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Si presenta così l’autrice del saggio, e già questo dà l’idea del fascino del suo ultimo libro: “Mi chiamo Simonetta Robiony, sono nata a Napoli il 10 gennaio del 1948 insieme alla Repubblica ma ho sempre vissuto a Roma. Ho un cognome straniero perché il mio nonno paterno era mezzo francese e mezzo tedesco. Ho fatto il liceo classico, filosofia con indirizzo sociologico alla Sapienza e uno dei primi corsi di giornalismo in quella che sarà poi l’università Luiss”.
Ma poi aggiunge altro: “Faccio la giornalista da quando avevo vent’anni. Ho iniziato a fare giornalini scolastici a tredici. A ventitré ero alla Rizzoli, nella redazione di Annabella, il femminile più aperto all'epoca sulla questione delle donne. Con lo scandalo della p2 e Angelo Rizzoli in galera, sono passata a La Stampa.
Quando ho cominciato a lavorare, ho scoperto che le donne erano il 10% della categoria e pochissime potevano arrivare ai vertici, quindi mi sono interessata alla questione femminile. Non ho più smesso, anche se ormai è passato diverso tempo. Uno dei miei valori è la tenacia: ho da oltre 50 anni lo stesso marito, per lunghissimo tempo fuori Roma a far carriera, con cui non condivido quasi niente se non l'affetto, il rispetto per le reciproche diversità e due figli ultraquarantenni, assai cambiati nel tempo”.
Alla presentazione del suo libro interverranno Laura Delli Colli, Presidente del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani e Silvia Garambois, Presidente di GiULiA Giornaliste unite libere autonome. A causa della capienza limitata causa Covid (25 persone), chiunque voglia partecipare – fa sapere la Fondazione Murialdi- può prenotarsi inviando una mail a: redazione@edizioniallaround.it.
Dentro questo suo ultimo libro (272 pagine, Edizioni All Around) c’è l’ironia lo sconforto l’emozione la rabbia e il sogno di un’intera generazione: “Aver avuto 20 anni nel 1968 – ricorda Simonetta Robiony- per molti di noi ha significato crescere respirando speranza. Non la stessa speranza uguale per tutti ma speranze diverse, fluide e meno fluide, collettive e individuali, sentimentali oppure ideologiche, politiche come lavorative.
Ho voluto ricordarlo- aggiunge la giornalista scrittrice- in questi piccoli racconti personali, ma credo, a modo loro, anche simbolici, perché hanno rappresentato momenti importanti della mia vita dove ho sempre mescolato il pubblico col privato, il mestiere di giornalista con quello di madre, figlia perfino moglie da 50 anni dello stesso marito”.
Non solo, Simonetta dice molto di più: “La speranza, per la nostra generazione, anche di fronte ai continui disastri, battaglie, stragi, terremoti e alluvioni, diverse sconfitte e qualche vittoria civile, soprattutto per noi donne, è stata – conclude Simonetta Robiny- il tesoretto cui spesso abbiamo fatto ricorso. Conserviamola bene”. E che sia for ever.