Giornalismo & Social, Manuela Vanoli: “Chi nasce per comunicare, lo fa per tutta la vita, con qualunque mezzo”
Cosa fanno i giornalisti sui social? Qui di seguito pubblichiamo il lavoro di ricerca e di analisi Di Manuela Vanoli, giornalista che conosce il mondo dei social come le sue tasche, e che qui dimostra quanto i social abbiamo invaso condizionato e influenzatro il mondo del giornalismo italiano nel suo complesso. Un’analisi che vogliamo oggi condividere con i nostri lettori.
(Prima Pagina News)
Domenica 25 Luglio 2021
Roma - 25 lug 2021 (Prima Pagina News)
Cosa fanno i giornalisti sui social? Qui di seguito pubblichiamo il lavoro di ricerca e di analisi Di Manuela Vanoli, giornalista che conosce il mondo dei social come le sue tasche, e che qui dimostra quanto i social abbiamo invaso condizionato e influenzatro il mondo del giornalismo italiano nel suo complesso. Un’analisi che vogliamo oggi condividere con i nostri lettori.
di Manuela Vanoli

Lo abbiamo chiesto ai più influenti Questa volta non gonfiamo la notizia. Siamo davvero in mezzo al guado di una mutazione irreversibile. Ricordate? Prima della rivoluzione digitale, un giovane cronista si muoveva come il collega più anziano. La sua borsa degli attrezzi aveva lo stesso contenuto: curava le fonti, andava sul posto, usava le gambe per cercare le informazioni e la testa per scrivere. E, se era cocciuto, poteva fare bingo con un’intervista esclusiva.

Alla fine degli anni Novanta è arrivato Internet. Tutto è cambiato. Vuoi documentarti su qualcosa? Entri in Rete e ti fai subito un’idea. Certo, non basta. Ma non parti col taccuino vuoto. Parti già carico, pronto per aprire il fuoco. Questa è la prima svolta. La seconda è la diffusione dei social network, piccoli demoni che entrano ovunque. E ti danno notizie, commenti, curiosità, immagini, pettegolezzi, bufale. A qualunque ora, su qualsiasi settore del tuo lavoro. Come fa un cronista politico a non seguire il leader di un partito su Twitter? Non può. E così via, di ramo in ramo. Eccoci qua, oggi, con tanti strumenti in più e parecchie certezze in meno. Ma scappare dal futuro è sempre perdente, soprattutto quando il futuro è già entrato nella tua vita.

Allora osserviamoli i giornalisti che frequentano le piattaforme, cerchiamo di capire perché lo fanno, come lo fanno e cosa si aspettano dagli utenti. Sono due le ricerche approfondite sull’argomento. Si devono ad Ixè-Encanto ed a L45. Svelano tutto, o quasi, del giornalismo contemporaneo.

I social più usati.

Nonostante sia considerata una piattaforma antica, Facebook è ancora al primo posto: l’87% dei giornalisti non può farne a meno. È seguita da YouTube (70%) e da Twitter (67%). Molti professionisti, però, guardano con entusiasmo anche agli ambienti digitali per giovanissimi. Osservato speciale risulta Snapchat, che si è dotato di una sezione Discover dedicata alle news. Le Instagram stories, invece, vengono ritenute utili per il visual journalism. Chi si occupa di economia è presente 70 volte su 100 su LinkedIn e 40 volte su 100 usa questa piattaforma come fonte principale di notizie.

Perché lo fanno?

La maggior parte dei giornalisti (83%) frequenta le piazze virtuali per promuovere il proprio lavoro. Il secondo motivo è la volontà di fare rete. Iscritti fin dalla prima ora, i professionisti dell’informazione formano una cerchia omogenea e sanno sfruttare le vecchie logiche di cura delle fonti e networking anche online. Non è facile, tuttavia, mantenere le relazioni. Ci riesce il 53%.

Per interagire con i colleghi, Facebook è ancora il mezzo più utilizzato (40%), seguito da Twitter (27,4%) e da LinkedIn (16,4%). Diffusa è la pratica di stare sui social per l’ascolto, come fossero un “termometro” dell’opinione pubblica. Lo fa oltre il 50% dei giornalisti. Usare i tools di monitoraggio delle conversazioni, analizzare di che cosa parlano le persone è un’abitudine irrinunciabile per i cronisti statunitensi. In Italia la Rete è poco sfruttata anche per trovare storie da verificare ed approfondire. Lo fa il 40%. Fact-checking

L’uso dei social come fonti crea difficoltà dai punti di vista etico e deontologico.

Da un lato, le piattaforme sono fondamentali nella copertura delle emergenze in luoghi lontani o inaccessibili, si pensi alla Primavera araba che ha fatto scuola. Dall’altro, ogni notizia deve essere sempre documentata. Gli strumenti di factchecking sono molti e c’è, ormai, sensibilità contro il fenomeno delle bufale. La stragrande maggioranza dei giornalisti italiani (91%) non insegue lo scoop sui social, ma si limita a condividere notizie verificate.

Cosa pubblicano?

 Il 41% dei giornalisti pubblica sui social contenuti multimediali e materiale in costante aggiornamento. Per il 54% è essenziale la fruizione mobile e sarebbe auspicabile una riduzione della pubblicità. La proprietà dei post I contenuti postati dai giornalisti provengono dalle banche dati disponibili su Internet, o da tools gratuiti. In misura minore arrivano dalla propria testata. Un giornalista su 4 riutilizza il materiale creato dagli utenti. Da qui, l’esigenza di una policy chiara che tuteli sia i giornali, sia gli utenti.

Il rapporto con gli uffici stampa Per il 48% dei giornalisti, l’espansione degli ambienti digitali non ha mutato il rapporto di fiducia con gli uffici stampa. Il 20% si fida addirittura più di prima. Ai colleghi che curano per le aziende i rapporti con i media, i giornalisti italiani continuano a chiedere i comunicati, inoltrati via e-mail, con allegati immagini, dati, infografiche. Per i giornalisti economici emergono altri stakeholder, come i responsabili aziendali; il 76% dei cronisti li contatta direttamente sui social.


La percezione di sé Con la diffusione dei social network, il 43% dei giornalisti italiani si è sentito obsoleto o fuori luogo alcune volte. Gli anziani, per questo, 60 volte su 100 sconsigliano ai giovani di intraprendere la professione. Le linee guida del New York Times 1. Tutelare sempre l’imparzialità della testata. I giornalisti non dovrebbero mai fare commenti politici, dovrebbero evitare di iscriversi a gruppi schierati, non dovrebbero seguire thread polemici e limitare il social care. 2. Pubblicheresti questo contenuto sul tuo giornale? Questa è la domanda che un buon giornalista dovrebbe porsi, prima di postare contenuti sui social network. 3. Trasparenza. Il giornalista ammette i suoi errori, risponde sempre alle richieste di chiarimento, evita flaming e hate speech. 4.

Dove pubblicare.

Agli account personali bisogna preferire le piattaforme aziendali, seguendo una logica protezionista. Il codice della Rai 1. La diffusione del pensiero a mezzo social corrisponde ad una dichiarazione a mezzo stampa. 2. Lo spazio virtuale è uno spazio pubblico. I social non sono una zona franca nella quale sentirsi liberi. 3. Le conseguenze dei comportamenti scorretti sono le stesse previste dalla legge per la stampa. Il reato di diffamazione si configura anche sui social. Tra il serio e il faceto… Per non violare le leggi e nemmeno l’etica deontologica, per avere rispetto di sé e degli altri, basta seguire l’aurea sintesi della BBC: “Non fare fesserie. Ricordati che sei un giornalista e comportati, anche sui social, come tale”. È proprio ciò che fanno i professionisti italiani che abbiamo intervistato. Ne abbiamo scelti tre: famosi, influenti, allergici allo stile urlato da social e, tuttavia, molto seguiti dagli utenti. Provengono, nell’ordine, da un ufficio stampa, dalla carta stampata, dalla televisione.

Lorenzo Tosa Genovese, 37 anni, sfiora la vetta della classifica di Primaonline, curata da Sensemakers. Occupa, infatti, il secondo posto. Prima di lui compare soltanto Andrea Scanzi, ma Tosa lo ha superato per numero di interazioni (220 mila) quando ha pubblicato un post dedicato a Ebru Timtik, l’avvocata turca morta in carcere dopo 238 giorni di sciopero della fame, per difendere il suo diritto a un giusto processo. Giornalista professionista, Lorenzo Tosa si è fatto conoscere al pubblico della Rete attraverso il blog che ha fondato, Generazione Antigone, una piazza virtuale in cui racconta le vite di uomini e donne protagonisti di atti di eroismo, o di piccoli gesti quotidiani, contribuendo a costruire un’Italia tesa al rispetto dei diritti umani. Su Facebook, Twitter ed Instagram si può parlare di tutto? Certamente, basta saperlo fare. “Non chiamatemi influencer – invita Lorenzo – sono soltanto uno che scrive, che propone la sua idea di mondo, senza improvvisare, ma studiando i social, il loro linguaggio che è diverso da quello giornalistico. Il mio successo dimostra che anche una narrazione non urlata può diventare virale. Non sono su Facebook e su Instagram per avere un tornaconto economico, ma per sentirmi libero di esprimere le mie opinioni”. Nessuna rivalità con Andrea Scanzi, che occupa il primo posto della classifica. “Siamo amici – fa sapere Tosa – ci confrontiamo su come affrontare gli haters e spesso mi ha dato consigli utili”. Attraverso i social, Tosa ha fatto conoscere il suo libro, “Un passo dopo l’altro” (Mondadori, 2020), invitando con garbo alla lettura. A chi gli domanda se in futuro approderà anche su TikTok, il giornalista risponde: “No, grazie. Non so improvvisare”. E ribadisce, così, la serietà di tutti i social.

Massimo Lugli Romano, classe 1955, è giornalista e scrittore affermato di noir, più volte finalista al Premio Strega. Non c’è delitto che, in televisione, non sia stato commentato da Lugli, perché tutti i conduttori se lo contendono. Attualmente è ospite fisso di Storie Italiane, il programma condotto da Eleonora Daniele. Nessuno, come lui, ha fiuto da cronista di nera. Per 40 anni, del resto, è stato una penna eccellente del quotidiano la Repubblica dove ha raccontato, come inviato speciale, tutti i retroscena dei maggiori casi giudiziari. L’esperienza e la passione lo hanno indotto ad approfondire molte vicende, scrivendo romanzi per Newton Compton che, più volte, sono stati ristampati, trasferiti alle collane di ampia tiratura o in ebook.

Il 15 luglio è uscito il suo ultimo lavoro, “L’ultimo guerriero”, intanto cura i suoi canali social dove pubblica video inerenti l’attualità. “L’uso dei social è imprescindibile e me ne sono accorto quando ho avuto la necessità di promuovere i miei libri. Il mio editore, Newton Compton, non fa pubblicità a pagamento, così ho pensato di far conoscere da solo il mio lavoro. Nulla si improvvisa, naturalmente, dunque ho affidato la mia pagina ad un esperto che gira i video e cura i contenuti. Grazie a Facebook, ho scoperto un mondo che ignoravo esistesse”.

Abituato alla cronaca nera e giudiziaria, Lugli confessa di essersi sentito sempre un po’ “maleducato”, perché la professione impone una certa sfrontatezza. Attraverso i social, in realtà, il giornalista si è reso conto di quanto siano diffusi, per davvero, il turpiloquio e le cattive maniere. “Il limite dei social – spiega – è lo sdoganamento della parolaccia. Poiché bisogna esprimere il proprio pensiero brevemente, spesso gli utenti urlano, imprecano, usano espressioni offensive. Io mi impongo sempre di non usare toni forti, nemmeno quando l’argomento li richiederebbe, e invito chi legge i miei post a fare altrettanto. Non solo. Ringrazio tutti per il contributo alla discussione, anche quando dissentono”.

Alessandro Baracchini, nato alla Spezia nel 1964, è laureato in lingue straniere e, prima di fare il giornalista, ha insegnato all’università di Exeter in Inghilterra. Fa parte del gruppo di pionieri che ha dato vita, nel 1999, a Rai News 24, il canale all-news della Rai, diventandone caporedattore.

Il grande pubblico, però, lo conosce anche come conduttore di programmi televisivi. Nel 2020, con la collega Barbara Capponi, ha guidato Uno mattina estate, progetto editoriale di grande successo, dedicato all’attualità, al costume, alla cultura e, naturalmente, alla cronaca. “I social media, prima solo Facebook, poi Twitter e soprattutto Instagram – dichiara Baracchini – hanno preso sempre più spazio nella mia vita.

Spesso penso che sia troppo, troppo tempo. Come tutti, credo, ogni tanto ne sono sazio, quasi disgustato, e desidero staccare. Troppe le distorsioni, le brutture, la superficialità e spesso le cattiverie che si incrociano, inevitabilmente. Ma poi… resto connesso!”.

Per un professionista dell’informazione, che non ha mai perduto l’aplomb del gentleman inglese, amabile e rispettoso delle idee degli utenti, non deve essere facile, a volte, resistere all’asprezza del linguaggio social. Lui riesce a farlo, proponendosi con naturalezza e permettendo al popolo della rete di conoscerlo anche nei momenti privati.

La sua è una pagina che non ammette incursioni, ma accetta visite. “Tra pro e contro – osserva il giornalista – sono di più i motivi per continuare a condividere parte della mia vita professionale e, soprattutto, di quella privata con amici, conoscenti e… sconosciuti! Potrei raccontare mille storie di persone ritrovate, o di semplici “contatti” divenuti nel tempo vere amicizie. E poi il feedback: quel riscontro quotidiano, non sempre gratificante, con il pubblico che dice la sua. Ormai è irrinunciabile”.

Già. Perché chi nasce per comunicare, lo fa per tutta la vita, con qualunque mezzo. Manuela Vanoli


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