Buonissimo, un ristorante italiano presto diventato un’isola felice a Bangkok

Intervista ad Adolfo Faccin, fondatore e proprietario di Buonissimo, un ristorante italiano a Bangkok che si è fatto spazio nella ristorazione nel rispetto della tradizione italiana e mantenendo uno spirito di coesione familiare.

di Francesco Tortora
Venerdì 07 Luglio 2023
Dal nostro corrispondente a Bangkok - 07 lug 2023 (Prima Pagina News)

Intervista ad Adolfo Faccin, fondatore e proprietario di Buonissimo, un ristorante italiano a Bangkok che si è fatto spazio nella ristorazione nel rispetto della tradizione italiana e mantenendo uno spirito di coesione familiare.

Adolfo Faccin, originario di Gambellara (Vicenza) lo vedi subito che è un uomo pragmatico, di grande esperienza di vita e che ha accumulato una certa saggezza nelle cose del mondo. Corpulento e con uno sguardo che ti punta chiaro e diretto, sai che hai davanti una persona affidabile, conscia dei propri mezzi e che non dimentica da dove viene. Soprattutto, sa bene dove vuole arrivare. 

Oggi è fondatore e titolare di Buonissimo, un ristorante di cucina puramente italiana a Bangkok, la Capitale thailandese. 

 

Ma come sei capitato qui a Bangkok, aprendo un ristorante di cucina italiana sapendo che c’è già così tanta concorrenza in questo settore? 

 

Dobbiamo andare indietro parecchio nel Tempo perché si possa poi arrivare alla mia più recente esperienza di lavoro ed esistenziale in Thailandia. Io sono nato a Dar Es Salaam, da un papà emigrato italiano e da una mamma mezza africana e mezza napoletana. A 4 e 6 anni, uno dopo l’altro. Ho perso i genitori. Tornato così, in Italia, sono stato allevato dai nonni. Ho raggiunto poi, la qualifica di perito meccanico presso l’Istituto Rossi di Vicenza, al secondo anno di frequentazione, specializzandomi in saldatura iperbarica, sono risultato secondo-terzo in un concorso, su più di cento candidati. A 18 anni sono stato esentato dalla leva militare, poiché mio fratello era già nel suo servizio di leva ed io e mia sorella eravamo gli unici in famiglia, dove io sono stato ritenuto “capo famiglia”. E quindi, congedato. Trovai lavoro su di una piattaforma petrolifera dell’ENI, in un team di lavoro dove ero il più giovane anche di 30 anni, rispetto ai colleghi che lì vi lavoravano, si trattava di un lavoro duro e fatto di tanta solitudine, con ben poco da fare che non fosse la specifica operatività lavorativa, quindi, girava parecchi alcool, ci si ubriacava nel tempo libero, i ritmi erano infatti, due settimane di lavoro, due settimane di riposo. Proprio durante il mio lavoro sulle piattaforme, conobbi l’unico altro giovane collega, col quale ovviamente trovammo intesa abbastanza facilmente, dato che gli altri colleghi erano tutti più avanti in età. Diventammo amici ma soprattutto oltre che confidarsi, era anche il mio sostegno e mi propose un lavoro, sempre su piattaforma, nai Mari del Nord Europa, con uno stipendio pari al doppio di quello che percepivo in quel momento. Decisi di seguirlo. Arrivato, però, nei pressi della piattaforma, decisi di non scendere dall’elicottero: il Mare del Nord è spaventoso. Non ero preparato a dovermi confrontare con una tale differenza rispetto ai mari del Mediterraneo. Visto il mio rifiuto, la società decise di rimandarmi a casa. Dopo qualche mese, l’Impresit mi assunse come saldatore e mi collocò a lavoro a Zanzibar, con un contratto di lavoro di tre anni. Praticamente ero ritornato in Tanzania, in Africa, lì dove ero nato. In quel frangente incontro mio fratello, il quale mi prospettò la possibilità -attraverso l’azienda per la quale lavorava- di passare ad una posizione più alta e meglio retribuita al confine tra Tanzania e Uganda nel campo della movimentazione macchinari. Durante un periodo di vacanza di 15 giorni, uno dei periodi di vacanza nell’arco dei tre anni nei quali ho lavorato per quella azienda, mentre ero sul divano, mia sorella mi propone un incontro con il suo titolare. 

Si trattava del settore commerciale della conceria di pelli. Nonostante i miei dubbi su quale interesse potesse avere un imprenditore che operasse in un settore così diverso dal mio, decisi di andare a quel pranzo di lavoro. Quell’imprenditore, visto che io parlo correntemente italiano, Swaili, Inglese mi propose di lavorare per lui. Io gli dissi: “Ma lei sa quanto mi pagano oggi? Sei mila dollari!”. E lui mi rispose: “Io te ne do 7.000, se accetti di lavorare per me”. Io accettai e dopo due anni di addestramento mi prospettò di lavorare in Thailandia. 

 

Un vero e proprio romanzo, fatto di lavoro, speranze e opportunità. La Thailandia, quindi, è stata la opportunità migliore che hai scelto, dato che dopo tre decenni sei ancora qui, vero? 

 

Quell’imprenditore, trovò una particolare idea di successo. In Thailandia c’è un particolare prodotto, risultante dalla lavorazione nella conceria delle pelli che qui consideravano uno scarto, mentre in Italia era considerato un fattore importante nello stesso settore commerciale. Quindi, riuscì ad ottenere di pagare a costi molto bassi, un prodotto del quale c’era grande richiesta in Italia e così lucrò molto proprio basandosi su questa differente valutazione data allo stesso prodotto tra Italia e Thailandia. 

Fui quindi spedito in Thailandia ma la sede produttiva era a Chiang Mai, una città della quale non conoscevo nemmeno la posizione. In modo abbastanza casuale, ci arrivai in taxi e viaggiai molto, in quel periodo tra Italia e Thailandia, quel ramo commerciale prese piede abbastanza rapidamente e si rivelò di particolare successo. 

 

La Thailandia che trovasti in quel tempo è molto cambiata, nel Tempo, fino ad oggi? 

 

Al mio arrivo, mi trovai davanti ad una realtà culturale diversa, ad un clima differente, una esperienza molto diversa da quella da me maturata in Africa, in Italia. Quattro anni fa ho anche provato a ritornare in Italia ma non è stato possibile. Oggi ho 4 figli, una lunga esperienza di vita in giro per il mondo ed oggi ho investito tutto qui in Thailandia, in pianta stabile. L’Italia, un po’ come tutta l’Europa, in verità, è arrogante, ha una mentalità chiusa. Non si riesce a comprendere quanto tutto qui in Asia sia tutto più veloce, si evolva più in fretta. L’Italia e l’Europa sono ferme, vivono sulla rendita di posizione, potremmo dire. Qui, invece, c’è una mentalità -soprattutto in campo economico, finanziario ed imprenditoriale- improntata alla speculazione. Si compra un determinato oggetto, prodotto, terreno, che oggi vale molto poco ma già si immagina che -nel futuro- possa evolvere e raggiungere un più alto valore. Magari si compra un qualcosa abbandonato in mezzo ad una campagna ed un giorno lontano, vicino gli costruiscono strade, sopraelevate, vie di comunicazione e infrastrutture e così quello stesso appezzamento o un rudere che, al momento del suo acquisto, valeva poco o niente, raggiunge un valore tale da decidere di venderlo, re-investire o trasformarlo in attività di nuovo reddito o capitalizzazione. Ecco, questo è uno dei tratti dominanti della Thailandia moderna e contemporanea. In Italia c’è la presunzione abbastanza volatile rispetto alla ben più scarsa pragmaticità delle cose, il lavoro è un fattore persino incorporato nella Costituzione, “il lavoro nobilita l’uomo” ma -in realtà- la situazione del mondo del lavoro in Italia è scarsamente rispettosa dei dettami costituzionali, come purtroppo sappiamo, il mondo del lavoro è triste, asfittico e con diritti che sono stati a lungo erosi nel tempo. Accade così anche nel resto d’Europa, chiariamoci: basti vedere quel che sta accadendo in Francia, dove si scende in strada, anche con proteste violente, proprio in difesa dei diritti, in special modo nel settore del lavoro. 

 

E veniamo ora, alla tua esperienza attuale di Buonissimo, qual è la filosofia che sorregge il tuo ristorante? 

 

Qui da noi al Buonissimo, seguiamo una line di condotta vicina allo spirito della cucina casareccia. Qui con me lavorano mia figlia, mia cognata, mia suocera. Io sono chef, sebbene in cucina ci sia lo chef qualificato per farlo ma soprattutto mi interesso di gestire e delegare. Anche i vini rappresentano praticamente tutto l’arco dell’offerta vinicola italiana, dal Nord al Sud e persino alle Isole. Tutta la regionalità dei vini qui da Buonissimo ha ampia risposta. Si constata in Thailandia una particolare preferenza per i rossi, quelli caratterizzati da gusti corposi, sebbene ultimamente stiano sempre più prendendo piede le bollicine e sta diventando sempre più popolare il Prosecco. Per quanto riguarda, infine, il rispetto delle ricette originarie e dei sapori tipici italiani, adotto anch’io l’esempio della carbonara. Qui da me la panna non viene usata nella preparazione della carbonara. Un mio chef mi spiegò che usa la panna per dare cremosità alla pietanza e per evitare che l’uovo -surriscaldandosi troppo- nella cottura prolungata si trasformi in frittata. Io, allora, gli consigliai di passare spaghetti e uovo in una padella fredda, allungando così, il tempo della mantecatura ed evitando di trasformare l’uovo in frittata. Insomma, nella preparazione della Carbonara, a mio parere, la questione principale è la gestione delle temperature e la tempistica. 

Il periodo del lockdown ha risposto alla mia progettazione, quando ho aperto questo ristorante: dopo le mie esperienze in terra d’Africa con l’Ebola, avevo intuito il rischio che il Covid potesse diventare presto pandemia con conseguente lockdown, come avevo visto appunto, fare in Africa. Allora, subito mi è parsa una buona idea imprenditoriale pensare a Buonissimo in chiave di delivering, ebbene tutto ciò non solo ha avuto successo nei tempi del lockdown ma anche oggi, è il settore che porge una buona redditività al mio lavoro. 

Buonissimo per me è un’isola felice, la risposta alle mie ansie circa il futuro, in questo tempo dell’attesa nella costruzione del mio pensionamento, oggi Buonissimo mi dà una cosa che è assolutamente impagabile altrove o in altri modi: la serenità. E credetemi, non si tratta di una cosa da poco. L’ho imparato negli anni e dopo tanta esperienza acquisita in giro per il mondo. 

 

 

Buonissimo Italian Restaurant, 29/8 Sridan 6 Alley Bang Kaeo Phil District Samut Prakan Tel.: 02 004 4741


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