Elezioni Amministrative, un paese disordinato da rifondare
La lezione di Catanzaro e Verona. 
di Mimmo Nunnari
Venerdì 08 Luglio 2022
Roma - 08 lug 2022 (Prima Pagina News)
La lezione di Catanzaro e Verona. 

I risultati elettorali di domenica scorsa, ci consentono di riprendere il tema del “Civismo”, su cui ci siamo già ampiamente soffermati in scritti precedenti, indicandolo come l’elemento determinante per cambiare (rinnovare) la politica, nell’Italia nazione dalla democrazia fragile, resa più debole ancora con la fine della Prima Repubblica e l’inizio di un periodo di fibrillazione lunga, non ancora terminato.

Allora, quando con Tangentopoli il sistema crollò, accadde un capovolgimento di fronte. Chi era stato vinto dalla storia, la sinistra di matrice comunista e statalista, si trasformò incredibilmente in portabandiera di un liberalismo selvaggio e di un conseguente capitalismo finanziario, perdendo per strada la classe operaia e quella parte del mondo rurale che, elettoralmente, non stava con la Democrazia Cristiana.

Dopo trent’anni il quadro politico che ci troviamo davanti è ancora democratico, sì, ma con, a volte, inquietanti tinteggiature sudamericane, nel senso che abbiamo un Paese in disordine, che ci pone inquietanti interrogativi, con la politica che è diventata una centrifuga che frulla tutto: idee, ideologie, appartenenze, meriti, mediocrità, clientele, producendo un pasticcio indigeribile.

Quando il sistema politico è stato spazzato via da Mani Pulite i partiti sono stati fatti naufragare, anche col molto del buono che avevano nella loro storia, Il risultato è stato una separazione netta tra paese reale e classe politica e quando, in questo clima di perenne confusione, si è stati con l’acqua alla gola, ed e’ spuntato il pericolo di scivolare verso il precipizio, sono stati chiamati  a governare  “esterni”, tecnici.

E’ accaduto con Ciampi, Dini, Monti e adesso con Draghi, l’attuale inquilino di Palazzo Chigi, il cui ruolo principale è scongiurare il disastro all’Italia e fare le riforme mai fatte.  Un Paese così, colpito da una decadenza che sembra irreversibile, andrebbe “rifondato”, rifatto, dalle Alpi a Capo Spartivento, dalla cima alla punta estrema dello Stivale. Non esiste che l’eccezione (il tecnico) diventi una regola, così come l’emergenza diventi una costante.

Bisogna cambiare.  Il come dipende dagli elettori, se solo cambiassero la legge elettorale che consente di “nominare”, più che eleggere, i parlamentari. Quello che dev’essere chiaro è che in una democrazia rappresentativa i voti bisogna chiederli e ottenerli, con un consenso che valuti la qualità del candidato. Per ora gli elettori sono prigionieri di una politica dominata da tribù eredi dei vecchi partiti. Gente che scherza col fuoco, pur di restare aggrappata al potere, e non ci sono distinzioni da fare tra destra e sinistra. E’ tutta gente che crede nello stellone italico e ritiene che l’Italia sia nazione inaffondabile, e che quindi è sufficiente tirare a campare, chiamando ogni tanto un tecnico a Palazzo Chigi, senza rendersi conto che le storture, le ingiustizie, le zone d’ombra, la corruzione, non sono oltre tollerabili. E’ gente lontana da quel pensiero profondo di Alcide De Gasperi: “Un politico pensa alla prossima elezione lo statista alla prossima elezione”.

 Certo, con le nostalgie non si cambia, tuttalpiù ci si consola. Servono segni nuovi, serve intercettare una nuova umanità, un personale politico che non appartenga alle tribù. Questa rifondazione sarà possibile solo se agli elettori verrà data la possibilità di scegliere: uomini, programmi, progetti e perché no, anche sogni.

Cosa che sta accadendo con le elezioni amministrative dove si sceglie il candidato e ci si assume la responsabilità di sostenerlo. E’ quanto è accaduto anche con l’ultimo turno elettorale amministrativo, con l’elezione di sindaci outsider, come Nicola Fiorita a Catanzaro e Damiano Tommasi a Verona. E con altri risultati sorprendenti a Piacenza e Parma, con sindaci accreditati al centrosinistra, o, come a Genova, al centrodestra. Ma è dalle città di Giulietta e San Vitaliano che arriva la lezione più forte: gli elettori hanno avuto la possibilità di non guardare alle ideologie e alle appartenenze, scegliendo la qualità della persona, i loro curriculum, il loro senso di comunità. Mentre tutto ciò accadeva e si rafforzava l’idea che col “civismo” e la rete dei sindaci sarà possibile girar pagina, le forze politiche tradizionali, i loro leader, proseguivano, e proseguono, nel teatrino tradizionale del chi ha vinto e a chi ha perso e delle contrapposizioni tra loro che ricordano il Tecoppa, che si innervosiva quando non riusciva a infilzare l’avversario e sbraitava: “Come faccio a infilzarti, se ti muovi?”. Tacciamo, per carità, sui nomi dei leader per mancanza di leadership e fotografiamo la situazione: il centrodestra è a pezzi, il centrosinistra recita la parte del vincitore (pur sapendo che è una bugia) e il centro brancola nel buio.

La comunità Italia avrà un futuro, dunque, solo se saprà ripensarsi, se sarà in grado di eleggere una classe dirigente che guardi alla politica come strumento per scrivere il futuro, e non come mezzo per fortune personali, nonostante le spaventose inadeguatezze. I segnali ci sono, la rete dei sindaci forse nascerà, col sostegno di un civismo capace di rilanciare cultura e democrazia nel sistema politico italiano. Non si può più fuggire, davanti alle sfide che ci attendono. Per questo il “miracolo” di Catanzaro e Verona è di buon auspicio. Virtutes discere vita dediscere est scriveva Seneca a Lucillo. Per imparare le virtù disimpariamo i vizi.


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