“Pierre Cardin, Le Venitien”, il ricordo personale di Maurizio Crovato, storico inviato della Rai
L’incontro tra Pierre Cardin e Maurizio Crovato diventa capitolo di un romanzo d’appendice in cui lo storico inviato speciale della Rai traccia di Pierre Cardin un profilo inedito e assolutamente affascinante.
di Maurizio Crovato
Mercoledì 30 Dicembre 2020
Venezia - 30 dic 2020 (Prima Pagina News)
L’incontro tra Pierre Cardin e Maurizio Crovato diventa capitolo di un romanzo d’appendice in cui lo storico inviato speciale della Rai traccia di Pierre Cardin un profilo inedito e assolutamente affascinante.
Maggio 2012. Giornata stupenda. La cosa che mi stupì di più del quasi novantenne Pierre Cardin era la sua semplicità. La semplicità di allargare gli occhi azzurri dello stupore con la gioia fanciullesca del cuore. Scatenava immediata empatia, e non si vedeva né il miliardario parigino con casa a Place de la Concorde, né il couturier famoso in tutto mondo. Sí, Pietro era un bambino dentro, rimasto fermo ai sogni della sua S.Andrea di Barbarana, bellissimo nome trevigiano di un borgo baciato dal fiume sacro Piave, ma anche dai disastri della Grande Guerra. L’idiozia della violenza mondiale aveva fissato proprio lì, a casa sua, un confine dell’inutile strage. Il suo destino era segnato quando suo papà Alessandro, contadino possidente, un po’ troppo socialista e un po’ troppo rovinato dai terreni pieni di mine, decide di emigrare in Francia con tutta la famiglia. È il 1924 l’anno dell’assassinio Matteotti, l’anno in cui a 2 anni, Pietro vide per la prima volta un treno. Poi, nella vita farà trenta volte il giro del mondo.

Ma se la vita è l’arte degli incontri, a me bastò quel maggio 2012, una telefonata di un amico, per farmi incontrare con Pierre Cardin.

Ciao! C’è un personaggio famoso francese che vorrebbe girare in barca la laguna con te e fare poi un giretto in elicottero sopra Venezia”. Pas des problèmes. Appuntamento dove? Al Lido, nel canale di San Nicolò, vicino aeroporto Nicelli. Pierre in doppio petto blue, elegantissimo, con il distintivo della Legion d’onore, slanciato come un quasi novantenne non può assolutamente essere, mi chiede subito di vedere il paesino dove è nato sul Piave vicino alla laguna. “Mio padre mi diceva che noi Cardìn siamo tutti nati a Venessia”. Sto zitto, perché sapevo che era trevigiano doc. Ecco, monsieur Pierre quello è il suo paese natale, ora comune di S.Biagio di Callalta, il paese del prosecco, lo champagne de noaltri. Dall’alto, la linea bianca del Piave che si unisce alla laguna appare come un tutt’uno. “Donc, mon pére avait-t-il raison? Sì, bambino Cardìn, tu sei anche veneziano.

Poi riflettendo, a quell’epoca il termine Veneto come regione definita non era ancora in uso. C’erano le Trevenezie e Pietro era nato nella Venezia Euganea. Dunque, veneziano. Una etichetta che in futuro gli porterà fortuna. Papà Alessandro non diceva bugie. Ma il bello viene in barca. Gli occhi azzurri di Cardìn si confondono con la laguna. È proprio un bambino curioso. Vuol sapere il nome di tutte le isole anche le più piccole. Mi dice che non vuol andare in un ristorante dove magari viene riconosciuto, ma in un posto “populaire”. Mi viene in mente che all’isoletta delle Vignole, a nord di Venezia, c’è un bacaro dove le famiglie veneziane vanno a mangiare le specialità della laguna. Chiamo il gestore, Tonino Vianello, figlio della mitica Rina Boscolo, che da una frasca di vite all’ombra lagunare, aveva creato un luogo di culto popolare. Tonino? Pronto? Tra poco vengo da te con una persona famosa che però desidera la massima discrezione, ovvero tavolo di fronte alla laguna, vicino alla “cavana” (garage per i profani, delle barche). “Ca va sans dir, ve speto!”.

Quando Cardin si siede al tavolo, contento come una Pasqua, chiede immediatamente “poenta e schie”, forse un piatto della sua infanzia. Desolé, replica Tonino, non è ancora la stagione. Le schie sono piccoli gamberetti della laguna, ma che si trovano anche alla foce del Piave. Lo stilista, con perfetta resilienza, gradisce tutti gli altri piatti in arrivo. È felice e comincia a parlare del suo progetto veneziano. Ha in mente un “palais lumière” ai bordi della laguna a Porto Marghera, già grande polo chimico industriale con 40 mila operai. Tanto che il maggior quotidiano locale negli anni Settanta dedicava una intera rubrica dal titolo “Il Gazzettino dei quarantamila”. Era come pensare un asilo di bambini in mezzo ad una discarica di rifiuti. Pierre Cardin, abbozza ad un disegno, è una specie di mazzo di fiori. Spiega che bisogna pensare al futuro, che l’industria del Novecento deve essere ripensata. Sogna (sogna!) un grattacielo di fronte Venezia, alto 255 metri e con 65 piani...palazzo della moda, della creatività, della tecnologia. Non sarà energivoro, tutto a energia solare e altro. Bisogna pensare al futuro, insiste Cardin. Ovvero sognare sempre in avanti. Cerco di dissuaderlo. Venezia è una città complessa, la politica è un moloch, ci sono gli ambientalisti, i sindacalisti, i “querulisti”, i mai contenti, i..... “Je m’en fous”, me ne frego! Grida il bambino-novantenne. Solo la storia mi giudicherà, è un mio investimento per amore dì Venezia.

Poi. Poi è finita come è finita. Un gran polverone polemico che vedeva solo il governatore Zaia (trevigiano come Pierre) e il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, favorevoli. Cardin tenta di comperare i terreni, 20 ettari sulla laguna che non valevano niente. All’improvviso, miracolosamente, i prezzi triplicano, ma non importa. Ci si mette anche l’Enac, l’organo di Stato che controlla il traffico aereo. Il Palais Lumière offuscherebbe i voli dell’aeroporto internazionale Marco Polo. Pierre Cardin si arrende. Il miliardo e mezzo di euro che aveva a disposizione li investirà in Francia per restaurare un intero borgo medioevale. I francesi sono contenti, gli investimenti restano chez eux, a casa loro.

Non porta rancore Pierre Cardin, mi confessa che il momento del suo lancio internazionale fu nel 1951, a Palazzo Labia, a Venezia. Uno stupendo palazzo del ‘600 di proprietà di un miliardario parigino di origine messicana, tale Charles de Bestegui. Organizza la festa del secolo, così come viene definita anche dai giornali di tutto il mondo. Alla festa in maschera de Bestegui, su indicazione di Christian Dior, mentore di Pierre Cardin, organizza tutto: dai costumi alla serata di festa. I gondolieri diranno poi di non aver mai visto tante mance donate dagli ospiti in vita loro. Invitato d’onore Orson Welles. Ma tanti altri, come il presidente francese Auriol, non vogliono però essere menzionati, per fortuna sono protetti dalle mascherine. Una delle poche donne invitate (la maggioranza è....maschile) è Maria Giulia Crespi, allora ventenne, proprietaria del Corriere della Sera e miliardaria milanese. Cardin mi confessa che doveva recitare il ruolo di Messalina in una vasca piena di latte con i servitori africani che le facevano fresco....

Gli invitati alla festa esagerano un pochino. A Venezia circolava ancora l’adagio “Labia o non Labia sempre Labia!”, un gioco di parole vernacolare che suona pressapoco così: che abbia o non abbia (ricchezza) sempre Labia! Era una famiglia catalana d’origine ebraica, ovvero marrana, che ai tempi della guerra di Candia, comprò la cittadinanza Serenissima a suon di ducati d’oro, per aiutare la Repubblica esangue. Avevano un innocente vizietto. Durante le feste lanciavano vasi d’argento, posaterie e soldi nel vicino rio di Cannaregio, quartiere popolare, per vedere i pescatori tuffarsi in acqua a recuperare la pesca miracolosa. Charles de Bestegui tentò di imitarli, ma i tempi erano cambiati. A Venezia nel 1951 c’era un solido sindaco comunista, Giobatta Gianquinto, che approfittò dell’occasione per consegnare un foglio di via al miliardario parigino, per immoralità. Qualche anno dopo palazzo Labia, coi i suoi meravigliosi affreschi del Tiepolo, verrà venduto alla Rai. Pierre Cardin si ricordava nitidamente di tutto ciò. All’epoca era un affascinante 29enne. A Parigi lo chiamavano già Pierre Le Venitien....”Ho un piccolo dispiacere - mi dice Cardin- non ho nessun ricordo, nessun filmato di quella celebre festa che mi lanciò a livello internazionale”. Parlo con Virgilio Boccardi, giornalista della Rai, scrittore, uno dei massimi esperti mondiali di Giacomo Casanova, di lirica e di cose veneziane, quasi coetaneo di Cardin. Mi dice che sicuramente, dopo l’alluvione del 1966, i filmati in pellicola sono andati all’archivio Rai di Milano. Sono sicuro - dice Boccardi -che nel 1951 abbiamo girato la festa di Palazzo Labia, ma i benpensanti dell’epoca non volevano pubblicità. Trovo la preziosa pellicola e la faccio convertire in una cassetta vhs. La spedisco a Parigi, chez maison Cardin.

Pietro mi ringrazia e piange. Anche gli immortali, in fondo, si commuovono.

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