Salone del Libro di Torino. La lezione di Annamaria Frustaci, "Donna dello Stato".
Torino, al Festival del Libro, una “donna dello Stato”. Annamaria Frustaci da ragazza sognava di fare la giornalista, e un giorno invece “incontra” la giustizia e se ne innamora, così da diventare un magistrato di questo Paese. Sotto scorta da anni, una vita ad altissimo rischio.  
di Pino Nano
Domenica 21 Maggio 2023
Roma - 21 mag 2023 (Prima Pagina News)
Torino, al Festival del Libro, una “donna dello Stato”. Annamaria Frustaci da ragazza sognava di fare la giornalista, e un giorno invece “incontra” la giustizia e se ne innamora, così da diventare un magistrato di questo Paese. Sotto scorta da anni, una vita ad altissimo rischio.  

Al Salone del Libro di Torino il giudice Annamaria Frustaci presenta il suo libro “La ragazza che sognava di sconfiggere la mafia” (Mondadori Editore) ed è un successo senza precedenti. Per la prima volta nella sua vita questo giovane magistrato donna si mette a nudo e racconta sé stessa, con lo stesso candore con cui in Calabria aveva vissuto la sua giovinezza. Oggi la sua vita è una vita blindata, sempre di corsa, in bilico tra un’auto di servizio e l’altra, le udienze in aula bunker e poi il silenzio del suo ufficio alla Procura della Repubblica di Catanzaro: Nella stanza accanto alla sua c’è il Procuratore Nicola Gratteri, che è il suo capo. Lei, eternamente controllata a vista dai suoi uomini di scorta, che l’adorano e che la trattano con la stessa dolcezza con cui tratterebbero le loro madri o le loro spose, merito anche del suo carattere sempre accogliente e disponibile, eternamente dolce e rispettosa di tutti. Una signora d’altri tempi, uno charme che si percepisce nell’aria, un carisma che ti sovrasta. Donna della Repubblica in tutti i sensi.


-Premesso che il suo libro è bellissimo, Consigliere Frustaci, leggo nei suoi occhi un senso di fierezza per quello che fa come magistrato in trincea?

“Sono fiera di poter svolgere un lavoro che ho fortemente voluto e questo sentimento mi accompagna fin dal momento in cui ho assunto le funzioni di magistrato. Ma sono anche consapevole della delicatezza e dell'importanza di svolgere questa professione in un territorio, come quello calabrese, in cui la domanda di giustizia è molto alta e c’è bisogno di una presenza più forte e attenta dello Stato”.

 

-Posso chiederle quanto le pesa la vita blindata a cui è sottoposta?

“La vita che conduco non mi pesa. Oltre al lavoro che amo, ai miei affetti e alla passione per la scrittura, che coltivo nei momenti liberi, non ho esigenze particolari. Certo, non posso dedicarmi alle passeggiate immerse nella natura come facevo un tempo, ma la bellezza di ciò che faccio non mi fa rimpiangere le cose a cui ho messo in conto di dover rinunciare. Unico elemento a cui fatico ad abituarmi è il non poter improvvisare un viaggio o uno spostamento, nemmeno per esigenze sopravvenute, dovendo sempre pianificare per tempo ogni dettaglio”.

 

-Immagino che lei non vada al cinema da molto tempo?

“Da almeno cinque anni, ma al giorno d'oggi ci sono tante alternative per la visione di un bel film”.

 

-Ma il gioco vale davvero la candela?

“Non sempre lo sforzo e l’impegno profuso sono compensati da risultati, ma questo è un lavoro che si fa per amore della giustizia, anche quando possono occorrere degli anni per fare luce su determinati fatti, o quando le ricerche possono dare esiti infruttuosi. Per coloro che hanno subìto un torto, o vivono dei problemi che li portano a rivolgere le proprie istanze alla magistratura, la sete di giustizia e di verità non si affievolisce con il trascorrere del tempo. Certamente, man mano che il tempo passa, può crescere in loro il senso di sfiducia, ma il bisogno di avere delle risposte non verrà mai meno. Ecco perché mi sento di dire che, quando si tratta di giustizia, il gioco varrà sempre la candela”.

 

-Le viene mai il dubbio di aver commesso come magistrato qualche errore?

“Quando si svolge un lavoro come il mio non si è immuni dall’errore. Naturalmente mi riferisco ai casi in cui l’errore non dipenda da una superficialità del magistrato (poiché in questo caso potrebbero esserci anche implicazioni disciplinari), ma da situazioni in cui le acquisizioni investigative - in un primo momento solide - vengano superate o smentite dal fisiologico sviluppo di un’indagine o di un processo. In ogni caso, per formazione, per coscienza, ma soprattutto perché è un mio precipuo dovere, quando le risultanze istruttorie vengono contraddette dagli indagati che ne sono destinatari e, nel contraddittorio, sorgono in me dei dubbi, metto sotto la lente di ingrandimento il mio lavoro, per verificare la fondatezza di quanto viene affermato. In questo lavoro è fondamentale ascoltare ciò che hanno da dire i propri interlocutori e sottoporlo a verifica, senza alcun pregiudizio”.

 

-Se potesse tornare indietro cosa non rifarebbe?

“Non ci sono cose che non rifarei, ma sicuramente, se tornassi indietro, alcune vicende le affronterei con una maturità, con un approccio e con un temperamento diverso”.

 

-Quando lei dichiara "Avere paura non significa non avere coraggio" vuol dire determinazione ad andare avanti?

“Ne sono fortemente convinta, perché solo chi ha sperimentato la paura, può trarre da questa esperienza la forza e la determinazione per andare avanti e per liberarsi dall’effetto limitante o paralizzante che questo sentimento porta con sè. Nelle piccole e grandi sfide della quotidianità, ci rendiamo conto di come provare paura diventi un’occasione di riflessione e di crescita spirituale per l’individuo, oltre a rappresentare il primo passo per trovare il coraggio di misurarci con le situazioni che ci spaventano e di affrontarle. Quindi la paura è certamente un buon termometro per misurare la nostra determinazione”.

 

-E quando dice di essere preoccupata per la vita dei suoi cari, non per la sua, a chi pensa?

“Alla mia famiglia, alla persona che mi sta accanto, alle mie amicizie, insomma ai miei affetti più importanti”.

 

-Quando la descrivono come una "donna dello Stato", si ritrova in questa immagine?

“Mi piace di più pensare di essere una donna al servizio dello Stato e dei cittadini. Credo sia necessario, oggi più che mai, recuperare l'immagine di una funzione giudiziaria che non sia considerata come esercizio di potere, ma sia percepita come presidio legalità al servizio dei cittadini”.

 

-Consigliere, posso chiederle a chi le piacerebbe dedicare oggi la sua vita e la sua carriera?

La dedico a tutti coloro che credono ancora nella giustizia e che ripongono in essa le loro legittime aspettative e le loro speranze.

 


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