Libri sotto l’albero. Attilio Sabato, “Cella 21”, il dolore delle tantissime vittime di ingiustizia

“Dedicato a te, lettore che mi hai scelto. Grazie per il tempo, la fiducia e la curiosità con cui hai aperto queste pagine. Senza di te, queste parole resterebbero sospese”.

di Pino Nano
Lunedì 22 Dicembre 2025
Roma - 22 dic 2025 (Prima Pagina News)

“Dedicato a te, lettore che mi hai scelto. Grazie per il tempo, la fiducia e la curiosità con cui hai aperto queste pagine. Senza di te, queste parole resterebbero sospese”.

Appena fresco di stampa. “Cella 21”, è il titolo -forte- dell’ultimo libro del giornalista calabrese Attilio Sabato, storico direttore responsabile di Teleuropa Network (Pellegrini Editore), così come forte è la copertina che accompagna il testo definitivo del romanzo che in realtà è molto più di una storia di giustizia e di potere.

 

“Il silenzio dell’aula viene interrotto dalla voce del difensore. Parla lento, calibrato, ma carico di tensione: “Signori della corte oggi non parlerò di ipotesi o supposizioni, ma di verità. La vita del mio cliente è stata devastata da menzogne orchestrate con precisione chirurgica. Non un errore, non un equivoco: un complotto. Un uomo è stato accusato, perseguitato e condannato dalla percezione, non dai fatti”.

 

Va molto oltre questo saggio, e riconferma la bravura straordinaria di questo cronista-puro animale televisivo alle prese ancora una volta con la magia della scrittura.

Cella 21” è un viaggio nell’anima di chi, travolto dalla macchina giudiziaria e dalla tempesta mediatica, si ritrova a fronteggiare il peso del sospetto e il marchio dell’infamia. Un libro che parla di malagiustizia, di vite calpestate dal fango mediatico, e da un sistema giudiziario che una volta per tutte va rivisto e rimesso a posto. Poi alla fine si torna liberi “perché il fatto non sussiste, ma questo -spiega l’autore- non basta più a nessuno. 

“Il sole scivolava lento verso il tramonto e l’orizzonte si tingeva di rosso, e in quel rosso lui non vide come una speranza. Non era il colore della libertà, ma quello della sua nuova prigione: infinita, sconfinata, senza chiavi e senza porte. È un ergastolo di sguardi, pregiudizi, memoria, che nessun tribunale avrebbe mai potuto cancellare. E allora comprese, con la chiarezza gelida di chi non ha più illusioni, che il processo non era mai davvero finito. Il tribunale lo aveva assolto, sì, ma la società lo aveva condannato a una pena più crudele di qualunque cella: vivere da uomo libero senza mai più sentirsi innocente”. 

Il tema è quanto mai attualissimo e anche inquietante, per tutto quello che una inchiesta giudiziaria sbagliata possa comportare sui protagonisti chiamati in causa, e in questo gioco al massacro Attilio Sabato sta dalla parte della giustizia vera, quella che spesso non viene mai a galla, molte volte tradita da interessi di carriera e di predominio sugli altri, mortificata e confortata da falsi verbali o da false interpretazioni di comodo da parte di certa polizia giudiziaria. 

Attilio Sabato racconta in queste pagine magistralmente bene il potere debordante e improprio di un magistrato che ha la libertà e la facoltà di rinchiudere un altro uomo di potere come lui in prigione, la Cella 21, e il più delle volte senza nemmeno che il diretto interessato a volte ne conosca il motivo vero. Ma questo è quanto accade al protagonista del romanzo di Attilio: “un politico che viene rinchiuso in una cella, ignaro della ragione della sua detenzione e di chi stia dietro la congiura che gli ha stravolto la vita”. 

Storie di ordinarie follie, e di ordinarie inchieste giudiziarie nate male, inchieste ad orologeria, che poi sfumano nel nulla, ma che lasciano un segno indelebile e incancellabile, inchieste zeppe spesso di errori e di superficialità e per le quali purtroppo nessuno pagherà mai perché in questo nostro Paese la legge dello Stato non persegue gli errori giudiziari Semmai, in rarissimi casi emblematici rimborsa i giorni di ingiusta detenzione. Scandaloso anche questo. 

Ma il potere è un gioco di equilibri -sottolinea l’autore- e per non mostrare le sue fragilità, a volte, è costretto a spezzare le vite di quanti lo mettono a rischio”. 

In realtà tutta l’attività letteraria di Attilio Sabato si impernia sul rapporto uomo–potere. Non solo come dinamica sociale, ma anche individuale. “Il potere che tiranneggia la comunità, ma anche il singolo. Il potere come comando, ma anche come seduzione che corrompe. Il potere che ora rende aguzzino, ora vittima. Un coltello senza manico, a doppia punta”. Magistrale davvero. 

Il romanzo di Attilio Sabato racconta la parabola umana e politica di Cristiano Mezzatesta, politico travolto da un'accusa di corruzione, dalla solitudine della cella al processo, fino a una sorta di catarsi morale. La vicenda, immersa nella realtà della giustizia italiana e dei suoi meccanismi mediatici, esplora la natura della colpa, dell’innocenza, della reputazione pubblica e della coscienza personale. 

Per Attilio Sabato ecco allora che il protagonista del suo romanzo si porterà dentro per tutto il resto della sua vita “il rumore delle sbarre che vibrano al passaggio delle guardie, le urla improvvise che lacerano il silenzio della notte. I compagni di carcere sono un mosaico di ombre e storie spezzate: uomini e donne segnati dal dolore e dalla rabbia, alcuni sospettosi, altri appena solidali da offrirgli un sorriso furtivo, un frammento di umanità. Una notte, rannicchiato sul letto di ferro, un detenuto vicino gli aveva sussurrato: "Qui dentro tutti ti vogliono fare a pezzi l’anima, ma se resisti, se non tradisci te stesso, sei più forte di chiunque”. 

Attraverso le vicende di Cristiano Mezzatesta, Attilio Sabato ci conduce dunque dietro le quinte della politica e della coscienza privata, esplorando la vulnerabilità degli uomini al giudizio degli altri e il senso di solitudine che invade chi viene escluso dalla comunità. 

Non c’è libertà senza verità- chiosa il giornalista- e quando questa muore non resta che lo sfiorire dell’identità nell’ergastolo dell’incertezza. Dalla cella 121 non si esce mai”. 

Altrettanto magistrale il racconto e la descrizione che il giornalista fa di questo mondo così pieno di ombre e di dubbi, di sospetti incrociati e di lettere anonime, o di fonti confidenziali in assoluta mala fede, di falsi confidenti o di falsi pentiti di maniera, e dove viene narrata la perdita della fiducia, il peso dell’isolamento, il valore – e limite – della verità, e la durezza del giudizio sociale, che permane anche dopo l’assoluzione processuale. 

Attraverso la storia di Cristiano, Attilio Sabato mostra che la vera pena non sta solo nel carcere fisico, ma nell’“ergastolo collettivo” dell’opinione pubblica: dove si diventa un marchio negativo, che passa di bocca in bocca, una lezione morale vivente, senza alcuna possibilità di riscatto autentico. 

L’ho appena scritto, il libro indaga in maniera impietosa il senso del potere, e la sua capacità di corruzione, la vulnerabilità degli individui di fronte alla macchina giudiziaria e mediatica, e pone domande fondamentali sulla capacità di resistere, di trovare la dignità perduta e la verità dentro questa assurda tempesta del sospetto. Ma c’è di più. Il romanzo racconta meravigliosamente bene come il potere possa travolgere chi lo esercita, come la fiducia e la generosità possano in alcuni momenti diventare ingenuità e debolezza e attraverso la parabola del protagonista Cristiano Mezzatesta, Attilio Sabato ci mette davanti al dramma della reputazione, della solitudine, dell’umiliazione pubblica e della condanna che spesso precede il giudizio formale.

In queste pagine c’è davvero di tutto. C’è il silenzio assordante di una cella, il rumore dei processi sommari, il tintinnio delle sbarre, cancelli che si aprono e si richiudono, e soprattutto c’è la ricerca di una verità troppo spesso schiacciata dal clamore della cronaca. Il protagonista che lotta tra ricordi, rimorsi e speranze, diventa alla fine specchio disincantato di una società pronta a giudicare, e lenta a comprendere. 

Attilio Sabato ci invita a domandarci quanto in realtà ognuno di noi sia capace, davvero, di distinguere la colpa dall’errore, la giustizia dalla vendetta, la dignità dagli stereotipi politici, e svela, racconta, dimostra, quanto sia fragile la posizione di chi oggi ha dirette responsabilità politiche.

 

Basta un’accusa per essere marchiati per sempre, per essere abbandonati da tutti, e la vera pena si consuma nella memoria collettiva e nell’isolamento sociale più che nel carcere”.

 

La narrazione veloce, moderna, e a tratti intensa che usa il giornalista per questo suo nuovo romanzo esplora il dolore di chi viene tradito dagli amici e dai collaboratori, la spirale giudiziaria che ne segue, il sospetto continuo, la ricerca disperata di riscatto e dignità che ti rimane addosso per il resto della vita.

 

Finchè dal processo non si leva una denuncia forte a favore dell’imputato: «Io… devo parlare» urla con la voce rotta e tremante, ma decisa. "Sono stato io. Ho falsificato tutto, distrutto la vita di un uomo innocente. Tutto per paura… perché mi è stato imposto…È stato Viscido a tendere la trappola a Cristiano. Io ho obbedito soltanto perché non avevo scelta. Mi ha ricattato. Se non avessi eseguito l’ordine, avrebbe rivelato le mie debolezze, le notti disperate passate a gettare via denaro che non avevo… mi avrebbe accusato di aver sottratto ventimila euro dalle casse del partito per pagare i debiti contratti al gioco".

 

Ma “Cella21” è anche un invito a riflettere, a non fermarci all’apparenza, a cercare nell’uomo la verità che spesso nessun tribunale sa riconoscere. Un romanzo struggente, devastante, inquietante, avvolgente che denuncia la violenza del pregiudizio, il cinismo delle macchinazioni politiche, e interroga il lettore sulla capacità autentica di distinguere tra colpa e innocenza, tra giustizia e vendetta. In queste pagine Attilio Sabato ne fa un inno alla resistenza dell’anima, di fronte alla tempesta della vita, “una meditazione sulla necessità di non fermarsi all’apparenza, e di cercare la verità negli aspetti più fragili e umani dei protagonisti”.

 

Alla fine, il romanzo suggerisce che la speranza di redenzione e di riconciliazione è fragile laddove il pregiudizio e la memoria collettiva diventano più forti della giustizia stessa. L’umanità del protagonista, messa a dura prova, diventa quindi simbolo della battaglia tra verità e narrazione pubblica, sconfitta quotidiana di chi viene travolto dall’ingranaggio della politica e di una società spesso sempre di più preda di una giustizia sommaria e mediatica che si preoccupa molto più dell’effetto tv che non della certezza dei processi. Immagine tristissima di una società balorda e fuori dai confini. Come tale amorale e immorale.

Questo è un libro da leggere tutto di un fiato, perché denso di umanità e di speranza, assolutamente emozionale, scritto con il cuore più che con la mente, e probabilmente anche perché ispirato da una storia vera. Ma questo brucia ancora di più.

 

La storia si conclude con la morte del suo protagonista.

 

“Cristiano era lì, chino sulla scrivania, la testa piegata di lato, le braccia distese a cerchio sul legno, il volto immobile, pallido come cera, gli occhi spalancati, fissi nel vuoto, muti come vetro. Nessun respiro, nessun segno di vita, c’era solo silenzio intorno a lui. Accanto al corpo senza vita, una Montblanc abbandonata e un foglio bianco, immacolato. Nessuna traccia d’inchiostro, nessun nome, nessun indizio che rivelasse a chi fosse destinato quel messaggio mai scritto”.

 

Magari avrebbe voluto scrivere una lettera al giudice che lo aveva fatto arrestare per chiedergli “Ma perché proprio io che sono assolutamente innocente? E perché mai tanta brutalità nei miei riguardi? Ma finirà mai questo gioco al massacro? Di una giustizia spettacolo a tutti i costi? A chi giova tutto questo?

 

Domande a cui nessuno naturalmente potrà mai più rispondere, perché in realtà il protagonista del romanzo muore prima ancora di poterle scrivere. Poveri noi tutti. 


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