Le Leggende dell'Alpinismo: Walter Bonatti, la Traversata degli Angeli e l'orsacchiotto sul Cervino
Un uomo, solo, che raggiunge due vette, in cima alla montagna e nel suo profondo. Si commuove quando saluta l'amico che lo accompagna fino al primo scivolo di ghiaccio. Arrampica da equilibrista sospeso nell'abisso. Appeso alla parete come un sacco, prova un senso di isolamento devastante. Ad oltre 4 mila metri guarda il mondo sotto i suoi piedi e pensa, con questa impresa, di aver forse valicato i limiti del ragionevole. La storia dell'ultima, straordinaria, scalata estrema del "Re delle Alpi".
di Antonio Panei
Mercoledì 08 Febbraio 2023
Roma - 08 feb 2023 (Prima Pagina News)
Un uomo, solo, che raggiunge due vette, in cima alla montagna e nel suo profondo. Si commuove quando saluta l'amico che lo accompagna fino al primo scivolo di ghiaccio. Arrampica da equilibrista sospeso nell'abisso. Appeso alla parete come un sacco, prova un senso di isolamento devastante. Ad oltre 4 mila metri guarda il mondo sotto i suoi piedi e pensa, con questa impresa, di aver forse valicato i limiti del ragionevole. La storia dell'ultima, straordinaria, scalata estrema del "Re delle Alpi".
21 Febbraio 1965, Walter Bonatti è sospeso nel deserto verticale sul Cervino. Ha superato crepacci, barriere di strapiombi, rocce lisce e incrostate di ghiaccio, ma non il suo senso di solitudine infinito, devastante. "L'isolamento quassù - scriverà nel libro I miei ricordi - è davvero vasto, disumano. Sotto i miei piedi, pulsa la vita. Una vita facile e allettante da immaginare per chi come me sta sospeso tra cielo e terra. Ma è anche una vita banale e deludente se per sfuggirla ora mi trovo qui".

E' vicino alla vetta nella zona delle "canne d'organo", ciclopiche colonne che portano verso l'ignoto se ci si infila in mezzo a quella sbagliata. Deve scegliere il canalone che conduce alla salvezza. Per intuito ne imbocca uno. E' quello giusto. Si ritrova in un terrazzino, largo appena trenta centimetri, dove passa la notte rannicchiato, con la testa tra le ginocchia, a 30 gradi sotto zero. Il giorno dopo, il 22 febbraio, stenderà le braccia alla croce in cima alla montagna, centrando tre record superumani: direttissima, solitaria, invernale.

Durante tutta la scalata, però, Bonatti si sente profondamente turbato. E' assalito dai ricordi delle persone care. "Un carosello di immagini mi sfilano nella mente: il volto di mio padre, il mare di San Fruttuoso, le rose di un giardino di amici. Sono conscio di trovarmi talmente fuori dal mondo che se penso a qualcosa di vivo, alla normalità, mi afferra l'emozione". Quella che ha appena compiuto è stata un'impresa ai limiti del possibile, che non avrebbe voluto affrontare da solo.

Pochi giorni prima, il 10 febbraio, ci aveva provato con due compagni di cordata, Alberto Tassotti e Gigi Panei. Al terzo giorno di arrampicata li bloccò una violenta bufera. Riuscirono a tornare a fondovalle sani e salvi, reduci da un drammatico bivacco notturno e da una paurosa ritirata: quattrocento metri di calate a corda doppia nella tempesta. "Bonatti e compagni hanno fallito", titolarono i giornali. "Come se tornare vivi a casa fosse un disonore dopo aver passato una notte intera a scacciare la morte, quasi penzolanti sulla parete, a quota quattromila metri, investiti da raffiche di polvere gelata che sfioravano i cento chilometri l'ora".

Ferito nell'orgoglio Bonatti vuole ritentare subito l'attacco alla Parete Nord. Ma Tassotti, che è un militare e ha finito la licenza, deve tornare al più presto in caserma, altrimenti rischierebbe un processo per diserzione. Panei, invece, ha impegni improrogabili con la nazionale juniores di sci, di cui è allenatore. "Mi telefonò da Courmayeur e disse che assolutamente non poteva tornare sul Cervino. Gli gridai furibondo: ebbene allora partirò da solo! Speravo di toccare le sue corde, di fargli sentire un senso di colpa. Ma niente da fare! Panei fu irremovibile. E posso capirlo".

Dunque, Bonatti il 18 febbraio parte da solo. Si commuove quando saluta il suo amico fotografo Mario De Biasi che lo accompagna fino al primo scivolo di ghiaccio vivo oltre la capanna Hörnli. "Avevo come un nodo in gola, non riuscivo a dire una parola. Ripresi il cammino senza voltarmi. Da quel momento ogni rapporto con il mondo era finito, sarei potuto tornare tra gli uomini soltanto passando per la spaventosa muraglia che avevo davanti: centinaia e centinaia di metri quasi a picco sulla mia testa. Dopo aver aggirato un crepaccio, mi girai a guardarlo con gli occhi gonfi di pianto. De Biasi era ancora lì ad osservarmi. Lui non era un alpinista, non poteva seguirmi".

Inizia così l'avventura più marziana di Bonatti, "stordito dallo sgomento e dal profondo silenzio che avvolge la montagna nell'ora del tramonto, in un mondo vuoto e spento, che respinge l'uomo e la vita". Da subito la progressione richiede manovre estenuanti. "Agganciavo lo zaino ad un chiodo, mi arrampicavo per un'intera lunghezza di corda, circa 40 metri, fissavo il capo della fune ad un altro chiodo e quindi mi calavo giù fino allo zaino per caricarlo sulle spalle e risalire". La prima notte la passa sul "canalino bianco", appeso come un sacco, immerso in un dormiveglia popolato da incubi.

"Per la prima volta nella mia vita noto uno strano fenomeno: il fatto di non poter parlare con anima viva, mi fa concentrare tanto in me stesso che talvolta mi pare di essere in preda ad ipnosi". Con lui c'è solo l'orsacchiotto di pezza Zizì. Glielo ha regalato un bambino a Zermatt. "Ad ogni sosta lo guardavo e gli parlavo come se lui potesse capirmi. Lo accarezzavo con le mani sanguinanti e screpolate dal gelo. Mi ci ero affezionato. Zizì fu per me molto di più che una semplice mascotte".

Nei giorni successivi Bonatti affronta anche i passaggi più difficili. Come un equilibrista che cammina per ore e ore sul filo teso tra due abissi oltrepassa con una incredibile arrampicata obliqua le gigantesche tegole ripide e ghiacciate della "Traversata degli Angeli", supera il passaggio chiave dei grandi strapiombi, poi le colonne ciclopiche e i 40 metri finali di sesto grado puro, senza poter piantare nemmeno un chiodo nella roccia malferma perché tutto sembra crollargli addosso da un momento all'altro. "Continuai a salire un pò a caso, verso il cielo, fin quando mi ritrovai ad essere più alto del Cervino, in cima, abbracciato alla croce, avvolto da una gran luce così abbagliante che mi provocò una violenta oftalmia".

Un orsacchiotto di pezza, un uomo solo e l'infinito dentro e fuori di lui. La Nord del Cervino fu l'impresa che segnò l'addio di Bonatti all'alpinismo. Un viaggio estremo e introspettivo, in cui il "Re delle Alpi" toccò anche un'altra vetta, nel suo profondo, raggiungendo la consapevolezza di aver forse "valicato i limiti del ragionevole e sfidato per orgoglio il destino, impersonando una figura biblica condannata per l'eternità a salire".

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"Il re delle Alpi. Storie di Walter Bonatti"
Alberto Tassotti
Bonatti Panei Tassotti
Cervino febbraio 1965
Cervino Parete Nord 1965
Gigi Panei
Il Re delle Alpi
Mario De Biasi fotografo
Orsacchiotto Zizì Bonatti
Parete Nord Cervino 22 febbraio 1965
PPN
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Walter Bonatti
Zermatt Bonatti

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