Dopo Elezioni. Il Sud faccia “chiasso”
Alla fine di un discorso ai giovani economisti e imprenditori di tutto il mondo, riuniti ad Assisi per discutere del futuro dell’economia e della salute della terra, papa Francesco ha esortato tutti a fare “chiasso”.
di Mimmo Nunnari
Lunedì 03 Ottobre 2022
Perugia - 03 ott 2022 (Prima Pagina News)
Alla fine di un discorso ai giovani economisti e imprenditori di tutto il mondo, riuniti ad Assisi per discutere del futuro dell’economia e della salute della terra, papa Francesco ha esortato tutti a fare “chiasso”.
Lo ha detto sorridendo, nello stile tipico, cordiale ma severo dei gesuiti, che sanno dire cose forti e serie col sorriso, avendo come orizzonte quella libertà di amare il mondo senza la preoccupazione di pensare a se stessi.

L’appello del pontefice non si presta ad equivoci, è chiaro, come sempre: “Chiediamoci, se stiamo facendo abbastanza per cambiare questa economia, oppure ci accontentiamo di verniciare una parete cambiando colore, senza cambiare la struttura della casa”. Invitando poi a guardare il mondo con gli occhi dei poveri, Francesco ha esortato i giovani ad alzare la voce: “Se non avete niente da dire, almeno fate chiasso!”.

Chiasso, dunque, che significa “gridar forte”, per far parlare di sé. Chiasso, come risposta quando non si riesce ad incidere per ottenere che si facciano cose giuste. Chiasso, è metafora di ribellione di fronte all’insensatezza di chi non sa o non vuole custodire il pianeta e la pace, mentre la casa comune sta andando in rovina e ci si ritrova impotenti ad evitare il disfacimento.

Questa metafora del chiasso come ribellione starebbe bene addosso al vecchio Sud delle disuguaglianze, della solitudine, dell’insulto, che sta da sempre in silenzio, non si ribella mai e invece dovrebbe imparare ad uscire dalle rassegnazioni e sudditanze e a non credere alle false promesse, prendendo coscienza che le cose da fare nel Sud appartengono ai diritti e non alle elemosine.

Ecco il Sud dovrebbe fare “chiasso” avendo esplorato tutte le altre possibilità per crescere. In un futuro che si presenta denso di incognite e senza prospettive e nel perdurante credere di quasi tutti gli appartenenti al “sistema” (politica, imprenditori, media, opinione pubblica) che le cause principali delle condizioni di sottosviluppo del Mezzogiorno siano da ricercarsi nell’indole apatica dei meridionali o nella loro incapacità o ancora nella loro attitudine a delinquere, al Sud non resta che fare chiasso: respingere, con fermezza e dignità, il “pensiero nazionale” preconcetto e perverso, ribellarsi, rifuggendo naturalmente dalla violenza e restando nell’ambito delle regole, dei diritti e dei doveri, che garantisce la Costituzione; bella, ancorché inapplicata in vasti territori che sono vittime della loro geografia, del pregiudizio, e non di altro.

Sappiamo che sono bestemmie i giudizi sul Sud, i marchi infamanti che gli vengono appiccicati, ma è ancora più insopportabile, e ridicola, la sospensione ipocrita del “pensiero nazionale” soltanto nel periodo elettorale, che è il tempo, come abbiamo visto di recente, delle passeggiate degli spacconi e degli imbalsamati, dei pensionati ex gallonati, degli impostori e degli statisti fasulli che promettono cose che sanno di non voler mantenere.

“Sono venuti tutti a Napoli, nell’ultima settimana di campagna elettorale, perché hanno capito tardi che il Sud sarebbe stato determinante ha detto il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, indipendente di centro-sinistra. Queste ultime elezioni, hanno espresso forse come mai prima il “malessere” dell’elettorato meridionale, di quello calabrese in particolare, che è il più meridionale del Meridione, come hanno ben analizzato, nei giorni scorsi, su questo stesso giornale Filippo Veltri, Ettore Jorio e il direttore Rocco Valenti.

I risultati si prestano a molte letture, ma la prima lettura è che gli “straccioni” si sono stufati, hanno una testa che ragiona, non fanno più sconti, non abboccano.

L’avvertimento è anche per chi ha vinto le elezioni (sarebbe più corretto dire ha perso di meno) e ora viene messo alla prova. Il consenso per i vincitori (i meno perdenti) durerà se ci saranno risultati: se il “sistema nazionale” vorrà e saprà invertire la rotta. Chi ha perso perso dovrà farsi due conti.

Non è che qui si voglia sparare sulla Croce Rossa, ma Letta, segretario del Pd, più che dimettersi, dovrebbe portare i libri in tribunale, decretare la fine di una “cosa” mai cresciuta, di quel che mai è stato il partito della tradizione della classe operaia e dei ceti medi, ma una “ditta”, lontana dall’idea che pure era buona dell’Ulivo, com’era nell’auspicio del pensatore, politico e politologo Arturo Parisi.

Molti, più o meno in tutti i partiti, parlano di necessità di rinnovamento, di rifondazione, ma per fare un presepe nuovo ci vogliono nuovi pastori. C’è la necessità, per vincitori e vinti, di aprire una discussione purificatrice, sul crollo dei partiti, per “ritrovare lo spirito”, non solo nella dimensione religiosa, quanto in quella politica, ha detto recentemente Giuseppe De Rita, sociologo, le cui profezie sono sempre illuminanti. Va detto pure che, nella situazione attuale, con la politica che non si mostra all’altezza delle aspettative e delle esigenze della gente comune, è il caso che la “società civile” faccia una sana autocritica.

Non basta più puntare il dito in nome di una presunta superiorità morale. Finita, sonoramente bocciata, una stagione di allegro galleggiare, in un mare pieno di melma, questa è l’ora della “stagione dei doveri” come diceva Aldo Moro, profetizzando, già allora, che altrimenti il paese non si salverà. Tornando al Sud, serve un patto, partendo dalla consapevolezza che il Mezzogiorno è un’occasione geopolitica unica per far ripartire l’Italia; paese che ha la fortuna di avere ampi territori che possono essere teste di ponte per l’Africa e il Mediterraneo, luogo dove si giocherà il futuro del mondo.

Il rinascimento passa inevitabilmente attraverso il “mare nostro”: lo hanno capito un po’ tutti nel mondo, americani, cinesi, russi, francesi e così via, solo l’Italia, che pure è totalmente immersa, col suo Stivale, nel Mediterraneo, stenta a intendere.

I partiti, i media, la cultura, e un po’ tutti noi, ci perdiamo dietro il chiacchiericcio modesto e molesto, amplificato ogni sera da improbabili opinionisti e giornalisti, seduti sul trono, come i tronisti di Maria De Filippi. Nasce da questi teatrini quel tipo di società che si aggrega per opinioni, e non per idee, cultura o anche, se si vuole, interessi. La politica è lo specchio di questo teatrino dell’assurdo, dove ognuno recita un parte a memoria senza conoscere il significato di ciò che dice.

Mai, al centro di queste discussioni bla bla bla, da bar, è stata posta al centro della discussione e dell’attenzione l’asimmetria dello sviluppo territoriale italiano e delle sue cause, per analizzarne le cause. Davvero le difficoltà economiche del Sud, il suo essere rimasto indietro, è legato a caratteristiche demo- antropologiche, ad abitudini sociali mediterranee, alla pervasità della mafia? O conviene immaginare che sia così e cambiare idea solo qualche giorno prima degli appuntamenti elettorali?

Nel frattempo, in attesa che si cambi marcia, conviene come dice il papa: fare “chiasso”, reclamare i diritti, respingere le ingiustizie, pretendere ciò che è dovuto. Alzando la voce, utilizzando tutti i mezzi che la moderna società dell’informazione ci mette a disposizione.

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