Sei sicuro di voler sbloccare questo articolo?
“Il PD -dice l’ex parlamentare PD- non può tacere: la memoria delle vittime del terrorismo è un valore non negoziabile”.
“Il PD -dice l’ex parlamentare PD- non può tacere: la memoria delle vittime del terrorismo è un valore non negoziabile”.
di Marilina Intrieri*
La candidatura di Donatella Di Cesare al fianco di Pasquale Tridico, sostenuta dal Movimento 5 Stelle, apre in Calabria una frattura politica e culturale che non può essere minimizzata. Non è solo questione di opportunità: è un tema di coerenza con i valori che il centrosinistra dice di voler portare al governo della regione. Affidare la guida di una lista a chi, in passato, ha reso omaggio a una brigatista mai pentita, Barbara Balzarani, figura di primo piano delle Brigate Rosse e compagna di Mario Moretti durante il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, espone l’intera coalizione a un’ambiguità che la democrazia non può permettersi.
Esiste infatti una linea invalicabile: il rispetto assoluto per la memoria delle vittime del terrorismo. La Repubblica ha pagato un prezzo altissimo alla violenza brigatista, e l’assassinio di Aldo Moro resta la ferita più profonda. Nel 1978 lo Stato fu colpito al cuore, mentre lo statista democristiano lavorava per unire culture politiche e aprire una stagione di dialogo democratico. La sua morte e quella degli uomini della scorta segnarono per sempre la coscienza civile, imponendo un monito chiaro: mai più zone grigie, mai più attenuanti per chi sceglie la violenza.
Ecco perché oggi non si può indulgere in nostalgie ideologiche o in provocazioni intellettuali che, anche involontariamente, finiscono per sminuire la gravità di quelle ferite. Non a caso, la stessa Rettrice della Sapienza, prof.ssa Antonella Polimeni, prese ufficialmente le distanze dall’omaggio reso dalla prof.ssa Di Cesare alla Balzarani: un segnale istituzionale netto che oggi torna di drammatica attualità.
La Calabria non ha bisogno di candidature simboliche che dividono.
Ha bisogno di lavoro dignitoso, di una sanità territoriale che funzioni, di scuole e università capaci di trattenere i talenti, di infrastrutture che rompano l’isolamento e di una politica di legalità che non sia solo slogan. È su questo terreno che si misura la credibilità di chi ambisce a governare.
Una coalizione che vuole proporsi come alternativa di governo non può lasciare che il dibattito si sposti su polemiche identitarie: così si disorientano i moderati, si spingono gli indecisi all’astensione e si offre agli avversari un facile argomento di delegittimazione. La competizione si vince allargando, non restringendo: con candidature capaci di unire pluralismo e responsabilità, non con figure che polarizzano e costringono gli alleati a infinite giustificazioni.
In questo quadro, il Partito Democratico non può tacere. Se davvero intende proporsi come forza di governo in Calabria, ha il dovere di chiarire, anche nei confronti dell’alleato Cinque Stelle, che il rispetto della memoria delle vittime del terrorismo è un principio non negoziabile. Senza questo atto di responsabilità politica, il rischio è che la scelta di pochi diventi il fardello di tutti, trascinando la coalizione in un dibattito sterile, lontano dai bisogni reali dei cittadini.
La scelta di candidare Di Cesare appare dunque sbagliata nel metodo e nel merito: nel metodo, perché antepone il colpo di scena alla costruzione di un profilo di governo; nel merito, perché oscura le priorità concrete con un’ombra etica e simbolica che non giova a nessuno, tantomeno ai calabresi. Correggere la rotta che il PD deve chiedere non sarebbe un segno di debolezza, ma di maturità politica: riconoscere che i valori democratici non sono negoziabili e che la memoria delle vittime non è terreno per esperimenti ideologici.
Il centrosinistra ha davanti un bivio semplice: scegliere candidature che uniscono e parlino a un elettorato riformista in cerca di serietà e soluzioni, oppure rischiare di restare imprigionato in una testimonianza autoreferenziale, rumorosa ma sterile. Per governare la Calabria servono mani ferme e parole nette. La chiarezza non è censura: è rispetto. E il rispetto, in democrazia, viene prima di tutto.
*Marilina Intrieri è stata dirigente nazionale della Dc, del Ppi, presidente nazionale dell’Udeur, dirigente dei Ds in direzione nazionale come vice responsabile degli enti locali e del Partito Democratico. Giornalista pubblicista iscritta all’Ordine della Calabria dal 18 aprile 1998, è presidente nazionale di Child’s Friends.