Nelle classifiche editoriali che dettano categorie, successi e best seller, bisognerebbe inserire una nuova library: la saggistica “fulminata”. Con un riferimento allusivo ai circuiti elettrici di una povera semplice lampadina. La quale, è noto, si folgora nel momento in cui c’è un sovraccarico di tensione, passa troppa energia nei delicati filamenti della sua serpentina di tungsteno, e zot!, tutto si spegne, si va a nero.
In campo squisitamente letterario potremmo dire che si passa dal fiat lux al fiat dux, perché testi che mettono troppa carne a cuocere, si contraddicono, si avvitano su se stessi e millantano competenze enciclopediche inesistenti o poco provabili a monte, o che ostentano metodologie troppo diversificate e di difficile tenuta interna, alla fine risultano sacerdotali, fonti “sacre” di sapere per autoconvincimento commerciale e personale, in pratica narcisistici e sgamati al lettore più avvertito.
Sicuramente vi inserirei gli ultimi libri di Daniele Capezzone, Likecrazia (Piemme, pagg. 200, euro 16,50) e di Gianrico Carofiglio, Della gentilezza e del coraggio (Feltrinelli, pagg. 119, euro 14). Ma andiamo con ordine. Cosa sia l’ultima “fatica” dell’ex segretario dei Radicali, davvero non si capisce. Un trattatello di etica spiccia?
Un manualetto motivazionale per aspiranti star della tv, che omaggia di suggerimenti tecnici su come tenere botta al conduttore di turno o ai compagni di poltrona che graffiano per un frame di visibilità in più? Un bignami della annosa storia su chi è più bravo e buono fra quelli di Destra e quelli di Sinistra? Al netto dei peana a Porro – che invita sempre Capezzone nel suo programma - e delle citazioni dai quotidiani come La Verità – dove Capezzone scrive; al netto di un imbarazzante filotrumpismo – per fortuna scaraventato nel fango dall’esito del voto delle ultime ore – e di uno stile, occorre dirlo come unica virtù dell’opera, brillante levigato e di piacevole lettura, ecco, al netto di tutto ciò, Capezzone parte bene e poi si impiglia nelle sue stesse trame.
- Pensiero breve e sentimentale Quale sarebbe il gradino scheggiato? La trave che gli precipita in testa? Il terreno sdrucciolevole su cui frana? L’endiadi “emozione e istantaneità” che, giustamente, viene associata alla patologia del sistema informativo attuale, nazionale e non solo, bruciato da quello che definisce “autocombustione superveloce” di immagini, contenuti, forme di propaganda, curve di oscillazione del consenso popolare.
Tutto oggi si compie, dall’alto e dal basso, in nome di quella pick and mix political age – per citare il suo Allister Heath – che porta a confusione, compulsione, compressione dei tempi, comprensione scadente e scivolosa delle conflittualità sociali. Su questo Capezzone si diletta amabilmente, e però dilegua la ragionevolezza della sua exit.
Perché questo alto voltaggio della politica e della comunicazione collettiva, che trasuda solo emergentismi e occasionalismi, non dirimibili e non convogliabili nelle sacche sane del vivere democratico, e che sta avendo la sua più becera manifestazione nella gestione del Covid da parte dell’attuale governo, l’autore lo attribuisce a un male storico dei leader della Sinistra, karaokizzati come parrucconi, demonizzatori del nemico, radical-chic sonnolenti e vanesi.
E ci può pure stare. Ma l’emozione buttata giù dal balcone come armamentario manipolatorio del Cattivo Infinito del linguaggio di massa, rientra più potente che pria dal portone di casa.
- L’Uomo Qualunque…in stivaloniPer Capezzone bisogna riavvicinarsi alla common people, all’Uomo Qualunque, al cittadino simplex pieno di caro “buon senso” e sentimenti sinceri, a quell’unlettered man (leggasi Buon Selvaggio del terzo millennio, webete e disincantato) che l’autore cita da Burke, con un salto di un paio di secoli, quando essere “populista” però significava capitanare movimenti di liberazione reali contro la protervia dei dominatori, essere regicidi in pectore, non certo seguire Salvini, Grillo o credere in una nuova Intelligenza Proletaria costruita intorno all’immaginario bacato di Uomini e Donne.
Dunque, per Capezzone, va tutto male se le effervescenze sociali le cavalcano quegli spocchiosi boriosi dei vecchi baroni del Pd – e come dargli torto; ma per lui la soluzione non è una bella iniezione di cultura, istruzione e formazione spirituale che ridia tono e ossigeno a tutta per intero la vita pubblica di un paese, e no, bensì difendere quell’arte del taccheggio/cazzeggio reciproco, della partigianeria e dei duelli perenni che porta, per esempio, a insediare un plutocrate alla Casa Bianca come The Donald che fa rappresaglia contro chiunque non gli stenda il tappeto rosso.
Altra panacea? L’arrabbiatura post-catodica che al bar dello sport sotto casa offre argomenti di conversazione a tutti, basta commentare – come chiosa Capezzone sin dalle prime pagine - la vedette della sera prima vista in tv, se aveva dei tic, se ha subìto ingiustizie, se l’ha sfangata bene o male in presa diretta. Queste dinamiche sarebbero garanti di un processo di reidentificazione di quella che un tempo si chiamava “base” e di un maggiore rispetto nei suoi riguardi.
Ecco dunque al teatrino dei pupazzi della Politica, sostituire il tetris dell’incoscienza e dell’infezione mediatica eletto a Nomos di una plebe tele-agoratica e tele-adorante che custodisce non si capisce quale sapienza infusa, vista l’incultura social-realitistica dilagante, che ribolle di fosforescenze da schermo, ma che non riesce a praticare vere rivolte, che non coltiva un vero sentimento tragico dell’esistenza.
E come potrebbe, avendo come maestri Conte e la De Filippi, la salute pubblica e la disintimizzazione come merce? Sembra che echeggi l’Hitler di quelle poche paginette di Mein Kampf che sono l’abbecedario del neuro-marketing odierno, quando dice: “Tutta la propaganda dovrebbe essere popolare e dovrebbe adattare il suo livello intellettuale alla capacità recettiva del meno intellettuale delle persone a cui si desidera rivolgersi…
Se l’obiettivo è quello di radunare un’intera nazione nel suo cerchio di influenza, l’attenzione per cercare di evitare un livello intellettuale troppo elevato non è mai sufficiente”. Ma gli stivaloni neri del Fuhrer schioccano a insaputa di Capezzone…
- La Tuttologia cortese… Togli Capezzone, metti Carofiglio e la musica non cambia.
Togli l’emozione e carica la “gentilezza” come mantra salvifico-protettivo. L’ex magistrato pugliese è ormai il Tuttankhamon (con la doppia t della Tuttologia) delle folle: osannato da platee, vendutissimo, richiesto di un parere su tutto, pervaso da un furore pedagogico che lo ha immerso negli ultimi anni nelle acque bullicanti di una multidisciplinarietà arruffata e azzimata: linguistica, filosofia, antropologia, epistemologia, Oriente, storiografia, filologia, psicanalisi (alquanto risibili e banali le poche righe dedicate al tema “narcisismo”), spesso un po' troppo di tutto. Con un andamento un po' languido e talvolta sciatto tipico di chi crede di aver raggiunto una certa vetta teoretica, ma prendendo in prestito troppo da altri, e perdendo una propria linea di originalità, tutto ruota in questo libro attorno ad un perno che potrei definire post-habermasiano. Carofiglio ci guida come un Virgilio del Logos moderno nella fitta boscaglia di penurie trappole e fallacie del giornalismo e del talking pubblico, e tutto risolve con una severa parametrazione di tipo discorsivo, con una griglia di regole conversazionali e di escogitazioni anti-truffa verbale. Tecniche narrative e dialogiche, seguite le quali, la Parola dovrebbe tornare a splendere radiosa, rassicurante, rammemorante.
L’insieme sa, invece, di una algida strumentistica che elide ogni riflesso reale della condizione umana, soprattutto quando la “gentilezza” viene certificata come un modo “per affrontare e gestire il conflitto”, una sorta di negoziazione con onore, e le mutue azioni dotate di senso si ritengono congrue solo alla messa fra parentesi del proprio ego.
Nessuna reliance di tipo esistenziale, nessuno sguardo alla Levinas, nessun “tu sei quello!” nella comprensione duale del ribelle di Junger: tutto è protocollo e raffinazione pratica, e la barbarie della fretta e della stupidità sembra potersi dissolvere con la vividezza cartesiana di una razionalità sancita.
Il grande Walter Siti (sul Domani del 18 ottobre scorso) evidenziava in un pezzo parimenti critico la sua “elegante postura antitragica” ai limiti del sopportabile, come se un lezioso trascendentalismo del dire potesse colmare (e far rinunciare a) la disperazione della nostra fragilità di soggetti pensanti e operanti nell’eterna frattura dell’equivoco.
Ecco, Capezzone e Carofiglio si candidano come traghettatori verso un mondo iridato di magnifiche sorti e progressive, basta solo consultare le giuste istruzioni per irradiare i cuori e lucidare menti e bocche.
Troppi watt. Il bulbo scoppia. Buio in sala. Il film è finito. Che le star appendano le maschere.
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