Non sono soltanto le chiavi, la borsetta, la fede o i sacchetti di nylon della Conad, gli oggetti cercati dalla Squadra Mobile di Trieste all'interno dell'abitazione di Lliliana Resinovich, l'ex dipendente 63enne scomparsa il 14 dicembre dello scorso anno e trovata senza vita il 5 gennaio nel boschetto dell'ex Ospedale Psichiatrico triestino, nel quartiere di San Giovanni, dove lei abitava con suo marito, Sebastiano Visintin.
Durante le varie ispezioni dell'abitazione, i militari hanno cercato una lettera. Questo perchè, per gli investigatori, stanno esplorando l'ipotesi che possa essersi suicidata accanto a quella dell'omicidio, la donna potrebbe aver lasciato una lettera in cui diceva addio.
L'ipotesi del suicidio è sorta quasi subito, ma è sempre stata rigettata dai parenti. A suggerire l'idea del suicidio è stato prima di tutto il cadavere, che è stato trovato in posizione fetale, quasi come se la donna si fosse distesa sulla terra. Inoltre, i vestiti erano in perfetto ordine, e i primi risultati dell'ipotesi di una morte violenta per mano di un omicida non portavano a conclusioni.
Nessun sospetto, poi, è emerso dall'analisi dei tabulati telefonici del marito, Sebastiano Visintin, le cui chiamate con il cellulare sono state esaminate fin nei minimi dettagli per analizzare ogni suo spostamento. E nemmeno l'esame del Dna sugli oggetti che la donna aveva indosso - anche il cordino usato per stringere i sacchetti - ha portato a risultati, perchè non sono state riscontrate impronte del marito e nemmeno dell'amico della donna, Claudio Stirpin.
Prima di tutto questo, però, la Squadra Mobile è stata in cerca della lettera, perchè, esaminando l'intera vicenda dal punto di vista del suicidio, gli inquirenti si sono accorti che la donna non ha fatto un gesto impulsivo e ha agito con metodo. Prima di tutto, si è recata al parco dell'ex Ospedale Psichiatrico, dove andava insieme con il marito quando erano in bicicletta, senza avere la fede al dito. Questa è una traccia, indice che la donna voleva allontanarsi.
Un altro segno di allontanamento volontario è la possibilità che la donna si sia portata dietro i sacchetti, gli stessi trovati nella sua abitazione, usati per la conservazione della verdura in frigo, e i sacchi neri, lasciando a casa i cellulari e la borsetta.
Nel caso in cui possa trattarsi di un suicidio, e molti elementi fanno pensare che sia così, non è stata un'azione impulsiva. Chi l'ha conosciuta, la definisce come una persona ordinata, che non avrebbe mai fatto gesti inconsulti. Per questo motivo, i poliziotti cercano una lettera, in cui Liliana potrebbe aver spiegato i motivi del suo suicidio in un boschetto.
Resta da capire, in ogni caso, cosa la turbasse e da cosa stesse fuggendo. Domande che non trovano ancora una risposta, anche per molti la donna stava fuggendo da una vita che non riusciva più a sopportare e che non era capace di cambiare. La sua esistenza poteva essersi scontrata con un dillemma, se continuare a vivere con il marito o iniziare una nuova relazione. E, per disperazione, non sarebbe riuscita a scegliere, optando per la resa.
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