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La fine della flottilla tra ironia e disincanto: un’armata mai davvero salpata, che affonda non per cannonate ma per indifferenza.
La fine della flottilla tra ironia e disincanto: un’armata mai davvero salpata, che affonda non per cannonate ma per indifferenza.
E così è finita. La flottilla – quell’armata brancaleone dei mari, metà leggenda, metà farsa, tre quarti ritardo burocratico – ha finalmente lasciato i flutti per approdare a quello che in gergo tecnico si chiama “archivio delle cose che nessuno voleva più mantenere”.
Non che qualcuno se ne sia accorto. La notizia della sua fine è stata accolta con lo stesso entusiasmo con cui si reagisce a un avviso condominiale sull’ascensore in manutenzione: una scrollata di spalle e via. Eppure, la flottilla era lì, a galleggiare – a volte – a rappresentarci – in teoria – e a consumare carburante – di sicuro.
Il bello della flottilla era la sua aura mitologica: ogni volta che si parlava di lei, sembrava una potenza navale pronta a sfidare oceani e pirati. In realtà, nella pratica, ricordava più una gita scolastica mal organizzata: troppi comandanti, poca rotta, bandiere sdrucite e qualche scialuppa che perdeva acqua.
Ma ecco il paradosso: ora che non c’è più, ci mancherà. Perché ogni tanto, di fronte a una crisi internazionale, si poteva sempre evocarla come soluzione magica: “mandiamo la flottilla!” — un po’ come dire “chiamiamo i Ghostbusters”, ma senza zaini protonici e con più moduli Excel.
La verità è che la flottilla non è mai stata davvero viva, quindi non poteva davvero morire. È stata piuttosto un esperimento di messa in scena collettiva, una barca immaginaria in cui ciascuno si è convinto che qualcun altro stesse remando. Spoiler: nessuno remava.
E così la flottilla se ne va, affondata non da cannonate o iceberg, ma da qualcosa di molto più temibile: l’indifferenza generale. Addio, vecchia amica. Non hai fatto nulla, ma in fondo, in questo, sei stata perfettamente coerente.