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Si è spento oggi a Roma, al Policlinico Gemelli, Franco Calabrò: una vita intera passata tra redazioni, agenzie, titoli battuti in fretta e responsabilità tenute con misura.
Si è spento oggi a Roma, al Policlinico Gemelli, Franco Calabrò: una vita intera passata tra redazioni, agenzie, titoli battuti in fretta e responsabilità tenute con misura.
Ci sono colleghi che lasciano in eredità una firma, e altri che lasciano un modo di stare in redazione: Franco Calabrò apparteneva alla seconda categoria. La notizia della sua scomparsa, avvenuta oggi al Policlinico Gemelli di Roma, porta con sé quel tipo di silenzio che nelle redazioni si riconosce subito: non fa rumore, ma cambia l'aria.
Calabrò era uno di quei giornalisti che non trasformavano il mestiere in una posa. Per chi lo ha incrociato anche solo una volta, restava impressa la cura: la frase aggiustata senza umiliare nessuno, il consiglio dato sottovoce, il rispetto per il lettore prima ancora che per la “notizia”. La sua lunga esperienza, costruita tra quotidiani e agenzie, racconta un'idea molto concreta di giornalismo: stare sui fatti, arrivarci con pazienza, e poi consegnarli con chiarezza.
Negli anni più recenti, pur con l'energia di chi avrebbe potuto limitarsi a osservare, aveva scelto di continuare a spendersi nel confronto professionale e sindacale, con lo stesso tono pacato con cui si discute una scaletta o si difende una scelta editoriale difficile.
In questo, il suo tratto era riconoscibile: niente proclami, niente protagonismi, ma la convinzione che il lavoro giornalistico non possa reggere senza comunità, tutele e rispetto reciproco.
Oggi, nel ricordarlo, viene naturale pensare che il suo “lasciare” sia coerente con ciò che è stato: un uomo abituato a far parlare le notizie più di sé stesso. Eppure , proprio perché non cercava ribalte, la sua assenza pesa di più: perché nel giornalismo di ogni giorno, quello che non finisce nei premi e non vive di riflettori, figure come Franco Calabrò sono spesso la spina dorsale.
Alla famiglia e a chi gli ha voluto bene resta un dolore pieno e composto; ai colleghi resta un esempio semplice, raro, difficile da replicare: fare bene il proprio lavoro, senza “dare distruttivo”.