Coronavirus nelle carceri, condizioni da Terzo Mondo, “Presidente Mattarella, ci aiuti a non morire”

Drammatico appello al Capo dello Stato del Segretario Generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo

(Prima Pagina News)
Martedì 24 Marzo 2020
Roma - 24 mar 2020 (Prima Pagina News)

Drammatico appello al Capo dello Stato del Segretario Generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo

“Ho ben presente la difficile situazione delle nostre carceri, sovraffollate e non sempre adeguate a garantire appieno i livelli di dignità umana e mi adopero, per quanto è nelle mie possibilità, per sollecitare il massimo impegno al fine di migliorare la condizione di tutti i detenuti e del personale della Polizia penitenziaria che lavora con impegno e sacrificio. Sono fiducioso che i tanti esempi di solidarietà umana che in questo periodo si stanno moltiplicando nel nostro Paese avranno anche l’effetto di far porre la giusta attenzione ai problemi che sottolineate”. Questa la risposta del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al mondo della polizia penitenziaria. Lo ha fatto in una lettera al ‘Il Gazzettino’, rispondendo ad un appello, pubblicato nei giorni scorsi sullo stesso quotidiano, rivolto da parte delle detenute del carcere di Venezia e dei detenuti degli istituti di Padova e Vicenza al Capo dello Stato, al presidente del Consiglio e al Papa e nel quale, tra l’altro, sottolineavano di meritarsi “la pena”, ma non “questa tortura”, anche alla luce delle misure legate all’emergenza coronavirus. Oggi arriva il commento durissimo del Segretario Generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria, Aldo Di Giacomo: “Forse si parla della dignità calpestata di tutti i poliziotti penitenziari che lavorano 20 ore e non tornano a casa, addirittura dormono in macchina dove non ci sono le caserme per non esporre a rischi le proprie famiglie. Forse della dignità calpestata dei poliziotti che devono usare mascherine di carta per difendersi dal virus per evitare di trasmetterlo alle proprie famiglie, ai colleghi o addirittura ai detenuti. Forse ci si riferisce – aggiunge il leader sindacale- alla dignità calpestata da disposizioni che impongono di continuare a lavorare anche se si è avuto contatti con persone contagiate dal virus o ancora calpestata dai quei direttori e comandanti che “consigliavano” di non mettere le mascherine per evitare di creare panico tra i detenuti”. Se la verità è quella raccontata qui dal sindacalista Aldo Di Giaconmo, allora la condizione dei nostri poliziotti delle carceri è davvero devastante e precaria, e quindi da difendere, sostenere e tutelare fino in fondo. “Forse – dice ancora Aldo Di Giacomo- si parla anche della dignità di tutte le famiglie dei poliziotti penitenziari che si sentono dimenticate come i loro cari. Il peggio non è questo - continua Di Giacomo - forse la dignità di tutti quei detenuti immuni-depressi ed anziani che vivono la vita su di un filo di lana che si può spezzare da un momento all’altro. Forse ancora, di quella dignità violentata da mezze verità, di quei 18 medici e paramedici penitenziari infetti di cui non si parla, per paura, ultimo oggi al carcere di Roma, di quei 180 poliziotti infetti e della sofferenza delle famiglie, della consapevolezza che se il virus si propaga nelle carceri sarà una catastrofe”. Il quadro che viene fuori da questa lettera del leader sindacale è un quadro da terzo mondo, inimmaginabile e per certi versi anche quasi incredibile. Di cosa si parliamo? “Dei 19 detenuti infetti, e di chi sa quanti altri, e della mancanza di tamponi, e della dignità delle famiglie. Delle centinaia di poliziotti che ancora non sanno di essere infetti o non lo sapranno mai. Caro Presidente – conclude così Aldo Di Giacomo rivolto al Capo dello Stato- serve ridare la dignità a tutto il mondo carcerario, quella dignità violentata fino all’aspetto più intimo, che è la salute. Appare difficile però tutto questo. Appare dunque opportuno un suo intervento concreto, che riporti prima di tutto il rispetto alla salute, e alla vita, ed alla sicurezza dei cittadini. Per la dignità possiamo anche aspettare”.(b.n)


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