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"Se il Ssn venisse ribaltato nel suo scopo di curare in ogni condizione e piegato con competenze dirette per la morte di malati, ciò significherebbe dare a tutta la società un gravissimo massaggio pubblico di disvalore della vita fragile".
"Se il Ssn venisse ribaltato nel suo scopo di curare in ogni condizione e piegato con competenze dirette per la morte di malati, ciò significherebbe dare a tutta la società un gravissimo massaggio pubblico di disvalore della vita fragile".
"In un’intervista in tema di “fine vita”, il presidente della PAV (Pontificia Accademia per la Vita, ndr), Mons. Pegoraro, sembra non escludere che il Servizio Sanitario Nazionale sia direttamente coinvolto in prestazioni che arrechino la morte procurata di malati", così si legge in una nota congiunta del network "Ditelo sui tetti" e del Centro Studi Livatino.
“Mons. Pegoraro propone, per il vero– proseguono le associazioni- solo un ragionamento indiretto a partire dalla seppur giusta preoccupazione che non si inneschino percorsi speculativi di tipo privato, ma si rimane nondimeno molto perplessi se si lascia intendere che per evitare un male si possa accedere a una ipotesi ancora peggiore.
Riteniamo infatti essenziale che venga innanzitutto ribadita la prima certezza valoriale: se il Servizio Sanitario Nazionale venisse ribaltato nel suo scopo di curare in ogni condizione e piegato con competenze dirette per la morte di malati, ciò significherebbe dare a tutta la società un gravissimo massaggio pubblico di disvalore della vita fragile, cedendo alla "cultura dello scarto"”.
“D’altronde che questa sia una conseguenza ineludibile lo attestano le ricerche demoscopiche, quale quella dei prof.ri Della Zuanna e Colombo, che dimostrano come a ogni procedura sanitaria che possa direttamente disporre della vita debole, segua sempre una impennata di domande di suicidio assistito di persone che si sentono conseguentemente inutili e abbandonate”. “Sul punto – osserva la nota- vanno richiamati non solo il significativo monito da ultimo della sentenza n. 66/2025 della Consulta, ma soprattutto il par. 4 della Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II, che considera, “se possibile”, ancor più grave per il bene dell’umano del gesto suicidiario la pretesa che a questo collabori il sistema di sanità pubblica”.
“Certamente -concludono- la preoccupazione di Mons. Pegoraro di non dare campo a strutture private è opportuna, ma essa può essere seriamente considerata proprio mantenendo la struttura di illiceità, anche penale, dell’aiuto al suicidio, con varie modalità giuridicamente possibili anche ai fini del rispetto della sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, modalità che ci auguriamo con forza che il Parlamento possa considerare”.