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“Come forse saprete- anticipa nel suo post l’ex Presidente della Regione Puglia- la ragione del mio allontanamento dalla scena pubblica è legata al coinvolgimento, per me drammatico e inatteso, nell’inchiesta sull’Ilva”. Spiega anche: “In questi anni ho scelto di difendermi nel processo e non dal processo, rinunciando anche a reagire alla campagna politico-mediatica che si è svolta parallelamente allo stesso. Penso che il trasferimento dei processi dai tribunali ai talk show e la conseguente pressione mediatica nuocciano alla giustizia”.
Ma il passaggio forse più forte della sua denuncia è questo: “Penso che la “Guerra dei trent’anni” tra potere politico e potere giudiziario abbia fatto male alla nostra democrazia, diventando l’alibi che ha di fatto impedito una seria riforma della politica e della giustizia”. E forse ha ragione.
Subito dopo la sentenza di condanna Niki Vendola aveva affidato la sua rabbia alla agenzie di stampa: “Sappiano – sottolineava Vendola- che hanno commesso un grave delitto contro la verità e contro la storia. Hanno umiliato persone che hanno dedicato l’intera vita a battersi per la giustizia e la legalità. Hanno offerto a Taranto non dei colpevoli ma degli agnelli sacrificali: noi non fummo i complici dell’Ilva, fummo coloro che ruppero un lungo silenzio e una diffusa complicità con quella azienda.”
Vendola, da vecchio leader politico, educato soprattutto al rispetto sacro delle istituzioni, spiega il perché del suo esilio, e lo fa in questa maniera: “Io sono stato in disparte, anche perché l’unica ricchezza che ho cumulato nella mia vita è la reputazione, che non è un diploma o un curriculum ma l’immagine e il senso stesso di una vita intera. Per me l’immagine e il senso di una storia di militanza cominciata all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, cioè cinquant’anni fa”.
E qui lo sfogo e la confessione privata diventano denuncia aperta per quanto subito: “Io attendevo dalla Corte di Taranto, dopo 8 anni di processo, di essere restituito a questa storia e all’assoluta correttezza delle mie azioni. Così non è stato. Aspetterò l’esito dell’appello con la stessa convinzione”.
Ma a differenza degli anni passati – sottolinea Vendola- non rinuncerò a parlare delle cose che mi stanno più a cuore. “Sia pure dai margini della scena, vorrei continuare a offrire un punto di vista che deriva da un’inesausta passione politica, che è passione per la vita e il vivente, passione per il mondo e per i diritti”.
Su un punto Vendola non transige e dice quello che pensa con la chiarezza che gli è sempre stata cara: “Credo sia urgente elevare il livello del dibattito pubblico alla luce delle lezioni della pandemia, che disvelano la fragilità dell’esistenza umana, ma anche la follia di un modello di sviluppo incentrato sul dominio del profitto e sull’irresponsabilità ambientale, e che ad oggi vedono come effetto dirompente il moltiplicarsi delle disuguaglianze”.
Voglia di parlare, dunque, voglia di poter dire liberamente quello che pensa, senza mai oltraggiare nessuno, tanto meno la magistratura che oggi lo condanna pesantemente, ma con lo spirito costruttivo di un ex uomo di stato, perché il Paese – e qui ha ragione Niki Vendola- in tema di giustizia non ha più nessuna certezza in cui credere. I fatti di Milano, il processo ENI, la stessa vicenda Palamara, ci confermano la tragicità del momento.
24 ore prima del post su Fb Vendola aveva reagito con altrettanta estrema durezza alla sua sentenza di condanna: “Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità. È come vivere in un mondo capovolto, dove chi ha operato per il bene di Taranto viene condannato senza l’ombra di una prova. Una mostruosità giuridica avallata da una giuria popolare colpisce noi, quelli che dai Riva non hanno preso mai un soldo, che hanno scoperchiato la fabbrica, che hanno imposto leggi all’avanguardia contro i veleni industriali. Appelleremo questa sentenza, anche perché essa rappresenta l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata”
“Nell’attesa che la giustizia completi il suo cammino-conclude quindi Niki Vendola nel suo sfogo su Fb- senza mai sottrarmi al vaglio critico dell’autorità giudiziaria, riprendo la parola, tornando dall’esilio in cui avevo scelto di stare. Ci sentiamo presto, Nichi”.