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Il “Menestrello” della canzone italiana, di cui è uscita l’autobiografia “Confessioni di un malandrino” scritta con Fabio Zuffanti con la prefazione di Stefano Bollani, si racconta a Prima Pagina News.
Il “Menestrello” della canzone italiana, di cui è uscita l’autobiografia “Confessioni di un malandrino” scritta con Fabio Zuffanti con la prefazione di Stefano Bollani, si racconta a Prima Pagina News.
Avventure, curiosità, sperimentazione e percorsi condivisi con persone che lasciano il segno. È questa la vita di Angelo Branduardi, il “Menestrello” della canzone italiana, l’uomo che ha rilanciato la tradizione musicale popolare, unendola con le sonorità moderne e una metrica a volte giocosa, a volte spirituale. Da questa unione sono nati brani come “Alla Fiera dell’Est”, “Cogli La Prima Mela”, “La Pulce d’Acqua”, “La Luna”, “Cercando l’Oro”, “Vanità di Vanità”, “Si Può Fare” e tanti altri. Questa volta, Branduardi torna sulle scene con un libro, intitolato “Confessioni di un Malandrino – Autobiografia di un Cantore del Mondo”, scritto a quattro mani con Fabio Zuffanti e con la prefazione di Stefano Bollani. Il libro è uscito il 31 marzo per Baldini + Castoldi.
Angelo, partiamo dal libro: come è nata l’idea di scrivere un’autobiografia?
“Non voglio millantare credito: l’idea del libro non è stata mia, non ci avevo mai pensato. Con Fabio avevo fatto un’intervista su Franco Battiato, e mi sono accorto che conosceva cose su di me che neanche ricordavo, brani, dischi… Poi, c’è stato il supporto di Elisabetta Sgarbi (Direttrice Generale di Baldini + Castoldi e fondatrice de La Nave di Teseo, ndr) e alla fine ho registrato una lunghissima chiacchierata – di 18 ore! – su una vita avventurosa. Ho sempre cercato di essere lieve e soprattutto ironico, e di parlare un po’ meno di musica, perché è inutile fare un’analisi. Come dice Dante, la musica è rapimento, non c’è bisogno di spiegazioni. Così, mi sono lasciato andare ai miei ricordi d’infanzia all’angiporto di Genova, alle avventure e agli incredibili incontri che ho avuto nella mia vita. Se è vero ciò che dice Vinicius De Moraes, cioè che la vita è l’arte degli incontri, ecco, ne sono un esempio. Senza dubbio, sono stato molto fortunato”.
Questo “malandrino” di cose ne ha fatte: dalla tua infanzia a Genova, hai avuto modo di conoscere mondi diversi…
“Ho avuto un’infanzia povera, ma non potrei averne avuta una più bella: ero il principino del quartiere perché forestiero, suonavo il violino, cosa insolita per la gente del posto che non ne aveva mai visto uno, parlavo con le “filles de joie” (le ragazze di strada che frequentavano l’angiporto, ndr), le “professioniste”, che mi elessero a mascotte… sono tra le cose più interessanti che ho vissuto. Poi, ci sono gli incontri con grandi nomi della musica, come Paul Buckmaster ed Ennio Morricone, con Franco Fortini – uno tra i più grandi intellettuali del Novecento, che ho conosciuto profondamente – Pier Paolo Pasolini, Jorma Kaukonen dei Jefferson Airplane…”.
Com’è stato lavorare con Buckmaster?
“È stata una cosa incredibile. Ero ‘parcheggiato’ alla Rca, avevo fatto un disco che era stato buttato via. C’era una persona che credeva in me. Mi disse: ‘Perché non scrivi a Paul Buckmaster?’. Gli ho detto: ‘Ma siete pazzi?’. Era il produttore di Elton John, di David Bowie, di Carly Simon… Gli scrissi una lettera e gli inviai una cassetta. Quando arrivò a Milano, per una cifra irrisoria dato il personaggio che era, mi accorsi che non aveva ascoltato la cassetta. Era un personaggio particolare, in quel momento era in piena crisi religiosa, per cui aveva aperto la lettera e ne era rimasto commosso. Ricordo che mi disse: ‘Tu hai il dono di parlare agli uomini e agli animali’. Questa è una frase che non dimenticherò mai. A quel punto, l’etichetta dovette, giocoforza, far uscire il mio primo disco (‘Angelo Branduardi’, ndr). Dopo, con Buckmaster feci altri due album (‘Gulliver, la luna e altri disegni’ e ‘Branduardi ‘81’, ndr)”.
Il tuo mondo musicale è da sempre influenzato dai grandi nomi della letteratura e da generi musicali che si credevano perduti. Lo dimostrano i testi scritti da tua moglie Luisa (Zappa, ndr) e album come “Branduardi canta Yeats”. Da dove viene l’interesse per l’antico?
“Mia moglie ha fatto lettere classiche e ha studiato latino e greco, per cui ha il dono della sintesi, cosa che a me manca. Da parte mia c’è l’amore per la musica antica, che avevo scoperto e mi è piaciuta. Questo tipo di musica, ai miei tempi, non era nei programmi d'insegnamento al Conservatorio, perché si partiva dal barocco. Intendiamoci, non è che sia un topo di biblioteca o un ricercatore, e poi ho fatto tantissime cose diverse”.
Luisa ti ha sempre accompagnato in questo percorso. Quanto conta la sua figura nella composizione delle canzoni?
“È molto importante. Io e Luisa abbiamo sempre diviso il lato umano da quello professionale, anche se per me questa parola non è bella: abbiamo sempre lavorato ognuno per conto proprio, non ci sono stati litigi o screzi particolari. Chiaramente, nei matrimoni che durano da decenni ci sono alti e bassi, è normale. Tante volte, la mia famiglia è stata descritta come quella del ‘Mulino Bianco’: non è così”.
Come si dice: “L’amore non è bello se non è litigarello”.
“Sì, certo (ride, ndr)! Ma non lo è mai stato dal punto di vista artistico. Normalmente, presento le idee musicali, a cui lei dà una visione, perché la musica è questo, e sulla visione si lavora. E pensare che lei non voleva comparire: uno dei nostri litigi più grandi ci fu quando io e David Zard (produttore di alcuni album di Branduardi, nonchè della 'Carovana del Mediterraneo', tour internazionale in cui furono coinvolti anche il Banco del Mutuo Soccorso e altri artisti, ndr) la inserimmo nei crediti dei dischi...”
In tutti i dischi?
“Sì. All’inizio, i brani erano firmati da me, ma erano scritti a quattro mani, e tre erano di Luisa. A un certo punto, abbiamo fatto un atto di forza e l’abbiamo messa nei crediti, senza che lei ne sapesse nulla, perché sapevo che non l’avrebbe voluto. Questo scatenò un grande litigio, ma poi lei si è abituata”.
Tra i tanti album che avete scritto insieme, c’è anche “L’Infinitamente Piccolo”, dedicato alla figura di San Francesco.
“‘L’Infinitamente Piccolo’ è stato, come ‘Alla Fiera dell’Est’ e altri, un album a cui non credeva nessuno, che poi si è rivelato uno tra i più grandi successi della mia carriera, un successo internazionale. Facemmo una tournée con più di 300 concerti. Alla fine, ho detto: ‘O mi fate Santo subito, o devo fermarmi’. Perché, altrimenti, diventa tutto meccanico. Tra l’altro, riproporrò l’album a Londra: per la prima volta, un musicista suona alla National Gallery, alla sala del Tiepolo, davanti a 400 persone, perché nel 2023 ci sarà una mostra dedicata a San Francesco, della durata di un anno. La cosa mi fa tremare le ginocchia”.
Non deve essere stato facile lavorare sulle Fonti Francescane…
“Parliamo di 1.500 pagine… Noi abbiamo fatto una scelta tra i pochi scritti rimasti di Francesco, andati perduti. Ho cercato di restituire la musica, quella del Santo di Assisi, che è sconosciuta a tutti, e abbiamo scelto molti fioretti, considerati come l’opera poetica del Cristianesimo insieme al Vangelo di Giovanni, nonché parti della ‘Legenda Aurea’ (raccolta di biografie scritta da Jacopo da Varazze tra il 1260 e il 1298, ndr). Non fu facile, ma nemmeno difficile: la difficoltà c’è stata nello scegliere, ma poi la musica mi è venuta naturale, l’ho composta credo in un anno”.
In quell’album hai lavorato con nomi del calibro di Battiato ed Ennio Morricone.
“Con Ennio ho lavorato molto. Ad un certo punto, mi ha chiamato e abbiamo girato l’Europa facendo concerti. Ero uno dei solisti. Ci conoscevamo bene, è stata un’esperienza bellissima”.
Qualche aneddoto sul Maestro?
“Mi ricordo che una volta, mi pare a una radio, disse una frase bellissima: ‘Essendo la musica astratta, è la più vicina all’Assoluto’. Naturalmente, l’Assoluto può essere interpretato in tanti modi diversi. Ci sono tantissime altre cose, ma questa è una di quelle fondamentali, una delle frasi più belle che abbia mai sentito”.
Oltre a Morricone e Battiato, nello stesso album ci sono collaborazioni con la Nuova Compagnia di Canto Popolare e altri nomi.
“Sì, c’erano anche i Madredeus (nel brano “Nelle paludi di Venezia Francesco si fermò per pregare e tutto tacque”, ndr), un gruppo di organetti su cui Battiato aveva cantato insieme a me (nel brano “Il Sultano di Babilonia e la Prostituta”, ndr), i Muvrini che hanno fatto una cosa straordinaria, cantando il ‘Miserere’ della tradizione corsa (nel brano “La Morte di Francesco”, ndr)”.
E dopo “L’Infinitamente Piccolo” è stata la volta della “Lauda”.
“Sì, è stata un’esperienza pazzesca, abbiamo girato dappertutto. La ‘Lauda’ è un’invenzione francescana, noi abbiamo rispettato lo stile, utilizzando il legno e non inserendo grandi scenografie. Era il modo in cui Francesco molto spesso si presentava, un po’ come i cantori siciliani con i disegni. Tutto quello che il Santo di Assisi ha scritto era per essere cantato: il ‘Cantico di Frate Sole’ non lo recitava, nonostante sia ritenuta la prima poesia della letteratura italiana. Lo cantava, come se fosse una sorta di ‘musical’, anche se così non è: si tratta di una moltitudine di forme artistiche riunite in un’unica opera. E nemmeno il nostro spettacolo è stato un musical”.
Forse è anche per questo che Francesco è venerato come uno dei Santi più importanti al mondo…
“Sì”.
Tra gli altri artisti con cui hai collaborato durante la tua carriera, c’è anche Roberto Vecchioni, per il quale hai suonato il violino in “Samarcanda”, brano che avete eseguito anche dal vivo e su cui avete girato un divertentissimo video in cui vi alternate a Stanlio e Ollio.
“Sì, esatto! Abbiamo suonato ‘Samarcanda’ un paio di volte dal vivo, poi è stata ripubblicata con nuovi arrangiamenti. Credo che dal vivo sia stata registrata due volte, la prima con quel video curioso e divertente, la seconda senza, e penso che quest’ultima sia la versione più bella”.
Adesso sei in tour?
“Stiamo recuperando le date, per il tardo autunno ci sarà una tournée italiana ed europea. Speriamo di poter suonare anche durante l’estate, in posti all’aperto belli e pittoreschi, a me piace moltissimo”.
Da due anni, il mondo sta passando momenti terribili, tra la pandemia e le guerre, in Ucraina e non solo: per citare una tua canzone, sembra che la morte stia “portando corona” più che in altre epoche…
“Sì, purtroppo è così: se ci pensi, tre quarti del mondo è in guerra, ci sono i cambiamenti climatici, le carestie, la fame, la siccità, i popoli schiacciati… …è un momento molto duro. Ci mancava soltanto il macellaio sovietico…”.
Secondo te, ci sarà qualcuno che dirà alla morte “posa la falce”, così che non sia più signora del tempo?
“Mah… …chi lo sa? La musica è altamente terapeutica: può dare serenità, pace, quiete, allegria, anche tristezza. È un po’ tutto, ma non respinge i missili. Per una sola persona ha una grande importanza, ma non è una bomba, semmai è la miccia che la fa scoppiare. Sono abbastanza perplesso”.
Quindi, lasciamo fare ai governanti.
“Sì, la musica è piena di fantasia, ma è difficile dire chi potrà porre fine a tutto questo”.