Il diplomatico che ama l’Italia, studia Gramsci e la storia italiana
A colloquio con Rafael Tejeda Acevedo, ambasciatore della Rep.di Santo Domingo
di Mario Nanni
Domenica 29 Novembre 2020
Roma - 29 nov 2020 (Prima Pagina News)
A colloquio con Rafael Tejeda Acevedo, ambasciatore della Rep.di Santo Domingo
Il diplomatico che ama l’Italia, studia Gramsci e la storia italiana
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La carica comunicativa e la forte capacità empatica di entrare in contatto con l’interlocutore, incoraggia il giornalista a fare un gioco intellettuale. Ma Rafael Tejeda Acevedo, da qualche mese ambasciatore della Repubblica di Santo Domingo in Italia, oltre ad essere un grande affabulatore, ha anche il dono dello spiazzamento. E così, quando avviamo una conversazione su come egli vede il nostro Paese, gli propongo un divertissement, ispirandomi alle lettere persiane di Montesquieu. E da provinciale, immaginando che gli debba prima spiegare chi era Montesquieu, inizio così: come Lei sa,  Montesquieu non è solo l’autore dell’Esprit des lois, o il teorico della divisione dei poteri ma…

‘’Era un importante esponente del siglo de la luz’’, mi interrompe. E mi spiazza, aggiungendo: Voltaire, Diderot, il Rousseau del Contratto sociale.

-          Ah, magnifico, gli dico, abbozzando, e un po’ vergognandomi.  Ma poi recupero: ‘’La sua definizione di ‘’siglo de la luz’’, mi pare ancor più bella della nostra: ‘’illuminismo’’,  che in fondo è nozione astratta,  o ‘’secolo dei lumi’’, mentre ‘’secolo della luce’’ è più plastica e più evocativa, quasi icastica. Molte parole l’ambasciatore le conosce, sta studiando l’italiano, ma ogni tanto si rivolge alla sua interprete, il consigliere diplomatico, che è una signora,  Gina,  per essere sicuro di aver ben compreso.

Ma tornando a Montesquieu, gli dico: egli ha scritto anche un libro, rimasto celebre, le ‘’Lettere persiane’’,  in cui immagina che un persiano arrivi  nella Capitale francese e scriva lettere ai suoi connazionali ‘’ raccontando  ‘’come’’ egli vede Parigi e i francesi, usi, costumi, usanze.

‘’Ora - gli dico – io non le chiederò di dirmi come vede l’Italia dal punto di vista politico, né le domanderò giudizi sul governo o su Conte, per non metterla in imbarazzo.

 

-          Le domanderò invece di fare il persiano della situazione e dirmi un suo punto di vista sull’Italia e gli Italiani.

L’ambasciatore, da studioso di storia, psicologia, filosofia, che conosce portoghese e inglese e tra poco anche l’italiano, non si avventura in astratte disquisizioni, ma apre una finestra dialettica, la finestra dell’esempio e dell’aneddoto, che a volte vale più di dieci discorsi.

E comincia a raccontare:

-          ‘’Qualche mese fa noleggiai un ‘auto, dovevo andare a San Felice a Cancello, in provincia di Caserta. Arrivato al paese non trovavo l’indirizzo. Ho chiesto a una persona: sto cercando una famiglia del Venezuela.  Quel signore,  una persona umile e semplice,  mi ha detto: ’Mi segua, la cerchiamo insieme, questa famiglia’. Girammo in lungo e in largo per più di 40 minuti, alla fine arrivammo a destinazione. Dissi a quel signore:  Venga con noi, resti . ‘Non posso, debbo andare al lavoro, anzi sono in ritardo, e forse sarò rimproverato per questo’.

 

Io pensai subito, per naturale accostamento: questo modo di comportarsi,  gentile e generoso, fino al punto di far tardi al lavoro per aiutare il prossimo, era possibile solo in un’altra parte del mondo: in America latina. Una tale cordialità, calore e solidarietà per l’essere umano non si registra in altri Paesi europei. C’è più affinità, comunanza d’anima, tra l’Italia e i Paesi latinoamericani  che tra l’Italia e i Paesi dell’Europa, perlomeno alcuni.

Gli antichi romani dicevano: ‘’ex ungue leonem’: dall’unghia,  da una piccola cosa,  puoi capire che si tratta di un leone, una cosa ben più grande. Ebbene, il comportamento di quella persona partenopea mi ha fatto intendere l’anima italiana; l’Italia è tanti paesi messi insieme, che si armonizzano in una sorta di concordia discors. E così dicasi per i Paesi dell’America latina.

-          Se le cose stanno così, dunque Lei in un certo senso si trova a casa sua, in Italia

Totalmente. Io sono letteralmente innamorato dell’Italia, mi piace studiare la sua storia, la sua cultura, la sua tradizione..

 

A questo proposito, l’ambasciatore mi domanda se si possa trovare in Italia l’edizione spagnola delle ‘’Lettere dal carcere’’ di Antonio Gramsci e dei ‘’Quaderni’’. Gli dico che appena avrà perfezionato l’italiano, potrà leggere l’ultima edizione di tutte le lettere del Grande Sardo, che mostra di conoscere.  Poi mi lascia di stucco, parlando di Mussolini che l’aveva mandato in galera, dicendomi  anche l’anno della morte del capo del fascismo: 1945. Cose che molti aspiranti giornalisti all’esame di Stato non sanno.

Dell’Italia, insomma,  l’ambasciatore Tejeda Acevedo parla come se descrivesse una bella donna, e gli occhi quasi gli luccicano.  E fa il raffronto con altri Paesi del continente europeo: ‘’Lo spirito dell’Italia brilla, illumina più di qualsiasi Paese d’Europa. In Italia sento la gente cantare. Il popolo italiano  è un popolo eminentemente musicale. Quando si sente una voce cantare, viene spontaneo pensare che sia un italiano, o un latinoamericano, non ti viene di pensare a un tedesco.

 L’ambasciatore Tejedo Acevedo ci tiene però a sottolineare che il suo innamoramento per il nostro Paese non è basato solo su una esperienza emozionale,  per quanto significativa. Ma tiene conto della tavola dei valori di amicizia e di umanità che accomuna l’Italia ai Paesi latinoamericani.

 

‘’Questi Paesi – afferma - debbono tanto all’Italia, hanno un debito storico, culturale, ideale. E l’Italia deve andare in America latina a riscuotere questo debito’’.

        Mi compiaccio con lui di questa acrobazia dialettica: osservo che di solito non sono i debitori a sollecitare il creditore a riscuotere, quasi sempre è il contrario.

Ma a un certo punto, quando parla di debiti dell’America latina,  l’ambasciatore s’interrompe e sembra concentrato su un pensiero particolare: infatti cita un italiano, Ilio Capozzi, una singolare figura di eroe, che con un passato nella repubblica di Salò, e nella Decima Mas,  andò a combattere a metà degli Anni Sessanta per la libertà del popolo dominicano; attaccò il palazzo invaso dagli americani, e pur sapendo che ci avrebbe lasciato la pelle, affrontò l’invasore: lasciò il suo orologio ai suoi commilitoni, avanzò nel palazzo presidenziale gremito di marines Usa.  Con un gruppo di ardimentosi – e qui l’ambasciatore fa l’esempio di Leonida  che al passo delle Termopili sfidò i persiani - Capozzi e i suoi sfidarono l’esercito più poderoso del mondo.  Capozzi ci lasciò la vita, per la libertà di un Paese che non era il suo. Ora l’orologio di Capozzi ce l’ha al polso il figlio Alessandro, e in suo onore  è stata scoperta una targa nella sede dell’ambasciata in Italia, a due passi da Via Veneto .

 Mentre l’ambasciatore parla, con tono commosso e ispirato, mi rivolgo all’amico Sergio Franci, della antica Stamperia Trevi, e gli dico:  Ora  però gli voglio fare una domanda : troverà qualcosa dell’Italia che non gli piace!.

 

-          Ambasciatore, prima lei ha dato dell’Italia una valutazione in termini storico-culturali ma con una angolazione di tipo psicologico e sociale. Ora mi dica: c’è qualcosa che di questo Paese non le piace, la lascia perplesso o la preoccupa?

-          - Sì, c’è. E’ l’immagine dell’Italia schiacciata su una equazione inaccettabile: Italia uguale mafia,, come si fa in certi Paesi europei e anche fuori dall’Europa.  Bisogna distruggere questa equazione. E ovviamente bisogna distruggere anche la mafia. La mafia non è il popolo italiano, e il popolo italiano non è la mafia.

-          Quanti sono gli italiani che vivono nella repubblica di Santo Domingo?

Quarantamila, più o meno lo stesso numero dei dominicani che vivono in Italia.

 Questo incontro  con l’ambasciatore è avvenuto, per casuale coincidenza,  il 25 novembre , giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Me lo ricorda egli stesso:  Questa ricorrenza nacque da un tragico fatto avvenuto proprio nel nostro Paese: tre ragazze dominicane,  le sorelle Miraval, Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, e Antonia Maria Teresa, furono uccise barbaramente per ordine del dittatore TrujiIlo. Il loro nome di battaglia era Las mariposas, le farfalle. Il 25 novembre 1960 caddero in una imboscata tesa da agenti del servizio segreto.

 

militare, furono torturate e uccise. Il brutale assassinio acuì l’ indignazione popolare contro Trujillo che fu poi assassinato un anno dopo. Nel 1999 l’Onu dichiarò quel giorno Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

La conversazione con l’ambasciatore si conclude, così com’era cominciata, con un bon mot spumeggiante:

Quando finirò il mandato diplomatico, e tornerò a Santo Domingo, io sarò il migliore ambasciatore dell’Italia in terra dominicana.


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