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Dieci anni dopo la sua morte, era il 4 novembre 2011, domani lunedì 29 novembre alla Camera dei Deputati, ore 16 Aula dei Gruppi Parlamentari, per iniziativa del Gruppo Parlamentare di Italia Viva e dell’Associazione Culturale Aldo Moro-Mino Martinazzoli di Brescia, sarà ricordato il vecchio leader democristiano.
Dieci anni dopo la sua morte, era il 4 novembre 2011, domani lunedì 29 novembre alla Camera dei Deputati, ore 16 Aula dei Gruppi Parlamentari, per iniziativa del Gruppo Parlamentare di Italia Viva e dell’Associazione Culturale Aldo Moro-Mino Martinazzoli di Brescia, sarà ricordato il vecchio leader democristiano.
L’occasione ufficiale è il lancio de “Il Cambiamento impossibile” il nuovo libro della giornalista di Famiglia Cristiana Annachiara Valle, interamente dedicato alla vita e alla straordinaria lezione politica di Mino Martinazzoli. Con lei, e con il Direttore de “L’Espresso” Marco Damilano, ne parleranno; Maria Elena Boschi, Marco Follini, Pierluigi Castagnetti, Agazio Loiero, e Paolo Corsini.
“A dieci anni dalla sua morte- sottolinea Annachiara Valle- riproponiamo, arricchite dalle testimonianze dei politici di ieri e di oggi e dalle sue stesse parole che la prima stesura non aveva incluso, i ricordi di un democristiano atipico che tentò di cambiare le sorti del nostro Paese e di fermare la degenerazione di una politica sempre più asservita al culto della personalità”.
Per la giovane vaticanista di Famiglia Cristiana, “Con la sua ironia, a tratti irriverente, Mino Martinazzoli disegna l’Italia che fu, che è, e che forse sarà. Il quadro complesso di una Repubblica sempre in bilico fra ascesi e dannazione”.
Annachiara Valle lo conosceva bene Mino Martinazzoli.
“La sua scrivania era circondata da libri, leggeva e rileggeva Manzoni e la Costituzione. Continuava a parlarne ai giovani anche quando si era ritirato dalla politica attiva. Avvocato, tre volte ministro (Giustizia, Difesa, Riforme istituzionali), sindaco, l'uomo che aveva tentato di salvare la storia della Democrazia cristiana, recuperando l'anima e il nome del Partito popolare di Sturzo, che aveva dovuto affrontare l'impatto di tangentopoli sulla Prima Repubblica, che si era opposto al degrado di una politica asservita al culto della personalità, scommetteva sulle future generazioni. Sosteneva che non fosse saggio portare qua e là «l'aggettivo cattolico come se fosse una griffe per identificare il contributo che diamo alla redenzione dei luoghi politici che via via andiamo volubilmente visitando».
“Il cambiamento impossibile. Biografia di uno strano democristiano”, 129 pagine, Rubettino Editore (la prima Edizione era stata curata dalla Rizzoli), è un saggio storico di grande attualità interamente dedicato a Mino Martinazzoli, il leader democristiano che negli anni ’90 venne chiamato in soccorso di una DC in crisi di immagine e di proposte politiche, ma è soprattutto una biografia inedita di Mino Martinazzoli, l’ultimo segretario della DC e del Partito Popolare, scritta da una vaticanista di grande valore come Annachiara Valle, giornalista calabrese con una lunga esperienza a Famiglia Cristiana e alle spalle una formazione cristiana d’altri tempi. Noblesse oblige.
La Prefazione è del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, vecchio amico personale di Mino Martinazzoli, la Postfazione invece di Pierluigi Castagnetti, storico capo della segreteria politica di Mino Martinazzoli, e subito dopo Segretario Nazionale della DC.
“Di questo testo Mino Martinazzoli amava dire che glielo avevo «estratto con il forcipe». E in effetti era stato un parto un po’ travagliato. Lui reticente e schivo, io testarda e paziente. Gli incontri nel suo studio e poi a casa, con la signora Giuseppina che, puntuale, preparava un buonissimo caffè. Le finestre aperte, per far uscire quel fumo di sigaretta che non aveva abbandonato neppure all’insorgere della malattia. I ricordi che lo appassionavano e che di botto, poi, voleva troncare, tornando indietro sulla idea, mai davvero digerita, di raccontare la sua vita”.
Mino Martinazzoli in realtà non era un uomo facile.
“Poche settimane prima di morire, in un giorno di agosto mi aveva salutato chiedendomi scusa di quel suo fare un po’ brusco che a volte mi aveva ferito. In quelle parole e in quell’abbraccio inconsueto c’era il segno del destino ineluttabile che l’avrebbe portato via di lì a poco. Era soddisfatto, però, dell’essere stato “costretto” a raccontare. Di aver rivisto le bozze, punto per punto, correggendo virgole, emendando frasi, affinando la lingua. Di aver messo su carta la realtà di come le cose davvero fossero andate. Raramente i saggi di storia politica sono così avvolgenti e così ricchi di suggestioni inedite”.
È il 1992. La DC è stata travolta da Tangentopoli, la sua classe dirigente è stata al centro di mille scandali. Il partito capisce allora che è necessaria una rapida inversione di rotta. Serve un nome di rispetto, una persona lontana dai luoghi e dalle logiche del vecchio potere, un “onesto uomo del Nord”. Parte da qui il ritratto di Mino Martinazzoli che ne fa magistralmente Annachiara Valle.
“Era un onesto uomo del Nord, l'atipico democristiano che sancirà lo scioglimento della DC, segnando così uno dei momenti fondamentali della recente storia politica italiana. Il vuoto di potere e di rappresentanza che seguirà questo evento epocale aprirà la strada alla scalata della Lega e al trionfo di un inaspettato soggetto politico, Forza Italia”.
In questo libro c’è per intero il respiro di quegli anni, c’è la tensione ideale della DC di allora, ma c’è soprattutto il nuovo che si affaccia all’orizzonte politico italiano, con un Silvio Berlusconi che convince il Paese a sostenerlo fino in fondo.
Annachiara Valle ricostruisce la storia politica di quella stagione così particolare e così inedita, per certi versi imprevista e inimmaginabile ma profondamente connessa alla storia sociale dell’Italia di allora, e ci regala i mille retroscena inediti di una “rivoluzione mancata”, quella dell'Italia post-Tangentopoli.
Mino dunque, fortissimamente Mino Martinazzoli.
“Mino era, convinto che il germe della cultura cristiana avrebbe di nuovo dato frutti”. «Anche se io non lo vedrò», diceva, «tornerà un tempo meno inclemente per questo seme della nostra storia che non può essere diventato infecondo. Dovranno passare molte cose. Dovranno arrivare delle generazioni che risentano queste cose come cose nuove. Ma ho l'idea che in quella storia apparentemente chiusa ci siano delle ragioni che durano». E tra queste ragioni quelle del valore della solidarietà: «Il nostro domani», concludeva, «sarà in larga misura giocato sulla capacità che ciascun uomo, ciascuna donna di questa umanità avrà di intendere e interpretare il suo diritto alla libertà, il suo diritto di vita, secondo il profilo della responsabilità. Questo è il nuovo modo di declinare la solidarietà: sempre meno la disponibilità a dare e sempre più la disponibilità a essere, a essere in qualche modo preparati a rinunciare, se occorre. Disponibili a una pienezza, per sapere che una pienezza troppo egoistica non appaga e non perdona”.
In questo libro si ritrova in tutta la sua interezza una figura singolare e rilevante di protagonista della vita pubblica italiana e, insieme -riconosce Sergio Mattarella- una rappresentazione genuina, coraggiosa, non scontata, di due decenni cruciali della vita del Paese, quelli nei quali si avviò a conclusione e si chiuse una intera fase storica dell’Italia repubblicana.
Il rapporto con Aldo Moro, lo scandalo Lockheed, il giallo di Ustica e la morte di Sindona. E poi ancora, il maxiprocesso alla mafia e i rapporti con Giovanni Falcone, la contestazione della legge Mammì sugli assetti radiotelevisivi culminata nelle dimissioni di 5 ministri compresi Martinazzoli e Sergio Mattarella, la fine della Dc, i rapporti con la Lega e con Berlusconi.
Semplicemente commovente il ricordo che di Mino Martinazzoli ne fa invece nella prefazione a questo libro il Capo dello Stato.
“La personalità di Mino Martinazzoli - giurista, ministro, Sindaco – di cui ricorrono i dieci anni dalla morte- sottolinea il Presidente Sergio Mattarella-, ci offre, ancora oggi, un’ispirazione autentica per contrastare ogni impoverimento etico e ideale della politica, e per restituirla al servizio essenziale che essa può rendere al bene comune”.
Mattarella non si risparmia neanche in questa occasione, e va molto oltre il giudizio sommario.
“Può aiutarci –sottolinea il Capo dello Stato- un concetto che Mino Martinazzoli esprimeva sovente, quello della mitezza della politica. La politica mite non è affatto una politica debole, al contrario è propria di chi, convinto della forza e del valore delle proprie opinioni, non teme di confrontarle con quelle degli altri e non pretende di imporgliele. È questo l'atteggiamento che induce ancora una volta alla coesione, a trovare sempre, con forza, le ragioni che uniscono piuttosto che quelle che separano e dividono. Ragioni che valgono sempre, qualunque siano le difficoltà e i problemi che il nostro Paese si trovi ad affrontare”.
Sergio Mattarella, che in questa occasione riscopre tutto il suo carisma di vecchio docente universitario, ci ricorda che “Anche dopo dieci anni dalla sua scomparsa sentiamo ancora l’importanza della sua esperienza, che abbiamo in tanti seguito e ammirato, del giurista, dell'intellettuale, dell'uomo politico, del ministro, del sindaco. Ricordo la targa che ho visto collocata accanto al busto di bronzo che lo ritrae pensoso, un suo atteggiamento tipico, installato nell’atrio del palazzo di giustizia di Brescia: «Non vale la pena di entrare nel fuoco della controversia che è un fuoco fatuo. Conviene chiedere soccorso all’ironia e alla pietà. Ci aiutano a ritrovare la misura umana della politica e risarcire la sua incompetenza della vita». È una frase, questa, come sempre efficace nell'espressione e profonda nel contenuto. Sono certo che tutti coloro che saranno indotti a leggerla ne trarranno beneficio. Anche questo è un suo contributo che rimane”.
Quel busto di Martinazzoli, ministro della Giustizia nella metà degli anni '80, e la dedicazione al suo nome dell'aula della Corte d'Assise –ricorda ancora il Capo dello Stato- “collega la sua esperienza giuridica a quella di Giuseppe Zanardelli, raffigurato nel monumento che gli sta di fronte. È stato un modo per ricordare l'impegno e la passione dispiegati da Martinazzoli nella guida del Ministero: un impegno che nasceva da una visione lucida e profonda del ruolo della giustizia e dei suoi problemi”.
Il pensiero oggi va alle sue pagine sulla "Storia della colonna infame", pagine che aiutano il lettore a rendersi conto che la giustizia va affermata e realizzata nella sostanza delle sue decisioni, ma anche negli strumenti con cui viene applicata. Quelle pagine forse sono all'origine del suo impegno per la riforma del codice di procedura penale”.
Sergio Mattarella non ha dubbi: “Il disegno di legge di delega per la riforma del codice va ricordato non soltanto perché, atteso da molto tempo, ha innovato profondamente il processo penale, ma anche per un corollario importante: l'assoluta novità in quella delega della previsione di decreti integrativi e correttivi. Scelta che ha aperto la strada a un percorso meno travagliato, meno controverso e più maturo delle deleghe legislative. La delega per il codice di procedura penale venne approvata poco dopo l'uscita volontaria di Martinazzoli dal governo, ma va ricondotta in larghissima misura al suo impegno e al ruolo di Ministro”.
Il Presidente Mattarella non poteva tributare a Mino Martinazzoli un riconoscimento più solenne e più bello di questo.
“Tra i tanti impulsi da lui impressi, va ricordata anche l'attenzione alla condizione carceraria e il sostegno coerente all'approvazione della legge Gozzini. Sul piano dell'attenzione ai problemi di allora va ricordato il suo impegno e il suo sostegno per la realizzazione del maxiprocesso di Palermo nel 1986. Quell'evento ha fortemente inciso sull'impulso efficace nella lotta contro la mafia, con un forte carattere innovativo. Quel processo, voluto con determinazione da Giovanni Falcone, è stato reso possibile anche in larga misura per l'impegno dell'allora Ministro della Giustizia Martinazzoli ed è servito ad aprire una pagina nuova nella lotta contro la mafia e a ribadire la prevalenza dello Stato contro il crimine organizzato”.
Ma non finisce qui. Sergio Mattarella ha percorso insieme a Mino Martinazzoli un lungo tratto di strada in comune, e quello che più li legava non era solo un forte rapporto di amicizia personale e di militanza quotidiana, ma era piuttosto invece una vera e propria filosofia della vita, nel nome della democrazia pura e del rispetto sacro dell’uomo. In Parlamento, visti da lontano insieme, uno accanto all’altro, mentre attraversavano il Transatlantico, sembravano quasi due fratelli siamesi, diversi ma identici, facce speculari della stessa medaglia, e figli-protagonisti della stessa cultura cristianosociale.
Infine, il Mino Martinazzoli-sindaco e la grande lezione che Martinazzoli lascia oggi alle giovani generazioni: “Sapeva bene, ed è una lezione che ci resta- conclude il Capo dello Stato- come sia necessario far prevalere costantemente ciò che unisce le proprie comunità, così come la comunità nazionale, perché in ogni Paese ciò che unisce è di gran lunga più importante di quel che può dividere. La coesione è decisiva per affrontare i problemi che si presentano, le difficoltà che si prospettano”.
Un libro da non perdere, che si legge tutto d’un fiato, e che oggi potrebbe insegnare a chi in Parlamento è arrivato senza mai aver fatto politica o militanza di genere cosa era, e cosa è ancora la politica con la P maiuscola. (pn)