Emigrazione, storie di riscatto sociale nella Little Italy di Renato Cantore
Luci del Meridione nell’America degli “indesiderabili”. In “Harlem, Italia” (Rubbettino Editore) Renato Cantore supera sé stesso e ci da dell’emigrazione italiana in America una lettura del tutto nuova e per nulla scontata. Lo scrittore Mimmo Nunnari ha letto per noi il saggio del giornalista lucano.
di Mimmo Nunnari
Martedì 27 Dicembre 2022
Roma - 27 dic 2022 (Prima Pagina News)
Luci del Meridione nell’America degli “indesiderabili”. In “Harlem, Italia” (Rubbettino Editore) Renato Cantore supera sé stesso e ci da dell’emigrazione italiana in America una lettura del tutto nuova e per nulla scontata. Lo scrittore Mimmo Nunnari ha letto per noi il saggio del giornalista lucano.

C’era una volta l’America…dei Wop (acronimo di Whithout Official Papers), come venivano definiti gli immigrati italiani, giunti a New York stipati nelle disumane terze classi di piroscafi che partivano dai porti di Napoli, Palermo e Genova. Wop era un termine dispregiativo nato per assonanza col termine “guappo”: indicava gli emigranti italiani del Sud che, secondo gli americani, erano bulli e prepotenti e familiarizzavano con i neri; “gente miserabile”, da relegare negli ultimi gradini della scala sociale, questo era il concetto. Un cronista del New York Times usò proprio questi termini per descrivere la strana umanità che sbarcava nel porto americano: “Faccia sporca, scansafatiche, ignorante e criminale”.

Erano buoni, però, i Wop, come manodopera fresca e a basso costo, da utilizzare nella grande metropoli, che in quegli anni, sul finire dell’Ottocento, stavano disegnando il loro futuro, con grandi investimenti in opere pubbliche. Non era facile, a quei tempi, integrarsi in America: pregiudizi, nazionalismo e intolleranza, portavano a innalzare barriere contro gli immigrati. Su queste “storie americane” di emigrazione dal Sud esiste una vasta letteratura: scrittori italo americani o italiani hanno scritto romanzi che narrano della umiliante diaspora italiana, tra fine Ottocento e inizio Novecento. Sono storie inserite nel solco dell’emigrazione “forzata” di una generazione di italiani meridionali che ha contribuito all’edificazione di grandi metropoli, come New York, adattandosi a mestieri avvilenti e mal retribuiti.

Una di queste storie di sfruttati e sottopagati che vivevano stipati in case malsane e fatiscenti, lasciati ai margini, cacciati finanche dalla loro chiesa, la racconta lo scrittore e giornalista Renato Cantore in un libro appena pubblicato: “Harlem, Italia” (Rubbettino, pagine 211, euro 18). E’ una narrazione insolita questa di Cantore sulla vicenda dell’emigrazione, perché in parallelo col racconto della vita (di dignità e sofferenza) nella comunità italiana di Harlem si narrano due storie di successo in un ambiente difficile dove per non diventare delinquenti bisognava farsi santi, dove la scuola era la strada e per farsi largo, o farsi rispettare, bisognava entrare in una “banda”. 

Cantore attraverso la storia di Leonardo Covello e Vito Marcantonio, entrambi lucani, racconta della comunità italo americana di Harlem, la più grande di New York, dove gli italiani arrivati dal Sud vivevano in una sorta di comunità immaginata, riproponendo lingue, dialetti, usanze, abitudini e stili di vita dei paesi d’origine.

E’ in quel ghetto di emarginati, guardati con sospetto dagli americani quasi fossero tutti delinquenti, che l’autore rintraccia la straordinaria storia di Leonard Covello e Vito Marcantonio, protagonisti l’uno nel campo della educazione scolastica e universitaria e l’altro della legge e della politica: un maestro Covello e il suo migliore allievo Marcantonio che videro avverarsi il sogno di diventare americani senza vergognarsi delle proprie origini e di veder crescere la loro comunità che - pur mantenendo la propria identità - riuscì ad aprirsi al confronto con altri popoli e altre culture proprio grazie alla guida illuminata dei due talenti,  figli di immigrati lucani: uno proveniva da Avigliano (Covello) e l’altro (Marcantonio) da Picerno.

Nella narrazione che si svolge su un doppio binario - vita nella comunità e biografia dei due - s’intrecciano vicende nazionali americane e s’incrociano personaggi pubblici che ebbero grande rilievo nella vita di New York e dell’America: da Fiorello La Guardia, il sindaco italoamericano più amato nella storia della grande metropoli, a personaggi dello spettacolo, come Frank Sinatra, a scrittori come Giuseppe Prezzolini, a - sullo sfondo - presidenti degli Stati Uniti. 

Len e Marc, così li chiamavano ad Harlem, il professore e il deputato, si sono battuti con coraggio e intelligenza per costruire una comunità fondata sul rispetto reciproco e la collaborazione tra italiani, afro-americani e portoricani, i gruppi etnici più numerosi in un'area cittadina che contava oltre quaranta nazionalità.

Al loro impegno, di leader visionari e illuminati guidati dall’idea che non bisognava soltanto salvarsi da soli ma crescere insieme a tutta la comunità, si deve la creazione di una vasta rete di centri sociali, l'assistenza a migliaia di famiglie di migranti, la realizzazione di grandi progetti, come la costruzione di case popolari e della nuova grande scuola destinata a diventare il vero centro della vita di quartiere di Harlem. 

Covello fu tra i primi figli di migranti il primo laureato alla Columbia University. E’ stato il pioniere dell’insegnamento dell’italiano nelle scuole americane e l’artefice della nascita della Benjamin Franklin High School, prima scuola superiore in un quartiere di migranti. Marcantonio, è stato uno dei più stretti collaboratori di Fiorello La Guardia, e, quando questi diventò sindaco di New York prese il suo posto in Parlamento, eletto con moltissimi voti. Il suo ufficio, aperto a tutte le ore, tutti i giorni dell’anno, era un’autentica agenzia sociale, a disposizione del quartiere. I suoi avversari le provarono tutte, per impedirgli la rielezione, fino a cambiare i confini del collegio elettorale e le regole del gioco. Alla fine, per batterlo, fu necessario costruire una grande coalizione composta da tutti i partiti, democratici, repubblicani e liberali.

Marcantonio muore a 51 anni, colpito da un attacco di cuore, mentre si stava recando in municipio per presentare la sua ennesima candidatura. Qualche anno dopo Covello va in pensione, ma non si ferma, continua ad occuparsi dei nuovi migranti: i portoricani, e realizza a Manhattan un centro di accoglienza per gli anziani. Poi, ormai ultra ottantenne, decide di tornare in Italia, richiamato da Danilo Dolci e dalla sua utopia sociale per la lotta alla mafia e il riscatto della Sicilia. Morì, a Messina, dove aveva preso casa, a novantacinque anni. Poco tempo prima aveva scritto più che un testamento il suo manifesto per la libertà: “Mi cercherò un altro pianeta dove non ci siano guerre, corse agli armamenti, lotte per l’egemonia industriale. In una parola, un mondo senza barriere”.


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