pedagoghi raccomandano quando ci si relaziona con un bambino, è quella di mettersi al “loro livello”, guardarli negli occhi cosicché il messaggio possa essere recepito ed ascoltato perché proveniente da un pari che, quindi, non potrà ferirli, e non porterà con sé giudizio e/o critica. Il bambino non dovrà difendersi, non si sentirà minacciato da un potere più grande. Si distenderà e ascolterà.

 

Le radici culturali del nostro Paese affondano nella religione cristiana dove tutto, di contro, si basa su di un rapporto di interdipendenza con un vertice assoluto che è Dio.

 

Stando al racconto della Genesi, l’uomo proviene dalla polvere del suolo, mentre la donna da una costola dell’uomo. Questi espedienti narrativi servono unicamente a sostenere l’intrinseca fragilità dell’essere umano nonché la dipendenza strutturale della donna dall’uomo e di entrambi da Dio.

Qualunque essere è già completo ed ha un’unica relazione essenziale, quella con il vertice da cui proviene: è la prevalenza della sostanza sulla relazione in cui si è obbligati a rapportarsi a colui che esercita un potere sulle loro vite.

 

Il tutto all’insegna di una dipendenza assoluta che, di per sé, rappresenta un terreno ideale su cui possa insistere la violenza.

 

Invece, al giorno d’oggi, assistiamo all’aumento della violenza grazie al proliferare di ego assai rumorosi. La riflessione su di sé ha condotto ad un paradosso: tu non puoi dirmi di no.

Tutto deriva dal benessere degli anni 80’/90’ in cui ha preso il sopravvento una forte centralità dell’io ed in parallelo, un venir meno dei valori fondanti le relazioni con come la carità, intesa come generosità, l’umiltà, la consapevolezza di sé fino alla speranza.

 

Le relazioni oggi esistono solo in quanto funzionali a confermare qualcosa di sé: tu devi confermare il mio valore. Ed ecco che l’altro esiste esclusivamente come specchio dell’ego. Diversamente quella relazione non ha senso di essere.

 

A ciò occorre sommare l’assenza di costruzione, e non c’è alcuna progettualità: il futuro diventa qualcosa di oscuro, di tetro che spaventa.

 

Ed allora, meglio godersi il momento: è tutto ora.

 

La riflessione conseguente, a parere di chi scrive, appare quasi inevitabile ed è la solitudine, non tanto come aspetto esteriore, quanto una profonda solitudine d’animo.

 

In un mondo così agitato e tumultuoso (indubbiamente affascinante) questa vita che muta ogni istante si può apprezzare solo avendo un cuore vuoto, diceva Rousseau (1762).

 

L’uomo che è capace di vivere solo “fuori da sé” è fittizio e artificiale. L’unica via per sottrarsi dalla violenza è quella di cambiare le regole del gioco, radicandosi nella propria identità, costruendo, nella solitudine, la roccaforte di valori su cui non si scende a compromessi e innalzando barriere che tutelino la propria integrità sì da renderla unica, assoluta e non alterabile da alcun agente esterno.


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