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Nel mirino perché “di destra”, ma il servizio pubblico merita competenza, non pregiudizi ideologici.
Nel mirino perché “di destra”, ma il servizio pubblico merita competenza, non pregiudizi ideologici.
Negli ultimi mesi, il direttore di Rai Sport, Paolo Petrecca, è stato costantemente bersaglio di critiche, attacchi, comunicati e prese di posizione interne, molte delle quali dal chiaro sapore politico. Sotto accusa non ci sono scelte editoriali discutibili, né veri e propri errori gestionali. Il peccato originale, sembra, è solo uno: essere stato nominato da un governo di centrodestra.
In un contesto mediatico che dovrebbe promuovere pluralismo e libertà di espressione, è paradossale assistere a una delegittimazione sistematica prima ancora che si possano vedere i risultati del suo operato. Ma davvero la direzione di una testata deve dipendere dal colore politico del governo o dalle simpatie delle redazioni interne?
Rai Sport, è bene ricordarlo, non è una macchina facile da guidare. Si tratta di una redazione storica, con professionalità di grande valore ma anche con dinamiche stratificate e spesso resistenti al cambiamento. Petrecca ha ereditato una struttura che necessita di riforme, rilanci e nuove visioni editoriali per poter competere con colossi privati come Sky Sport, DAZN o Eurosport, che dispongono di budget infinitamente superiori.
Chiedere risultati immediati, senza concedere il tempo necessario per comprendere, riorganizzare e progettare, non è solo ingiusto: è anche miope.
Durante anni di governo di centrosinistra, è raro – se non impossibile – trovare casi simili di accanimento preventivo contro un direttore espresso da quell’area politica. Il pluralismo, a senso unico, rischia di trasformarsi in una forma mascherata di egemonia culturale.
Perché oggi un professionista come Paolo Petrecca viene contestato a prescindere, mentre ieri si accettava tutto senza fiatare?
Una domanda legittima che chi crede nel servizio pubblico dovrebbe porsi. La Rai deve rappresentare tutti i cittadini, non solo una parte. E questo include anche la possibilità che un direttore di estrazione “non progressista” possa ricoprire ruoli apicali senza essere per questo considerato un corpo estraneo da ostacolare in ogni modo.
Petrecca ha dimostrato in passato, con la direzione di Rai News 24, di saper tenere il timone in situazioni complesse, riuscendo a garantire un equilibrio editoriale tra velocità, completezza e pluralismo dell’informazione. È lecito pensare che anche in Rai Sport possa portare risultati simili, ma va messo nelle condizioni di farlo.
Diamo il tempo al direttore di lavorare, comprendere la realtà che ha trovato e portare avanti il suo progetto. Chi conosce il mestiere del giornalista sa che le rivoluzioni – quelle vere – richiedono tempo, ascolto e autorevolezza. Ma soprattutto richiedono che chi guida abbia la possibilità di farlo senza il fiato sul collo per motivi ideologici.
Il dibattito interno alla Rai non deve trasformarsi in una caccia alle streghe. Se davvero crediamo in un servizio pubblico forte, autonomo e capace di competere in uno scenario internazionale, allora dobbiamo superare le logiche di appartenenza e valutare il lavoro delle persone sui fatti, non sulle etichette.
Paolo Petrecca ha davanti una sfida difficile. Ma merita – come chiunque altro – la possibilità di dimostrare ciò che vale. E se avrà successo, sarà un bene per Rai Sport, per la Rai tutta e per un'informazione sportiva più libera e pluralista.