Omicidio Cecchettin: Corte d'Appello conferma l'ergastolo a Turetta

La sentenza di primo grado è diventata definitiva.

(Prima Pagina News)
Venerdì 14 Novembre 2025
Venezia - 14 nov 2025 (Prima Pagina News)

La sentenza di primo grado è diventata definitiva.

E' stata confermata, dalla Corte d'Assise d'Appello di Venezia, la condanna all'ergastolo per Filippo Turetta, accusato di aver ucciso la sua ex fidanzata, Giulia Cecchettin, morta l'11 novembre del 2023.

La sentenza di primo grado, quindi, è diventata definitiva, a seguito della rinuncia agli appelli da parte della difesa e della Procura generale di Venezia.

I giudici hanno escluso l'aggravante della crudeltà. Non si può “desumere con certezza, e al di là di ogni ragionevole dubbio” che Turetta volesse “infliggere alla vittima sofferenze gratuite e aggiuntive”, hanno scritto i giudici di primo grado nella motivazione della sentenza, aggiungendo che “non è a tal fine valorizzabile, di per sé, il numero di coltellate inferte” perché le coltellate inflitte non sono “un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima”, ma “conseguenza della inesperienza e della inabilità”.

La dinamica dell'accoltellamento, “certamente efferata”, non si ritiene “sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell’imputato” perché Turetta “non aveva la competenza e l’esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e pulito”.

I punti dove sono state inflitte le coltellate “appaiono frutto di azione concitata, legata all’urgenza di portare a termine l’omicidio” e non sarebbero un elemento “significativo della sussistenza, in capo all’imputato, di volontà di voler infliggere in danno della vittima sofferenze aggiuntive e gratuite, necessaria al fine di poter ritenere integrata l’aggravante della crudeltà”.

“Lucidità e razionalità” sono state mantenute da Turetta dopo l'omicidio, vista la “chiara e innegabile volontà di nascondere il corpo in modo quantomeno da ritardarne il ritrovamento”. Tutta la dinamica è durata 20 minuti, un “lasso di tempo durante il quale ha avuto la possibilità di percepire ‘imminente morte’. A tal fine manca tuttavia la prova che l’aver prolungato l’angoscia della vittima sia atto fine a sé stesso, frutto della deliberata volontà dell’imputato di provocarle una sofferenza aggiuntiva e gratuita”.

Ci sono stati “motivi vili e spregevoli” per l’omicidio, “dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l’imputato non accettava l’autonomia delle anche più banali scelte di vita”.

Confessando l'omicidio, Turetta “si è limitato ad ammettere solo le circostanze per le quali vi era già ampia prova in atti d’altra parte”, un comportamento “in linea con il contegno tenuto in sede di primo interrogatorio, quando egli non solo ha sottaciuto ma ha apertamente mentito in ordine a diverse, anche gravi, circostanze poi emerse a seguito delle accurate indagini svolte.

Dalle intercettazioni delle conversazioni occorse in carcere tra lui e i genitori si evince chiaramente come egli fosse a conoscenza del fatto che, oltre agli elementi fino ad allora emersi, vi era molto altro a suo carico, eppure si è guardato bene dal riferirne in sede di interrogatorio”.


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