Maurice Wilson è un pluridecorato veterano inglese della prima guerra mondiale. Sul corpo ha ancora i segni della battaglia delle Fiandre. Le ferite, per anni, gli procurano dolori atroci, invalidanti. Poi, grazie ad uno sciamano, guarisce attraverso le preghiere e lunghi periodi di digiuno. Wilson da quel momento crede che tutto possa essere possibile con la fede in Dio. Il suo motto è: "Gli altri lo aspettano, io gli vado incontro".
Siamo nel 1933 e ora Maurice fa il commerciante di abbigliamento femminile nello Yorkshire. Ha 35 anni e un sogno: salire per primo sulla vetta dell'Everest ed entrare così di diritto nella storia dell'alpinismo. Soltanto che lui non è affatto un alpinista, non ha mai ricevuto istruzioni sulla tecnica o sul processo di acclimatamento in alta quota. "Wilson - sottolinea il suo biografo Ed Caesar - fino a quel momento non ha mai scalato qualcosa di più impegnativo di una rampa di scale".
Maurice ha un altro grosso problema da risolvere: pur non essendo un pilota vuole arrivare dalla Gran Bretagna in Tibet con un biplano da turismo. Acquista un DH Gipsy Moth usato e comincia a prendere lezioni di volo. Ottiene il brevetto. Il suo progetto è questo: atterrare il più vicino possibile alla montagna più alta della Terra e poi proseguire a piedi, fino in cima. Dell'Everest ha letto sui giornali soltanto il resoconto dell'ultima fallimentare spedizione britannica di Mallory e Irvine del 1924, dove però sono stati omessi i dettagli sui rischi connessi a crepacci, valanghe e carenza di ossigeno. Quando parte dall'aeroporto di Londra, il 21 maggio, la stampa locale titola: "Un eroe di guerra contro il gigante dell'Himalaya".
Il viaggio dura due settimane. Durante gli scali obbligati per il rifornimento viene arrestato e poi rilasciato su cauzione in Tunisia perché sprovvisto del permesso di volo, in Egitto viene obbligato a cambiare rotta e il Bahrain gli ordina di tornare indietro. Riesce comunque a raggiungere il Pakistan e poi l'India, dove gli viene sequestrato l'aereo. E' costretto a trascorrere alcuni mesi a Darjeeling, nel Bengala, perché in Tibet non lo fanno entrare.
Nella primavera del 1934 assolda tre sherpa nepalesi e si traveste da monaco buddista. Lo stratagemma funziona. Superano la frontiera. Dopo 21 giorni di cammino arrivano al monastero di Rongbuk, il monastero con vista Everest. Wilson sveste il finto abito religioso e indossa un equipaggiamento totalmente inadatto per affrontare, durante la salita, le raffiche di vento che soffiano ad oltre 100 km l'ora, i pendii ghiacciati e le temperature costantemente sotto i trenta gradi.
Inizia la scalata avvolto in un mantello, con una sciarpa di seta, un maglione, pantaloni di flanella e stivali senza ramponi. Nello zaino ha una tenda, un sacco a pelo, una piccozza e un altimetro. Tenta due volte di scavalcare il Colle Nord, ma viene respinto dal maltempo, dalle valanghe, dalla parete ghiacciata. Il muro dell'Everest è inaccessibile senza corde, ramponi e senza la conoscenza delle tecniche dell'alpinismo estremo. Maurice si aggira sotto la parete di gelo e roccia come un disperso semi-assiderato. Urla, si dispera, ma non demorde. Torna indietro al monastero, quasi morto dalla fatica, riprende le forze e dopo 18 giorni riparte.
Al terzo tentativo si fa accompagnare dagli sherpa fino ai 7 mila metri. Poi loro si rifiutano di proseguire. E' il 29 maggio del 1934. Wilson, con i piedi quasi congelati e a corto di fiato, riprende la salita. Gli sherpa lo vedono allontanarsi con passo lento e barcollante. Scivola e cade più volte. Poi arriva una bufera da fine del mondo e Maurice sparisce dalla loro vista. Sperano che abbia trovato una via di fuga alla sua portata. Scendono e lo aspettano per un mese, fino all'arrivo dei monsoni.
Il suo corpo congelato, rannicchiato, con le ginocchia raccolte sul petto, viene rinvenuto nel 1935 da una cordata di connazionali. Lo avvolgono in un telo e gli danno sepoltura in una buca scavata nella neve. Negli anni sessanta un alpinista tibetano sostiene di aver trovato la tenda di Maurice sopra gli 8 mila metri. Ma non ci sono prove che l'inglese sia arrivato in vetta. Ogni tanto il corpo di Wilson riemerge, come un fantasma di ghiaccio, per spaventare gli alpinisti che tentano di salire sull'Everest.
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