Musica: Giuseppe Bassi, il progetto Atomic Bass, Fukushima e il Giappone
Il contrabbassista ha dato vita, con la moglie, all'esperienza di "The Bass and the Puppets".
(Prima Pagina News)
Giovedì 25 Marzo 2021
Roma - 25 mar 2021 (Prima Pagina News)
Il contrabbassista ha dato vita, con la moglie, all'esperienza di "The Bass and the Puppets".
Musica: Giuseppe Bassi, il progetto Atomic Bass, Fukushima e il Giappone
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Giuseppe Bassi non è solo un contrabbassista talentuoso, immerso nella Musica a tutto tondo fin dalla giovinezza e dotato musicista con grande esperienza, ulteriormente approfondita attraverso cooperazioni on stage e in studio con il Gotha del Jazz a livello nazionale e internazionale. E’ anche artista con una particolare e profonda sensibilità, con una mente sempre aperta e curiosa verso il Bello del Mondo. Tutti aspetti non facili da incontrare, al giorno d’oggi.

Durante il periodo più duro del lockdown, quando la sensazione di morte e paura aleggiava sulla intera Nazione, ha allietato -attraverso delle dirette social tenute da casa sua, in Puglia- i partecipanti, i quali hanno potuto ascoltare aneddoti, speciali circostanze, brani poco ascoltati o rivisitati, sui quali Giuseppe Bassi ha suonato col suo contrabbasso di manifattura ottocentesca, improvvisando dal vivo.

Sua moglie, Wu Hsueh-Ju di origine taiwanese, contrabbassista anch’ella, di estrazione classica, ha allestito coreografie davanti alla telecamera del cellulare con morbidi e variopinti pupazzi di varia provenienza e così è nata questa dolce esperienza di “The Bass and the Puppets” che ha consentito la nascita di una vera e propria “famiglia virtuale” di partecipanti ed appassionati di Jazz e di Musica.

Lo intervistiamo in merito al suo punto di vista sulle cose di Musica in casa nostra, all’estero e sulla intensa progettualità artistica che lo vedono protagonista di assoluto rilievo. Recentemente, tra altre cose e produzioni, è stato realizzato un documentario, dal titolo Yomigaeru (Rinascita) ambientato proprio nell’area circostante l’impianto Tepco di Fukushima dove si condensa l’esperienza emozionale dello stesso Giuseppe Bassi e si racconta la forza ed il coraggio della popolazione locale, fortemente intenzionata a continuare a vivere in quella zona del Giappone.

Hai avuto modo di suonare in diversi posti nel Mondo e con numerosi grandi esponenti del Jazz a livello nazionale e internazionale. In base a questa tua esperienza personale, che tipo di valutazione potresti fare oggi, nel confronto tra quel che accade nel contesto mondiale e in Italia?

Sono stato sicuramente fortunato. Ho potuto vivere 8 anni a New York e durante quella permanenza in quella città, ho potuto, poi, spostarmi agevolmente in tutti gli Stati Uniti, successivamente sono tornato in Italia, dove ho vissuto diverso tempo a Roma, Milano, ho frequentato Londra e l’Inghilterra per diverso tempo e più volte in un anno, anche per lunghi periodi. Ho vissuto a Taiwan, tanto che avrei voluto anche trasferirmici, una volta appresi gli stilemi locali, in ultimo il Giappone e poco prima, la Cina. Quel che posso dire a riguardo delle sorti del Jazz in Italia, è questo: noi abbiamo avuto una scuola straordinaria di Jazz nelle persone di Franco Cerri, Gianni Basso, Oscar Valdambrini, Renato Sellani, Dino Piana -ancora vivente- sono tutti musicisti che ho incontrato, coi quali ho anche registrato dei dischi, fatto concerti, godendomeli molto poco, dato che io avevo più o meno 25 anni e loro erano già anziani. Grandi del Jazz e conosciuti in tutto il Mondo anche in un’epoca in cui non c’era Intenet, il Web. Oggi il Jazz italiano, però, non è in grande salute, ci sono grandi musicisti, innovatori ma vivono nel sottobosco, all’ombra di grandi querce che rubano tutto il sole. Dagli Anni ’80 in poi, io credo, da quando s’è sdoganato nel nostro Paese, la dizione di “Jazz Mediterraneo”, quando s’è diffuso al suo interno il folklore popolare, il Jazz si è colorato di mediterraneità, cosa che per me non vuol dire niente, dato che così si perdono i connotati originari, quelli delle fondamenta, come lo “swing”, una parola che oggi farebbe rabbrividire il contesto italiano, o come accade anche con la parola “blues”.

Puoi raccontarci in sintesi, come è nato e come si è strutturato il tuo progetto (perché è qualcosa di più che un solo CD) "Atomic Bass" e raccontarci la tua vera e propria esperienza esistenziale a Fukushima e in Giappone?

Non ero mai stato in Giappone fino al 2018. Nell’estate di quell’anno, incontro una giovane pianista Sumire Kuribayashi, in occasione di un concerto piano solo ad Andria. Me ne innamoro perdutamente, sotto tutti i punti di vista. Il pianismo è una Bellezza umana e fuori da ogni controllo. Ero in procinto di organizzare -con un management giapponese- una mia sortita artistica in Giappone. Cambiai tutte le carte disposte sul tavolo, chiarendo che -nel caso in cui avessi suonato in Giappone- avrei voluto farlo solo con Sumire Kuribayashi e con Sebastian Kaptein che avevo conosciuto molti anni prima a Taiwan, residente a Okinawa. Avevo letto un libro “The Gosts of Tsunami” in cui si parla di quello che è accaduto dopo lo tsunami che ha distrutto 300 chilometri quadri, per non dire del conseguente spegnimento dei generatori di corrente che avrebbero dovuto raffreddare gli impianti di Fukushima, distrutti proprio dalla violenza dell’acqua, cosa che provocò lo scoppio degli impianti nucleari. Fukushima mi incuriosiva perché volevo vedere coi miei occhi la capacità di resistere e la indifferenza dei fratelli umani, in tutto il Mondo, dove Fukushima è uno sbiadito ricordo. Gli effetti di quell’incidente, però, ancor oggi, sono più che evidenti: le radiazioni. Volevo nutrirmi come un vampiro che vuole vivere in eterno. Ma tradurre, però, in termini positivi, quella esperienza. Ho trovato terre di una bellezza unica, proprio perché fragili, cominci a volere bene anche a un oggetto, case abbandonate, auto ferme dal 2011, perché la gente è andata via, alla gente che torna per salvare gli animali lasciati soli.

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