Elezioni, contro tutti ma “Io voterò per Matteo Renzi”

Dopo molti anni di un’Italia politica, giudicata, fuori dai nostri confini, inaffidabile e incapace di scelte coraggiose, coerenti e serie, il governo Draghi era riuscito a  invertire questa pessima reputazione, conquistando prestigio e rispetto.  C’è, adesso, e nel prossimo futuro, il rischio di perdere tutto.

di Raffaele Malito
Sabato 06 Agosto 2022
Roma - 06 ago 2022 (Prima Pagina News)

Dopo molti anni di un’Italia politica, giudicata, fuori dai nostri confini, inaffidabile e incapace di scelte coraggiose, coerenti e serie, il governo Draghi era riuscito a  invertire questa pessima reputazione, conquistando prestigio e rispetto.  C’è, adesso, e nel prossimo futuro, il rischio di perdere tutto.

La campagna elettorale- se ci agganciamo alle battute che Berlusconi, come nel ’94, lancia, senza ritegno, nelle esibizioni dello  studio di casa, o alle sguaiate reazioni di Salvini, a Lampedusa, o alle contorsioni di improvvisi sensi di responsabilità, dopo le sbornie spagnole di Vox, di Meloni, la  prossima campagna elettorale sarà orrenda e ci farà piombare all’indietro facendo precipitare l’Italia in un passato, tutto negativo, che ci siamo illusi di aver lasciato alle nostre spalle. Stanno riemergendo tutti i vizi, la pochezza di idee e di progetti, l’ improvvisazione, l’incompetenza,  l’incoerenza, le furbizie di un personale politico che, salve poche eccezioni, non è degno di essere definito né classe politica, né dirigente.

I prodromi di quello che di qui a poco accadrà, sono tutti presenti nel caravanserraglio della costruzione delle alleanze di cui sta dando prova, più del centro-destra, il fronte del centro-sinistra e, in particolare, il PD che si è caricato a  giusta  o cattiva ragione, il peso di raccogliere tutte le formazioni che si oppongono al rischio di Meloni premier. Dopo aver perso per strada e, per grave colpa, il presunto punto di riferimento del progressismo, Giuseppe Conte, inseguito e teorizzato dal “tailandese” Bettini, il segretario del Pd, Letta, ha avuto il colpo di genio di stilare un accordo politico e di programma, chiaro,  con una netta scelta di campo e ponendo, come faro, la straordinaria esperienza di governo di Draghi, con Azione e +Europa di Calenda e Bonino.

E’ stato salutato come un fatto di grande significato politico e, soprattutto,  come prima condizione per la scrittura di un’agenda democratica, europeista, atlantista, capace di conciliare lavoro e impresa, che è un tutt’uno con la ricerca di una vocazione non minoritaria, appaltata,cioè, alle alleanze di turno come surrogato di una propria identità, da proporre, vivaddio, con un pò di orgoglio.

Ma nel bel mezzo di questo  grande progetto entra la triste vicenda di trovare uno spazio alla Sinistra di Fratoianni e ai verdi di Bonelli: e Letta rispose, sta rispondendo aprendo le porte al dialogo. Su che cosa?

Fratoianni ha votato 55 volte contro Draghi, entrambi hanno votato contro l’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, contro l’invio di armi all’Ucraina, contro il rigassificatore di Piombino e il termovalorizzatore di Roma, hanno votato per la chiusura dell’Ilva. E, a  scanso di equivoci, Fratoianni ha aggiunto  che “ l’idea che l’alleanza veda al centro l’agenda Draghi, è per noi impraticabile.” Esattamente il contrario di quanto detto da Calenda e di quanto è recepito nel patto con Letta.

Non è tutto: è sorto il problema  di trovare un posticino per il convertito alla democrazia dei partiti, Di Maio. E Letta ascolta e apre alla trattativa. Non ha fatto altrettanto, con la stessa risolutezza, con un altro grande personaggio della politica italiana: Matteo Renzi. In realtà, Letta ha fatto finta di dirsi aperto al confronto. Emma Bonino è andata oltre: se c’è lui, non ci sono io. Qualcuno ha scritto che la dirigente radicale non ha dimenticato di essere stata ignorata quando è stato indicato il nome del ministro degli Esteri del suo governo.

Perché questo ostracismo, a volte sottile, altre volte diretto?  

E’una domanda su cui si è soffermato con una sofferta e lucida analisi  Giampiero Mughini, un intellettuale, un giornalista, fuori dal coro che non ha mai temuto di dire cose scomode ai più, un reduce combattivo dell’esperienza cruciale del ’68, e partecipe, negli anni ’70,  con interventi sulla rivista teorica del PSI, Mondoperaio, della costruzione dell’area politico- culturale del riformismo italiano.

Il suo nome, scrive Mughini su Huffington Post, non rientra  in alcuna intesa pre-elettorale: è sgraditissimo a mezzo mondo soprattutto agli elettori del Pd che pure accettano Calenda che di Renzi è un cugino di primo grado. Uno - scrive Mughini- che abbia al suo attivo la terza elementare lo vede a distanza che Renzi se ne mangia dieci degli attuali politici. Il discorso- scrive Mughini- pronunziato al Senato poco prima che Draghi venisse decapitato è stato risonante. E, del resto, aggiunge Mughini, è stato lui, tutto solo, che ha portato Draghi a capo del governo nel bel mezzo della tregenda.

E, ancora la domanda: perché Renzi è talmente odiato, forse il più odiato di tutti, era già successo a Bettino Craxi e di cui sono in molti a fare ammenda? Il referendum che aboliva antichi privilegi di conservazione del potere, che abrogava il Senato, certo, non gli ha procurato simpatie. E,poi il viaggio in Arabia Saudita, il colloquio con l’erede designato al trono, accusato dell’assassinio del giornalista Xhashoggi. Mughini  aggiunge che non c’è stato scandalo quando a visitare il principe saudita è andato Emmanuel Macron. Chi fa politica- spiega Mughini- non ha a che fare con poeti e apostoli.

E, allora, il tormentone: perché tanta acredine nei confronti  di Renzi ? Che cosa è che lo rende infetto a  tanti di quelli che lo circondano, a cominciare dagli aderenti al partito cui lui aveva fatto toccare il 40% dei consensi elettorali? Gli interrogativi, è chiaro, sono rimasti senza risposte. Ma la conclusione di Mughini è netta e senza dubbi: in politica una cosa sono i numeri e tutt’altra cosa le identità politiche; alle prossime elezioni voterò Renzi, ove si presentasse da solo e gli fosse preclusa qualsiasi altra intesa. Sarebbe solo una testimonianza, un voto di verità. Quella che appartiene a ciascuno di noi. Anche a chi scrive questa nota.


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