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Una storia per tutte le giovani donne che convivono con l'endometriosi, e su come il supporto familiare e di altre donne, come quelle dell’A.P.E. Associazione Progetto Endometriosi, possano fare la differenza.
Una storia per tutte le giovani donne che convivono con l'endometriosi, e su come il supporto familiare e di altre donne, come quelle dell’A.P.E. Associazione Progetto Endometriosi, possano fare la differenza.
Flavia ha 18 anni ed ha da poco affrontato l’esame di maturità. Dopo l’estate si iscriverà ad un corso di design all’Università e non mollerà gli studi, nonostante le difficoltà di convivere con una malattia cronica e considerata ancora “invisibile” come l'endometriosi, che nonostante la sua giovane età, ha già messo a dura prova il suo corpo e il suo percorso di vita.
Ma Flavia può contare sul supporto familiare, su quello di sua madre Livia e sulle donne dell’A.P.E. Associazione Progetto Endometriosi, che unisce persone affette dalla malattia in tutta Italia, impegnate nel fare informazione e creare consapevolezza sulla patologia che colpisce una donna su dieci in età fertile.
La storia di Flavia e di sua mamma Livia è un esempio di come la determinazione, la vicinanza della famiglia e l’informazione possano fare la differenza nel percorso di convivenza con questa patologia cronica.
La storia di Flavia inizia presto, troppo presto. “Ho avuto un primo ricovero a 11 anni, due anni prima del ciclo, con grandi dolori alla pancia e non si capiva cosa fosse”, racconta la giovane. “Ancora oggi non abbiamo avuto una diagnosi chiara per quel primo episodio”.
Il menarca a 13 anni ha portato con sé dolori sempre più intensi e cicli abbondanti. Fortunatamente, la famiglia ha potuto contare su figure mediche attente: un radiologo di fiducia e la pediatra hanno subito ipotizzato l'endometriosi, permettendo di raggiungere una diagnosi in tempi relativamente brevi, nonostante il lungo peregrinare tra ospedali.
Il ritardo diagnostico sull’endometriosi è in media dai 5 agli 8 anni.
“Durante un altro ricovero il radiologo ci ha nominato per la prima volta l'endometriosi” spiega mamma Livia. “È stata la spiegazione più logica. C'era molta ignoranza nell'accettare che la patologia potesse comparire a 13 anni, ma attraverso una rete di mamme ho capito che non è così rara”.
L'impatto dell'endometriosi sulla vita scolastica di Flavia è stato significativo. I primi sintomi sono comparsi in terza media durante il Covid, per poi peggiorare al liceo. Dolori che impedivano a Flavia di frequentare regolarmente la scuola. “Alcuni insegnanti mi hanno compresa e accompagnata, senza di loro non sarei riuscita a fare la maturità a giugno”, racconta Flavia.
“Ma molti non hanno compreso. Alcuni mi hanno scoraggiata nello studiare, dicendo che non aveva senso andare a scuola, che non era vero che stavo male, che era tutto finto”.
Un episodio particolarmente doloroso risale al quarto anno del liceo scientifico: “Volevano bocciarmi. Avevo la media dell'8 e mezzo, ma secondo alcuni professori non avevo raggiunto certi livelli. So di ragazze affette da endometriosi bocciate per le assenze, pur andando bene a scuola”.
La svolta è arrivata grazie alla richiesta di invalidità, consigliata da alcuni professori sensibili: "Avendo l'invalidità si può richiedere l'insegnante di sostegno e i PEI, il Piano Educativo Individualizzato, finalizzato a fornire un supporto personalizzato per l'apprendimento e lo sviluppo di ciascuno studente, tenendo conto delle sue specifiche esigenze”.
“Dal punto di vista familiare ho subito avuto persone accanto», dice Flavia. «Mio nonno è medico, mamma è biologa, avendo consapevolezza hanno capito che era una cosa importante”.
Ma non tutti hanno mostrato la stessa comprensione: “Amici, compagni di classe, persone che reputavo vicino a me, sono andate a dire che non era vero che stavo male, che non andavo a scuola per saltare le verifiche, che era una scena per avere attenzioni”.
“Penso che la malattia mi abbia, da una parte, tolto alcune relazioni sociali, ma mi ha mostrato chi realmente mi stava vicino e chi no», riflette Flavia. «In generale, c'è poca sensibilità nei confronti di chi soffre. Essendo una malattia di cui, soprattutto in passato, si parlava poco, è spesso stata presa sottogamba e ancora non viene considerata seriamente”.
La famiglia di Flavia ha letteralmente attraversato l'Italia per cercare cure e supporto. “La vita della famiglia viene stravolta anche dalle piccole cose”, spiega mamma Livia. “Lei programma e poi il giorno prima scopre di non poter fare ciò che aveva organizzato per febbre alta, dolore o stanchezza cronica. Ma tutti noi, dal fratellino piccolo, a me e mio marito e i nonni, cerchiamo sempre di essere a disposizione di Flavia in qualunque momento”.
Livia evidenzia anche gli aspetti positivi: “La vita cambia anche 'in positivo', perché scopri quanto è forte il potere dell'affetto, del legame di una famiglia. Cambia, ma ci si adatta per esserci sempre”.
“Una delle cose più difficili è stata accettare il fatto di non avere le stesse “capacità” delle persone della mia età, senza per questo considerarmi inferiore» confida Flavia, che prima della malattia si allenava diverse ore la settimana per fare nuoto. «Mi sento non all'altezza di qualcosa, e sento che il mio corpo non ce la fa”. Ma c'è anche una riflessione profonda sulla crescita personale: “Nel giorno della maturità un amico mi ha detto che, per quanto non mi sia diplomata con il voto che volevo, dovevo essere fiera di me stessa perché ho avuto difficoltà che gli altri nemmeno si immaginano. Questa malattia per quanto mi abbia tolto tantissimo, mi ha dato una maturità che forse non avrei avuto a quest'età”.
La svolta nel percorso della famiglia è arrivata grazie all'A.P.E. Associazione Progetto Endometriosi. “Ho fatto ricerche online e ho scoperto l'A.P.E.” racconta Livia. “Inoltre, tra i professori che hanno aiutato molto mia figlia al liceo, c'era la preside molto avveduta che, dopo aver saputo che aveva un'alunna (su 1300 studenti circa) affetta di endometriosi, tramite la sua segretaria ha invitato l'A.P.E. a tenere un incontro a scuola”.
“Non so come avremmo fatto senza di loro”, continua la mamma. “Ci hanno guidato, indicando anche Flavia come paziente nel corso specialistico di Roma per medici sulla risonanza e ecografia di secondo livello. Da lì abbiamo avuto tante informazioni che ci mancavano”.
Quando il liceo voleva bocciare Flavia, Annalisa Frassineti, presidente dell'A.P.E., ha scritto una lettera alla scuola, per far comprendere le difficoltà di frequentare regolarmente con l’endometriosi: “Bocciare un'alunna come Flavia è a mio parere una scelta di una gravità estrema, vuol dire ricordarle cosa le manca e cosa a vostro parere non potrà essere, vuol dire farle credere che lei non sia all'altezza dei compagni. Flavia invece vale e vale tanto”.
“Non è facile, ma è importante che le ragazze reagiscano, senza arrendersi, come altre che sto conoscendo”, dice mamma Livia. “È questo che bisogna insegnare: non bisogna mollare mai. Non ce la fai a fare il 100%? Arrivi al 70%, al 50%, l'importante è che non molli. La vita si può riadattare”.
Livia e Flavia sono convinte che la chiave per affrontare l'endometriosi sia duplice: «L'unico sistema per affrontare l'endometriosi è una formazione medica specialistica e la comunicazione. Vorrei creare con l'A.P.E. una rete di mamme e una rete tra le ragazze che possono aiutarsi tantissimo, per non sentirsi sole, né strane e così noi mamme». La loro storia è un faro di speranza per tutte le giovani donne e le famiglie che si trovano ad affrontare l'endometriosi: non si è mai soli, la vita può essere riadattata, e con il giusto supporto medico e umano, si può andare avanti senza mai mollare.