La droga uccide, "Vicinanza al papà calabrese".
Poche persone non sanno della disperazione di questo padre calabrese che, alla richiesta di uno spacciatore di droga, ha avuto la forza di rispondere:” se uccidi mio figlio ti pago un caffè”.
di Gregorio Corigliano
Lunedì 20 Marzo 2023
Roma - 20 mar 2023 (Prima Pagina News)
Poche persone non sanno della disperazione di questo padre calabrese che, alla richiesta di uno spacciatore di droga, ha avuto la forza di rispondere:” se uccidi mio figlio ti pago un caffè”.
Un padre al colmo della disperazione per il figlio in preda al demonio della droga che non ha esitato a dire al pusher di uccidere il figlio. E per di più ti pago un caffè. Non ti do i soldi che mi chiedi per il pagamento delle dosi che hai fornito a mio figlio, ma ti ringrazio pure se lo uccidi.

E ti ringrazio con un caffè. Quello che offriamo ad un amico, ad un collega, ad un conoscente. E che in questo caso è il massimo possibile dell’affronto. “La vita di mio figlio, ormai, vale solo un caffè”. La disperazione è tanta che al padre, ridotto sul lastrico, non solo economico, ma della vita, non frega più niente della vita del figlio.

Le ha provate tutte, ma proprio tutte, senza riuscirci. Non si può, non si riesce a comprendere fino a che punto può arrivare la disperazione.

“Uccidilo, sparalo, non me ne frega niente”! Può dire così un padre? Purtroppo sì: è tutto registrato nell’ordinanza del giudice, frutto di intercettazioni autentiche che hanno reso plasticamente intellegibile il dramma dell’uomo. Ridotto al lumicino economico e personale, insieme alla moglie e all’unica figlia che tenta di aiutare il fratello, in tutti i modi possibili, finanche andando a recuperarlo per le strade della città, ferito e dolorante per le botte ricevute, per debiti di droga.

E’ stato a quel punto che il padre avrebbe voluto che lo spacciatore lo uccidesse. Convinto di risolvere definitivamente il problema della vita, sua e di sua moglie, di sua figlia. In cuor suo, però, siamo sicuri che non era questa la sua volontà, era nel clou della disperazione, quando il cervello non lo ha più seguito ed ha pronunciato la terribile frase “se lo uccidi…”.

Le ha provate proprio tutte il genitore disperato. Non sa fare altro, dice di non poter fare altro, di non riuscire. A differenza di un altro genitore che a Ballarò di Palermo ha vissuto un dramma simile.

Lui, si chiama Francesco Zavatteri, è farmacista. Sapeva che il figlio era rimasto vittima della droga, ma non pensava mai e poi mai che, una mattina, andando a svegliarlo, alle 6.30, per andare a scuola non avrebbe ricevuto risposta alcuna, bussando alla porta della sua cameretta.

Apre e trova suo figlio seduto sul pavimento, accanto al letto, raggomitolato su stesso. Grazie a Claudia Brunetto, collega di Repubblica, che ci ha raccontato questa storia, non fine a se stessa, ma come vedremo con un seguito che ha dell’incredibilmente coinvolgente. Dopo avere tentato la rianimazione, lui esperto, e vista l'inutilità dei tentativi perché –dice- era ghiacciato, non ha potuto fare altro che piangere disperatamente.

Giulio, questo il nome del ragazzo di diciannove anni, era splendido, intelligente, sensibile, simpatico. Era, però caduto, nell’abisso della droga fino al crack, che lo ha distrutto.

Ed allora, il farmacista di Palermo, decide di fare qualcosa “perché la morte di Giulio non sia vana”. Va nelle scuole del capoluogo siciliano a parlare di Giulio, della droga, dei giovani.

Organizza eventi, nel nome del suo Giulio. L’incasso è devoluto in iniziative per ragazzi, perchè si impegnino a combattere la droga, non a consumarla. “Dobbiamo fare un patto, spiega agli studenti, per contrastare questa cultura della morte, tutti insieme”. E’ certo che occorre riuscire a diffidare dagli spacciatori, circondarsi di amici veri, di quelli che ti fanno sorridere, di quanti ti invitano ad uscire con le ragazze.

Il farmacista, piangendo, è convincente. Negli incontri ragazzi e ragazze parlano, si dicono convinti che la droga non è una soluzione ai problemi, non lo è mai. “Distrugge l’esistenza nostra e vostra”. Gli ho scritto su Facebook, mi ha risposto. “Cercare di aiutare gli altri farà rinascere Giulio, che era un tesoro di ragazzo”. Solidarietà, dottore. Vicinanza al papà calabrese.

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