‘Ndrangheta & Testimoni di giustizia. Lea Garofalo, un giallo irrisolto, i dubbi e le speranze della sorella Marisa
Parla la sorella di Lea Garofalo: “Femminicidio, e non solo di ‘ndrangheta”
(Prima Pagina News)
Domenica 18 Luglio 2021
Roma - 18 lug 2021 (Prima Pagina News)
Parla la sorella di Lea Garofalo: “Femminicidio, e non solo di ‘ndrangheta”

Abbiamo incontrato Marisa, la sorella di Lea Garofalo, a Fiumefreddo (CS), in occasione di un incontro organizzato dal presidente della rete antimafia di Brescia, Mario Bruno Belsito. Ecco per i lettori di PPN la testimonianza di chi ha vissuto le terribili ore della sparizione di Lea e il tragico epilogo. Lo ricordiamo, Lea fu uccisa il 24 novembre del 2009. Era una testimone di giustizia sottoposta a protezione dal 2002 perché aveva testimoniato circa le faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno.

Ritorniamo al 24 novembre 2009.

“Quella sera, intorno alle 20 mi chiamò mia nipote Denise, era a Milano con Lea. A voce bassa: ‘Zia hai sentito mamma? Sono un po’ di ore che la sto cercando  ma non risponde neanche ai messaggi’. Guardai il  mio cellulare e vidi una tentata telefonata di Lea intorno alle 18:30 ma il mio telefono non prendeva in quel momento. Iniziai a preoccuparmi, tanto è vero che dopo la seconda telefonata, dissi a Denise: ‘Sicuramente l’hanno fatta sparire’.  

Ma cosa ci faceva Lea Garofalo a Milano? Era con Lea e c’era pure il suo ex compagno, il papà di Denise. Spiega Marisa: “Lea era andata a Firenze per un processo che però quel giorno era stato rinviato. Mia sorella, per accontentare Denise, da Firenze prese il treno e la raggiunse a Milano: Denise era lì perché suo padre voleva farle salutare dei parenti.  Quando Lea mi disse ‘Sono a Milano’ subito la rimproverai: ‘Cosa fai lì? Ritornatene subito a casa, è rischioso’. Lei però mi rassicurò: ‘No Marisa, stai tranquilla: sono con Denise non mi succederà nulla di grave’.

Ma le cose non andarono cosi.

“Quella sera – racconta Marisa - il suo ex compagno fece in modo di separare Lea da Denise. Con la scusa che Denise doveva salutare i cugini, lasciò Lea da sola. Passò e la caricò sulla macchina. La portò in un appartamento e quella sera Lea venne uccisa. Noi pensavamo che Lea fosse stata uccisa sciolta nell’acido, poi  grazie a una dichiarazione di un collaboratore di giustizia -  “grazie” tra virgolette: non mi sento di ringraziare un vigliacco, un assassino che ha preso parte all’omicidio di mia sorella e che si è pentito solo dopo il secondo grado di giudizio ma sono state le sue dichiarazioni a far conoscere la verità – abbiamo saputo che Lea quella sera, in quell’appartamento, fu picchiata a sangue e poi strangolata con una corda. Il  giorno dopo, il suo corpo fu trasportato a San Fruttuoso, una località vicino Monza, e dato alle fiamme. Di  Lea non rimase nulla perché i suoi pochi resti furono buttati in un tombino. Si è riusciti a risalire all’esame del DNA tramite la dentatura: Lea aveva fatto un piccolo intervento. Il suo corpo è stato ridotto in 3000 frammenti ossei”.

Ma se del corpo non è rimasto nulla, Lea oggi è più viva che mai.

Dice la sorella: “Lea è stata una donna molto coraggiosa perché sapeva che andava incontro la morte e non ha mai abbassato la testa. Ha trascorso sette anni con il programma di protezione, con tantissimi disagi. Più volte è stata tolta dal programma, ha fatto ricorso al Tar, poi al Consiglio di Stato e fu riammessa, ma le cose non cambiarono, nel senso che non le hanno mai dato documenti di  copertura e neanche un lavoro. Tanto è vero che nel 2009 mi chiamò dicendo: ‘Marisa io voglio lasciare il programma di protezione perché qui sto facendo la fame’. Dissi a mia sorella: ‘Guarda che è molto rischioso, se vieni in paese ora che è uscito il tuo ex compagno, te lo ritrovi qua e avrai sicuramente dei problemi’. Lei mi rispose: ‘No, non mi importa. Mi stanno uccidendo comunque. Voglio correre questo rischio’. E cosi è  venuta al paese”.

E fu cosi, nel 2009 Lea si trovò con la figlia nello stesso paese in cui era ritornato libero il suo ex compagno. Cosa accadde a quel punto? Spiega Marisa: “Mia sorella lasciò la figlia libera di decidere se voleva incontrare o meno il padre. Lo scopo di lui però era quello di controllare Lea. E infatti lui fece la proposta di prendere in affitto una casa a Campobasso dato che Lea, nell’ultimo periodo, abitava lì perché Denise doveva completare l’ultimo mese di scuola”. E lì avvenne il tentato rapimento. Spiega Marisa: “Una mattina, verso le 9, Lea sentì il campanello.  Era un finto tecnico della lavatrice. In quell’appartamento, in effetti, la lavatrice non funzionava ma a sapere di questo guasto erano solo il suo ex compagno, Denise e Lea. Ci fu una colluttazione tra Lea e questo criminale. Denise stava dormendo ma per fortuna si accorse dei rumori, si alzò e andò a difendere Lea a calci e a pugni. Il  delinquente scappò perché l’ordine era quello di prelevare Lea e di non toccare Denise. Aveva già parcheggiato sotto casa di Lea un furgone con una tanica con 50 litri di acido. Lea poi chiamò i carabinieri e fece nuovamente denuncia”.

Con quale stato d’animo Lea tornò al paese? “Ha passato mesi di angoscia: era convinta che prima o poi  sarebbero riusciti ad ucciderla. Ricordo che un giorno mi disse: ‘Marisa, ci hanno provato e ci riproveranno. Se dovessero uccidermi tu non devi fare niente nel senso che non dovrai costituirti parte civile perché loro vogliono me. Una volta che avranno ucciso me vi lasceranno in pace. Io invece non me la sono sentita di non fare niente perché avrebbe significato morire giorno dopo giorno. Abbiamo affrontato il processo, insieme a mia nipote Denise. Grazie alle nostre dichiarazioni - noi siamo state le uniche due testimonianze riconosciute attendibili ai fini processuali  - ci sono state quattro condanne all’ergastolo ed una pena riduttiva per i collaboratori di giustizia”.

Marisa vuole ricordare un episodio che spesso racconta quando va nelle scuole a parlare con gli studenti.

“Un giorno, mentre ero a casa di mia sorella, entrò Denise con due buste piene di vestiti e scarpe.  Lea le chiese: ‘Da dove vieni e che cosa c’è in quelle buste?’. E Denise: ‘Mio padre è tornato da Milano e mi ha portato dei vestiti’. Lea le disse: ‘Tirali fuori, voglio vedere’. Vidi mia sorella girarsi verso il cassetto della cucina e prendere delle forbici. Compresi subito la sua intenzione e le suggerii: “Lea, lascia scegliere a Denise se vuole tenere o meno quei vestiti”. E lei: ‘Marisa, non intrometterti!’. Tagliò a pezzi pantaloni e felpe, li rimise nelle buste e ordinò alla figlia di buttarle nella spazzatura. Denise aggiunse: ‘Mamma, mio padre mi ha dato anche dei soldi’. E Lea: ‘Tirali fuori’. Denise fece uscire 200 euro dalla tasca. Mia sorella prese l’accendino e diede fuoco alle banconote dicendo alla figlia: ‘Tu non spenderai mai quei soldi sporchi di sangue, altrimenti vorrà dire che quello che io ho fatto non è servito a nulla’. Il giorno dopo mi chiamò e mi disse: ‘Marisa, mi presti 50 euro?’. Ecco, questa è l’immensità di mia sorella, la sua grande dignità. Aveva un disperato bisogno di quei soldi però non si è mai piegata”.

La storia di Lea è stata una brutta pagina di cronaca ma è anche una bella storia di coraggio che vale la pena conoscere. E’ una pagina di cultura perché ora Lea viene ricordata con il cinema, con il teatro, con il calcio, con la musica, con i libri. “La cosa che mi fa tanto rabbia – conclude Marisa Garofalo -  e che Lea purtroppo è stata creduta solo dopo la morte:  Lea ha dovuto morire per essere credibile”. Dopo la sua morte ci furono decine di arresti grazie alle sue dichiarazioni”.

Chi ha ucciso Lea, solo la ‘ndrangheta?

Marisa ha le idee chiare su questo: “Quando Lea ha fatto quelle dichiarazioni non è stata creduta. Lea non è stata uccisa solo dalla ‘ndrangheta: è stato anche un femminicidio, un delitto di Stato. Ci sono delle grosse responsabilità istituzionali che purtroppo nessuno pagherà mai. Il suo grande coraggio lo ha trasmesso a Denise. A me Lea ha lasciato questa grande eredità che è sua figlia Denise. Noi dobbiamo fare in modo di essere Denise, di essere tutti testimoni di giustizia e testimoni di verità”.

 

 

 

 


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