Quando la Corte dei Conti si sostituisce alla politica

Il no al Ponte sullo Stretto non è un atto tecnico ma una scelta di potere. L’Italia non può restare ostaggio di una magistratura contabile che da anni entra nel merito delle decisioni di governo. Serve una riforma radicale, prima che la burocrazia soffochi la democrazia.

(Prima Pagina News)
Giovedì 30 Ottobre 2025
Roma - 30 ott 2025 (Prima Pagina News)

Il no al Ponte sullo Stretto non è un atto tecnico ma una scelta di potere. L’Italia non può restare ostaggio di una magistratura contabile che da anni entra nel merito delle decisioni di governo. Serve una riforma radicale, prima che la burocrazia soffochi la democrazia.

C’è qualcosa di stonato, quasi anacronistico, nella vicenda del Ponte sullo Stretto. Per mesi Governo e Parlamento hanno lavorato a un progetto che doveva segnare la rinascita del Mezzogiorno, riportare l’Italia al centro delle grandi opere strategiche. Poi, all’improvviso, arriva il no della Corte dei Conti, che blocca la delibera Cipess del 6 agosto come se tutto potesse ricominciare da capo. Motivazioni contabili, cavilli procedurali, formule giuridiche. Ma dietro quelle pagine si intravede un’altra logica: una scelta politica camuffata da controllo tecnico.

 È la vecchia Italia che non molla mai. Quella dei veti, dei ritardi, dei “non si può”. E la Corte dei Conti, nata per vigilare sulla legalità della spesa, si è trasformata nel simbolo perfetto di questo immobilismo. Una burocrazia autoreferenziale che, anziché limitarsi a controllare, decide. Decide chi è idoneo e chi no, chi può avanzare, chi va fermato. Dirigenti di ministeri bocciati perché senza titoli formali, altri promossi nonostante le stesse lacune: un gioco a somma zero che mina la credibilità dello Stato.

 Non è la prima volta che qualcuno si accorge del problema. Già nel 1999 la Commissione bicamerale per la riforma costituzionale, guidata da Massimo D’Alema, discusse apertamente della soppressione della Corte dei Conti. La cosiddetta “bozza Boato” prevedeva di trasferire le funzioni giurisdizionali al Consiglio di Stato e quelle consultive all’Avvocatura dello Stato. Una proposta coraggiosa, mai attuata, sepolta dai compromessi di allora. Eppure oggi appare più attuale che mai.

 Perché il punto non è difendere o attaccare il Ponte sullo Stretto, ma capire chi decide davvero in questo Paese. Se il Governo eletto dai cittadini o la magistratura contabile che, in nome del principio di legalità, esercita un potere che nessuno le ha conferito. Non si tratta di “punire” la Corte dei Conti, ma di ridefinirne ruolo e confini. Il controllo contabile è necessario, essenziale persino. Ma non può diventare strumento per congelare progetti già approvati, paralizzando la macchina pubblica e frustrando la volontà politica.

 La storia italiana è piena di grandi occasioni mancate. Il Ponte è solo l’ultima di una lunga serie di simboli: infrastrutture bloccate, riforme diluite, cantieri promessi e mai avviati. Non perché manchino i soldi o le idee, ma perché il sistema vive in una paura cronica di decidere. E quella paura, oggi, ha le sembianze di una sentenza contabile.

 La buona amministrazione nasce dal controllo, certo. Ma nasce anche dal coraggio, dalla responsabilità politica che rende conto ai cittadini, non ai magistrati. E se la Corte dei Conti vuole tornare a essere un organo utile alla Repubblica, deve smettere di comportarsi da potere parallelo. L’Italia ha bisogno di costruire, non di ricominciare sempre da zero. E per farlo deve liberarsi dagli ingranaggi che ne frenano ogni passo.

 Il Ponte sullo Stretto, in fondo, è solo una metafora: tra il dire e il fare, in Italia, c’è sempre di mezzo la Corte dei Conti.


RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright Prima Pagina News

#ControlloContabile
#CorteDeiConti
#GrandiOpere
#ParalisiAmministrativa
#ProgettiBloccati
PPN
Prima Pagina News

APPUNTAMENTI IN AGENDA

SEGUICI SU