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Alla presentazione romana del libro “Gerace Città Magno-greca delle Cento Chiese, Storie e immagini rivissute” (Gangemi Editore), firmato Francesco Maria Spanò.
Alla presentazione romana del libro “Gerace Città Magno-greca delle Cento Chiese, Storie e immagini rivissute” (Gangemi Editore), firmato Francesco Maria Spanò.
A sentire Francesco Maria Spanò c’era il mondo della LUISS, ma non solo. Un tuffo nella storia più antica della Calabria. Nel cuore di Roma si parla di Gerace, e naturalmente si parla della Locride, ma naturalmente si racconta la Calabria e la sua gente, e lo si fa con i toni soft dei grandi intellettuali, che in questo caso sono essi stessi figli di Calabria. Il paradosso è che in realtà nessuno di loro in Calabria ci tornerà mai più. La vita e il destino li hanno definitivamente strappati alla propria terra di origine, e li hanno poi portati in giro per il mondo. Ognuno di loro doveva solo pensare a studiare, per crescere e per coronare un sogno, che nei ragazzi di allora era generalmente un sogno di successo e di affermazione professionale. Ma una volta partiti, nessuno di loro è mai più tornato a casa propria. Il paese natale rimane quindi, per ognuno di loro, un ricordo tenerissimo, ma lontano. È quello che un antropologo molto attento alle cose di Calabria, Vito Teti, chiama “il paese ombra”. Ma è di questo che alle cinque della sera di un giorno come tanti, al numero 142 di Via Giulia, cuore antico e suggestivo di Roma Capitale, siamo alle spalle dell’Ambasciata di Francia e di Campo dei Fiori, è di questo che si parla, del proprio “Paese Ombra”, e l’occasione è la bella festa organizzata dalla Gangemi Editore per il battesimo romano del libro “Gerace Città Magno-greca delle Cento Chiese, Storie e immagini rivissute”, firmato Francesco Maria Spanò. Il vero protagonista della serata lui, un giurista prestato oggi alla letteratura, un uomo che per mestiere gestisce Risorse Umane, ufficialmente fa il Direttore del Personale di una delle Università più prestigiose d’Italia, la Luiss Guido Carli di Roma, ma questa sera Francesco Maria Spanò è qui solo uno dei tanti emigrati calabresi di successo che in giro per il mondo ricordano la propria infanzia e si commuovono, parlano della vecchia argenteria di casa ma le cose che conservano in maniera più cara sono le vecchie fotografie di famiglia, non hanno mai dimenticato gli odori e i profumi della cucina dei nonni, le nenie e le filastrocche dei più vecchi del paese, le feste popolari e le processioni che sono per tutti noi la vera anima della nostra esistenza quotidiana. Malinconico, commovente, struggente, meravigliosamente tenero è il racconto che Francesco Maria Spanò fa della sua Gerace, “il paese dei mille tetti”, dove lui riesce ancora a tornare ogni anno, un mese d’estate, per riassaporare il vento delle sue colline attraversate dal soffio salmastro dello Ionio. Solo chi c’è stato in Calabria, almeno una volta nella sua vita, può capire fino in fondo la sua emozione, nel parlare del suo paese natale, nel raccontare i suoi amici di un tempo, nell’esaltare la sua meravigliosa famiglia, soprattutto suo padre, e nel sottolineare alla fine che “in un paese così piccolo come il mio la famiglia non è solo quella dove sei nato, ma è anche il respiro della gente che vive attorno a te, che ti avvolge, e che insieme a te e accanto a te conta i rintocchi del tempo che inevitabilmente scorre via”. Dunque, un intero paese. Applausi a scena aperta alla fine della serata per Francesco Spanò, in una sala che sembra sia stata arredata proprio per alimentare nuove suggestioni e nuovi sogni, manifesti, poster, dipinti, stampe colorate e scritte di ogni tipo, montagne di libri accatastati dovunque l’uno sull’altro da mani sapienti, oggetti d’arte e pezzi d’antiquariato, quadri e ritratti d’autore, la casa che tutti vorremmo poter avere, ricca di immagini e copertine di ogni tipo e di ogni forma, quasi un museo, ma in realtà i Gangemi alla fine hanno costruito nel cuore di Via Giulia il loro piccolo-grande museo privato, con in bella mostra i mille volumi stampati in tutte le lingue del mondo, ora anche in cinese. Parterre delle grandi occasioni questa sera per la Gangemi Dinasty: in prima fila, uno dei padri storici dell’Università LUISS di Roma, è Roberto Pessi, storico Preside della Facoltà di Giurisprudenza ma soprattutto giurista raffinatissimo e caposcuola di una schiera di legali che ogni giorno lasciano il segno della propria presenza nei tribunali di tutta Italia, e accanto a lui c’è Enzo Moavero Milanesi Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale nel primo Governo Conte, anche lui giurista di grande spessore internazionale e già Ministro del Paese nei Governi Letta e Monti. Non tutto qui accade per caso. Si intuisce perfettamente bene che anche i relatori di questa sorta di iniziazione di Francesco Maria Spanò come scrittore e saggista sia stata studiata attentamente e nei minimi dettagli. Il primo ad intervenire è il Presidente della Corte dei conti Angelo Buscema, che pur essendo romano di nascita ha ancora fortissime radici con la terra dei suoi genitori, da Scicli a Donnalucata. Cosa volete che vi dica un uomo cresciuto come lui a pane siciliano acqua e diritto? “Che il libro di Francesco è davvero un bellissimo libro”. Ma lo stesso lo dice, e con maggiore enfasi, essendo invece lui calabrese di razza e di nascita, il filosofo Lorenzo Infantino, Professore di Filosofia di scienze sociali alla Luiss e figlio della piana di Gioia Tauro, innamorato dello Zomaro, montagna bellissima ma raccontata in maniera spesso tremenda dai cronisti che per anni in Aspromonte hanno seguito i sequestri di persona: “Mancava dal mio paese da trent’anni, poi qualche anno fa decisi di tornarci, ma era come camminare a piedi scalzi su una strada piena di cocci di vetro”. E non solo: “La lontananza tra noi emigrati e la terra di origine non sempre è così romantica come la racconta Francesco Spanò. Il più delle volte – confessa candidamente il filosofo- la “frattura” tra chi parte e chi resta, o tra chi parte e poi decide di tornare e ripartire, è una frattura insanabile, eterna, impossibile da curare e da saldare”. Quanto è vero tutto questo! È come se, ad un certo punto, il grande filosofo tentasse, o sperasse di spezzare questa nuvola di romanticismo che si respira qui in sala, ma non ci riesce, e forse lui è il primo ad esserne consapevole, ma l’emigrazione da qualunque parte la si legga o la si guardi riserva sempre alla fine ad ognuno di noi un pozzo di dolcissima malinconia a cui abbeverarsi e in cui immergersi. “Gerace Città Magno-greca delle Cento Chiese, Storie e immagini rivissute”, 192 pagine, un diario e un album fotografico insieme, un saggio stupendo dedicato alla propria terra di origine, in questo caso è Gerace ma potrebbe anche essere un qualunque altro paese del Sud d’italia, scritto a quattro mani -diciamo così- da Francesco Maria Spanò insieme ai suoi amici più cari, i compagni di un tempo, sono quelli che di solito ti fanno da spalla nella vita, e a cui vanno gli applausi intensi e ripetuti di questa magica serata tutta romana. Sono -lo ricordiamo- Lorenzo Infantino, Fulvio Giardina, Enzo Romeo, Maria Giuseppina Cimino, Antonio Pio Condò, Alessandro Scaglione, Carlo Migliaccio, Vincenzo Cataldo, Giacomo Maria Oliva, Suor Dila Shtjefni, Luigi Condemi di Fragastò, Marilisa Morrone. Come dire? La Gerace dei mille volti, la Gerace dei mille sorrisi, la Gerace dei mille lutti, la Gerace delle Cento Chiese…,la Gerace di Francesco Maria Spanò. (B.N.)